De Eredan.
Sommaire |
Atto 4: Mettere a ferro e a fuoco
1. Il corvo e l’imperatore
Parte 1. Il corvo
I due serpenti piumati volavano in direzioni opposte, facendo cerchi nel piccolo spazio in cui si trovavano da diverse ore con Toran. Nessuno metteva piede lì da lunghissimo tempo a giudicare dalla polvere che si era posata sugli oggetti e i mobili. Quel luogo era una sorta di stanza del tesoro visto che non c'era altro che oggetti lasciati dagli Imperatori fin dai tempi di Xzia stesso. In tempi normali, solo l'Imperatore avrebbe potuto mettere piede in quelle stanze, ma Toran era il reggente e tra i suoi diritti c'era quella di curiosare in giro. L'anziano Tsoutai non si aspettava di trovare niente in quella spedizione attraverso le memorie degli Imperatori, ma quello che scoprì sarebbe andato a cambiare la storia fino alle radici, a meno che, naturalmente, la storia non si dovesse svolgere così. Dopo aver attentamente osservato le diverse pergamene, egli trovò un kakemono di seta attentamente ripiegato nascosto in una armatura di uno degli Imperatori. Toran lo aprì con cura e lo poggiò a terra in modo da avere una migliore visione d'insieme, in quel momento delle piume nere molto lunghe uscirono fuori. Egli le recuperò con cura e senza alcuna esitazione seppe che appartenevano a un corvo. Qualcuno aveva incollato dei fogli di riso sulle stecche di bambù del kakemono, sul quale aveva poi scritto una storia. Dalla qualità della grafia si poteva valutare che il testo fosse stato scritto di fretta.
Toran si precipitò nella lettura. L'autore era l'Imperatore Yaji, il quale raccontava nella sua storia di un vecchio sospettato di essere uno spirito malvagio e che fu intrappolato nella miniera di Grigioferro nella regione d'Oryun. Yaji riconosceva di aver paura dell'influenza che quest'uomo avrebbe potuto avere sui suoi sudditi. Successivamente raccontava come la guerra tra Xzia e la Draconia aveva fatto emergere una nuova famiglia e riconoscere un clan finora odiato.
Toran comprese allora che quella era la storia del clan del Corvo, anche se conosceva già il pezzo riguardante l'intervento del clan nella guerra contro la Draconia, ignorava l'affronto che aveva subito il Corvo ritrovandosi come un miserabile in fondo a una miniera. Sentì allora il bisogno di conoscere di più su questa persona intrappolata sotto una montagna di Grigioferro. Purtroppo i suoi incarichi da reggente gli ricordarono che non avrebbe avuto tempo sufficiente da dedicare a questa faccenda.
La sera stessa inviò una lettera al Signore Imperiale Gakyusha affinchè gli venissero assegnati uno o due membri della Kotoba. La risposta non tardò. Si presentarono al palazzo due persone che volevano incontrare Toran. Quest'ultimo li ricevette tra due riunioni importanti. Il primo era Furagu, il porta stendardo della Kotoba e veterano di innumerevoli battaglie, il secondo era Shui Khan, un antico vecchio allievo di Tsuro divenuto uno dei migliori Bracconieri. Tutti e due si inchinarono rispettosamente davanti a Toran e attesero che il reggente parlasse loro, com'era d'usanza. Ma furono sopresi nel vedere il vecchio maestro invocare il suo Cercafalla , che subito si librò nella sala.
“Possiamo parlare senza il timore che nessuno ci stia ascoltando. Quello di cui vi devo parlare e la missione che vi sto per assegnare devono rimanere un segreto. Sono onorato che il signore imperiale mi abbia inviato due illustri eroi dell'impero. Ahimè, vi sto per inviare in un luogo ben lontano dallo splendore della vostra fama.”
Toran srotolò il kakemono.
“Leggete qui.”
Entrambi lessero gli scritti senza comprendere fino in fondo quale fosse il senso.
“Vedete, il clan del Corvo è nato nel dolore, il disprezzo e l'odio. Ho il sospetto che il vecchio di cui parlano nella storia sia il Corvo in persona, un essere molto potente. Vi sto inviando ad Oryun per esaminare la miniera ormai abbandonata."
“Una miniera di Grigioferro? La mia armatura è fatta di quel metallo”. Spiegò Furagu.
“Cosa dobbiamo cercare signor Reggente?” Chiese Shui Khan.
“Tutto ciò che potete trovare a proposito del prigioniero. Gli archivi della miniera devono trovarsi lì”.
“Partiamo dubito”.
Ayako era nascosta dietro una delle statue che si trovavano davanti al palazzo imperiale. Sorvegliava con severa attenzione le entrate e le uscite per non perdere di vista la partenza di Furago e Shui Khan. La sorella minore del Campione dell'Imperatore aveva approfittato dell'assenza di Henshin, suo tutore e nonno, per farsi un giro nelle animate vie di Meragi. Perlopiù per caso, aveva scorto una armatura come quelle di suo padre, così come l'insegna della Kotoba. Credendo che suo padre o suo fratello fossero lì, seguì il guerriero. Non si trattava di un membro della sua famiglia, ma di un porta stendardo, Ayako l'aveva visto già una volta. Ed ecco che Furagu si incontra con un altro membro della Kotoba, Shui Khan, il bracconiere che si suppone fosse un discendente del Re Scimmia stesso. La coincidenza era troppo evidente e le venne in mente che si potesse trattare di una missione importante e appassionante. Tutto ciò la tirò fuori dalla sua noia quotidiana di apprendimento della magia, così decise di saperne di più.
I due membri della Kotoba finalmente uscirono e Ayako li seguì di nuovo. Essi si mossero in direzione del quartier generale della Kotoba che si trovava non lontano da lì. La discrezione della ragazza rasentava lo zero, Shui Khan non tardò ad accorgersene e la prese senza difficoltà.
“Lasciami! Lasciami!”
“Cos'abbiamo qui?” Domandò Furagu.
“Una piccola ficcanaso.” Rispose Shui Khan.
Ma la ragazza si difese e fece apparire due pesci fatti d'acqua, dotati di grandi denti. Shui Khan lasciò la presa.
“Oh, molto impressionante!” La schernì il bracconiere. “Cosa pensi di farmi con quei pesciolini?”
“Aspetta, mi sembra di conoscere quel simbolo che porta sul kimono. Non sarai mica la figlia del signor Gakyusha?” Chiese Furagu.
“Proprio così!” Urlò lei. “Sono Ayako!”
“Beh, e cosa ci fai da sola per queste strade? Sai che è pericoloso.” Replicò Shui Khan, di colpo molto più preoccupato. “Ti riportiamo a casa.”
Ayako, con aria sagace fece girare i suoi pesci attorno ai due uomini e mentre essi discutevano su di lei, questa si preoccupò d'esaminare i loro ricordi più intimi. Quello che vide su Shui Khan fu molto interessante, vide Toran far leggere loro il kakemono e così approfittò per saperne di più.
“Andrete a indagare sul Corvo.” Disse senza riserbo.
Shui Khan l'afferrò e le mise una mano sulla bocca per farla tacere.
“Sta' zitta! Non permetterti più di ficcarti nella nostra testa!”
L'uomo dall'aspetto scimmiesco era visibilmente amareggiato. Furagu prese la mano del suo amico.
“Non dimenticarti chi è.”
“Non importa, non può comprometterci la missione. La riaccompagniamo subito a casa.”
Furagu non aveva niente in contrario, i due portarono Ayako a casa e comprendendo l'importanza della faccenda non fece nessuna scenata. Nel momento in cui i tre arrivavano, Henshin uscì dal giardino con una lettera in mano e l'aria stizzita.
“Grazie per avermela riportata, è sfuggita alla mia attenzione.” Sospirò lui. “Mi è appena arrivata una lettera da parte di tuo padre, entriamo a leggerla. Riguarda anche voi.” Disse a Furagu e Shui Khan. Stupiti, i due uomini seguirono Henshin e Ayako in casa.
“Nonostante ciò non mi rallegri molto, soprattutto dopo quello che hai fatto, tuo padre ti ha reputata pronta per fare le tue prove. A titolo d'apprendimento, dovrai restare al fianco di Furagu e Shui Khan nella loro missione. Dovrai mettere in pratica tutto ciò che ti ho insegnato, per la Kotoba e i suoi membri.” Furagu non protestò, anche se era convinto che Ayako rischiasse di essere un peso. In quanto a Shui Khan, emise un grugnito in segno di contrarietà, strappò la lettera dalle mani di Henshin e lesse rapidamente. Eh sì, gli ordini erano di portar dentro quella peste in una missione direttamente imposta dal Reggente.
“È inammissibile!” Gridò all'esultanza visibile di Ayako. “Perché?”
“Basta così!” Gridò a sua volta Furagu. “Gli ordini sono ordini e abbiamo già perso fin troppo tempo. Partiamo e consideriamo la nostra nuova recluta come un membro a tutti gli effetti. O ci segue, o muore.”
“Hey! Non sono mica un oggetto!” Disse indignata la ragazza.
Furagu e Shui Khan uscirono dal giardino con aria navigata. Ayako ferita dalla reazione dei suoi nuovi compagni corse e superò i due dando le spalle al grande bacino. Lì fece appello a tutto il suo sapere. L'acqua del laghetto si sollevò e un'onda passò sopra di lei e con violenza si riversò su Furagu e Shui Khan. La giovane sorella minore di Iro il duellista controllava l'acqua a meraviglia, l'onda si trasformò in un vortice d'acqua che tornò verso di lei.
“Sono Ayako, figlia del signore imperiale Gayusha, sorella del campione dell'Impero! Questa dimostrazione vi è sufficiente? Vi basta per farvi capire che sono forte abbastanza per affrontare il mondo?” Disse lei adirata.
Furago stupito “molto bene, mi scuso, ti avevo sottovalutato. Prendi i tuoi effetti, stiamo per partire, ma sappi che non avrai nessun trattamento di favore e non ti faremo da badanti. In più, se diventi un peso per il gruppo, ti rispediremo da tuo nonno, o peggio, da tuo padre. Capito?”
Ayako si precipitò allora a cercare abiti ed effetti personali. Suo nonno la intercettò mentre stava per partire.
“Ascoltami bene. Questo è l'inizio di una nuova vita per te. Resta in ascolto della magia e dell'acqua, e di sicuro apprenderai la disciplina accanto ai tuoi nuovi compagni. E… fai attenzione.” Disse abbracciandola. “Ho solo una nipote e non voglio veder sparire.”
“Sì sì Jii-San, devo andare, anche tu, prenditi cura di te.”
È così che Furagu, Shui Khan e Ayako lasciarono la dimora di Gakyusha e poi Meragi. Mentre si allontanavano dalla città imperiale, Henshin pregava davanti al laghetto.
“Ne è passato di tempo mio vecchio amico, tu che vegli sulla mia famiglia da generazioni, ho un favore da chiederti, veglia su Ayako, mia nipote.”
L'acqua del laghetto si illuminò allora di una luce violetta e tutti i pesci saltarono in superficie. Apparve allora una creatura spettrale, un'immensa carpa viola che uscì dall'acqua e levitò per circondare Henshin.
“Grazie per l'aiuto che mi stai dando e per essere uscito dal tuo rifugio tranquillo.”
La carpa fece diversi giri intorno all'anziano poi sparì reimmergendosi nel laghetto.
La miniera di Oryun non era molto lontano da Meragi. Per raggiungerla non occorrevano che un paio di giorni di viaggio. Benché non ci fosse grande attività dopo la sua chiusura, il villaggio, che portava lo stesso nome, era rimasto un importante punto di scambio commerciale. Infatti esso si trovava su una delle più importanti vie, spesso prese da mercanti e viaggiatori. Il nome del villaggio significava scogliera, perché era stato costruito sul fianco di una montagna che, in parte crollata, rivelò vene di grigioferro e il metallo fu subito sfruttato per le sue proprietà eccezionali. Una delle virtù del grigioferro era di carattere botanico: gli alberi e le piante che si trovavano su un terreno ricco di grigioferro crescevano più velocemente e più grandi rispetto a un terreno che non lo conteneva. Così, Oryun era circondato da alberi giganteschi e gli abitanti vivevano di agricoltura, che si rivelava sempre abbondante. Ayako, che non aveva visto altro che Meragi, fu meravigliata dallo spettacolo che il villaggio le offriva. Purtroppo quella non era né una visita di cortesia, né di turismo. Furagu e Shui Khan si diressero direttamente verso la costruzione più grande che era logicamente la dimora del signore locale. Dopo una veloce presentazione, essi furono indirizzati verso un anziano del villaggio che aveva passato buona parte della sua vita in fondo alla miniera. Quest'ultimo aveva anche l'incarico di sorvegliare sulle costruzioni abbandonate, una volta utilizzate dai minatori.
“Scendiamo.” Indico Furagu al vecchio minatore.
“Signore, vi suggerisco di togliere la vostra armatura, che altrimenti si danneggerebbe e non vi farebbe passare attraverso i cunicoli più stretti.”
“Non ha tutti i torti.” Replicò Shui Khan.
“Facile a dirsi per te che non porti armature. Ma se è d'impedimento per la missione lo farò.”
“Molto bene, un attimo.”
Una volta tolta l'armatura di Furagu, Ayako chiese di mettere l'armatura in una buca nel terreno. Poi la ragazza vi passò la mano sopra. Una pellicola d'acqua apparve e ricoprì il buco, facendo credere a chiunque che quella fosse una semplice pozzanghera.
“È sicura questa cosa?” Disse Furagu tendendo la mano verso la pozza.
Shui Khan lo fermò.
“Non lo toccare! Pederesti la mano!”
Il guerriero esitò, poi si ricordò del laghetto e dei poteri della giovane.
“Spero che il tuo sortilegio funzioni Ayako, quell'armatura è tutto per me.” Aggiunse Furagu prima di dirigersi verso l'ingresso della miniera.
Il vecchio minatore accese diverse torce e con l'aiuto dei membri della Kotoba l'entrata della miniera fu liberata. Un odore acre e sgradevole arrivò ai loro nasi tanto che dovettero coprirsi il volto con un panno. L'interno non ispirava molta fiducia. Le travi e le tavole di sostegno erano sicuramente vecchi e ammuffiti e il fatto che si tenesse ancora tutto in piedi sembrava più un miracolo che altro. Il vecchio si voltò rapidamente verso un'altra galleria che li riconduceva all'esterno in una specie di grotta a cielo aperto. C'erano parecchie casupole in pericolo di crollo.
“Volevate vedere i registri. Sono là, ma non so in quali condizioni.”
Egli si precipitò verso la più grande tra di esse e fece segno agli altri una volta certo che non gli sarebbe crollato tutto sulla testa. C'erano dei vecchi attrezzi e una varietà incredibile di materiali. Poi in un angolino trovarono un baule in grigioferro. Non c'era un chiavistello, per cui fu aperto senza difficoltà. Diversi rotoli di fogli di riso erano accuratamente conservati in pelle conciata. Ayako sentì che qualcosa nel baule sprigionava una flebile energia magica. Impaziente spinse i compagni di viaggio e cominciò a frugare. Tirò fuori un rotolo rosso.
“Sorprendente che sia lì, disse il minatore vedendola. Il capo della miniera ci scriveva i fatti soprannaturali o altri fatti degni di nota. Gli altri rotoli contengono semplice contabilità o liste di produttività. Purtroppo senza la persona che ha fatto quel rotolo, non possiamo aprirlo. E questa persona dev'essere morta da diverso tempo.”
Ma Ayako non si diede subito per vinta. Strinse il rotolo tra le sue mani e dell'acqua scivolò dentro. Vedendo ciò, Shui Khan tentò di fermarla ma era troppo tardi, il rotolo era ormai immerso interamente in un globo d'acqua.
“Ma brava! Bella stupidaggine!”
“Aspetta.” Disse lei. “L'acqua mi permette di catturare le parole.”
All'improvviso la bolla d'acqua esplose formando come un grande specchio molto sottile. E lì, in quella fine pellicola d'acqua, era stata catturata la totalità del contenuto del rotolo.
“Leggete tutto rapidamente, non so quanto possa resistere.”
Il minatore non sapeva leggere, Furagu, Shui Khan e Ayako diedero una scorsa alle linee elaborate con note e altre cose interessanti ma tutto ciò non scatenò la loro curiosità.
“Ecco, penso di aver trovato qualcosa. Ci sono delle cifre seguite da questo commento: Delle guardie imperiali sono venute e noi abbiamo mantenuto il silenzio. Avevano con loro un prigioniero, un anziano. Lo hanno rinchiuso nelle coordinate seguenti e abbiamo l'ordine di nutrirlo una volta al giorno, ma di non rivolgergli mai la parola.” Lesse Furagu. E poi, in base a ciò che c'è scritto, l'anziano sarebbe sparito senza lasciare traccia. Accadde poco prima della chiusura della miniera.
Il sortilegio di Ayako cessò e l'acqua sparì insieme alle parole.
“Con le coordinate posso portarvi sul luogo, se non c'è stato un crollo.”
Così il gruppetto ripartì nel dedalo di cunicoli. Avanzarono lentamente perché numerosi tunnel erano bloccati da frane e in altri era cresciuta una vegetazione sotterranea incredibile, per non dire improbabile.
“Dieci, quindici. Siamo molto lontani.” Affermò il minatore.
“Per di qua? Ma è ancora più buio delle altre gallerie!” S'espresse Shui Khan.
“Effettivamente, non si vede nulla.”
Furagu avanzò prudentemente con la sua torcia alla distanza di un braccio. La luce emessa dalla fiamma si era affievolita.
“Davvero da quella parte?” Si preoccupò Ayako.
“Senza alcun dubbio.” Rispose il minatore.
Furagu e Shui Khan si infilarono nel cunicolo senza indugiare. Avevano già affrontato mille pericoli, uno più uno meno non faceva molta differenza. Ciò nonostante, i due rimasero prudenti. Il tunnel scendeva ancora e ancora, sembrava interminabile. Quando poi la luce della torcia si era ormai esaurita quasi del tutto, si ritrovarono in un ampio vicolo cieco. L'atmosfera era pesante e se i visitatori non restavano uno accanto all'altro, avrebbero potuto perdersi di vista. Ayako si voltò quando sentì un rumore sordo.
“Cos'è stato?” Disse guardando in tutte le direzioni, poi si accorse che il minatore era sparito.
Shui Khan e Furagu sguainarono le armi. Il minatore non c'era più. Un sonaglio tintinnò, seguito dal rumore di ossa rotte, come se qualcuno avesse schiacciato la carcassa di un volatile. Il corpo del vecchio cadde tra i tre membri della Kotoba.
“Cra! Dei visitatori, bene bene bene, mi annoiaaaaavo…”
Quella voce sembrava molto strana, come l'oscurità soprannaturale che li circondava. Shui Khan slegò la maschera che portava legata alla cintura e la indossò, nel frattempo Furagu si era messo in posizione di difesa. Il combattimento cominciò con un sortilegio lanciato da Ayako. Proiettò una palla d'acqua luminosa verso la volta della grotta, che espose in mille gocce luminose quando lo toccò.
“Visto!” Esclamò l'uomo scimmia, che scattò rapido per colpire una massa nera.
Purtroppo era andato a colpire solo un pezzo di roccia. L'essere si lanciò su di lui scagliando dei colpi di artigli fatti d'ombra. Furagu rispose ai colpi per aiutarlo. Scagliò un fendente nell'oscurità con la sua katana in grigioferro che colpì forte il fianco della cosa. Quest'ultima lasciò la presa e arretrò. Aveva le fattezze di un mostro, una specie d'uomo col viso deformato da un becco lungo e nero. Delle piume ricoprivano parte del suo corpo, e indossava solo pezzi stracciati di indumenti consunti. Le mani erano dotate di artigli affilati e il suo sguardo era minaccioso.
“Craaaa, vi uccido!”
Ma non ebbe il tempo di trasformare la sua minaccia in azione. Shui Khan aveva reagito con dinamismo affondando una lama corta nella gola dell'avversario. Questo cadde a terra. In procinto di soffocare col proprio sangue, Ayako si precipitò per evitare che la creatura morisse in modo da poter fornire informazioni preziose.
“Non è così che agisce un bracconiere.” Disse lei, tentando di chiudere la ferita con un incantesimo.
Per evitare problemi, Furagu e Shui Khan tenevano bloccate le braccia della creatura.
“Ha addosso una potente maledizione. Non riuscirei a toglierla.”
“Una maledizione? Roba magica? Credo di poter fare qualcosa.” Affermò il bracconiere. “Spostati se non vuoi avere problemi.”
Shui Khan si concentrò per alcuni minuti, poi toccò il suolo col solo indice destro. Delle linee, poi delle forme apparirono per formare dei glifi di un rosso luminoso. La creatura prima urlò, poi scomparve come per magia. Contemporaneamente svanì il velo d'ombra e le torce tornarono ad illuminare normalmente. In fondo al tunnel videro una forma che sembrava essere una persona. Un uomo molto magro, con capelli e barba molto lunghi. Stava riprendendo coscienza. La sua voce non era che un sussurro.
“Vi ringrazio… mi avete liberato da questo fardello.”
“Cosa ti è successo?” Chiese Furagu.
“Io… Io ero il caposquadra qui, responsabile di questa sezione. Credo ci fosse un anziano imprigionato qui, uno stregone o qualcosa del genere. Mentre… Mentre alcuni cercavano di liberarlo, mi ha lanciato un sortilegio e sono rimasto qui incosciente. Dato che ho l'impressione di vivere un sogno ad occhi aperti… Io… Io credo che quell'uomo fosse Tengu, il Corvo. È venuto da me diverse volte quando avevo l'aspetto di mostro… *coff coff* Grazie ancora… Penso che sia ora… Grazie…”
L'uomo, allo strenuo delle forze e la cui vita era stata prolungata più del dovuto grazie alla magia, spirò davanti agli occhi velati dalle lacrime di Ayako. Era la prima volta che vedeva un uomo morire. Dopo una rapida ricerca nella zona, non scoprirono più niente.
“Andiamocene da questo luogo saturo di sciagura, dobbiamo fare rapporto immediatamente.”
Parte 2. L'Imperatore
Toran lesse con attenzione il rapporto della missione. Apprezzò il numero di dettagli che conteneva poiché ciò dava a lui una migliore visione della situazione nella sua interezza. Egli si soffermò poi sulla conclusione e l’incontro col minatore assopito. La coincidenza era troppo evidente e in quel momento seppe che il corvo aveva commesso un errore, dandogli i mezzi per agire. Dopo averlo riletto in modo da ricordarne tutti i dettagli a memoria, bruciò il rapporto.
“Andiamo a riprenderci l’Imperatore”, disse guardando la pergamena che bruciava rapidamente.
Toran lasciò la sala del consiglio per dirigersi verso la stanza dell’Imperatore. Incrociò un servitore al quale ordinò di andare a cercare urgentemente Iro. Davanti l’ingresso vi era Asajiro: il pover’uomo era visibilmente esausto per via del fatto che, da quando aveva assunto quel ruolo al servizio dell’Imperatore, non dormiva che per pochissime ore ogni notte. Nonostante ciò, si sforzò di mettersi sull’attenti mentre Toran si avvicinava.
“Avete il volto di un fantasma”, gli disse il Reggente.
“Il mio lavoro è più importante della mia salute.”
“Questa è una risposta che vi fa onore, l’Impero non dimentica mai coloro che lo servono con dedizione.”
“In questo caso chiederei all’Impero un letto comodo”, aggiunse Asajiro scherzosamente. “Desiderate vedere l’Imperatore?”
“Si, ma sto attendendo che arrivi qualcuno prima. Quando questa persona sarà arrivata, allora entreremo. A quel punto lei non lascerà entrare nessun altro, neanche coloro che hanno l’autorizzazione di farlo.”
“Sarà fatto, a costo della vita.”
Iro arrivò solerte, col fiatone per aver percorso metà del palazzo imperiale di corsa.
“Avete chiesto… di me, Reggente?”
“Si, entriamo e ti spiego cosa sta accadendo. Asajiro, sta a voi difendere il vostro onore.”
Iro aggrottò le sopracciglia.
“Adesso ascoltami bene, per farla breve, sai che il sonno dell’Imperatore è tutt’altro che naturale. E conosciamo entrambi chi ne è il responsabile.”
“Il corvo…” Sussurrò Iro a denti stretti.
“Fino ad ora non avevamo nessuna pista da seguire, ma vostra sorella, Furagu e Shui Khan hanno indagato sulla vicenda e ciò ci permetterà, spero, di destare l’Imperatore dal suo sonno.
“Mia sorella? Ayako? È di nuovo sfuggita a nostro nonno?”
“Non esattamente, sta diventando un membro della Kotoba, e di certo, dopo queste vicende, sarà ufficializzata a breve.”
“COSA? Di già? Ma è così giovane!”
“Tu eri più giovane.”
Iro non replicò, Toran aveva ragione.
“Va bene, e adesso cosa facciamo Reggente?”
“Entreremo nei sogni dell’Imperatore per vedere ciò che lo sta trattenendo.”
“E come facciamo?” Domandò Iro con aria perplessa.
I tatuaggi di Toran iniziarono a mescolarsi per trasformarsi in due magnifici serpenti piumati semitrasparenti.
“I Cercafalla sono esseri incredibili, il loro nome deriva da una delle loro peculiarità: quella di trovare una falla che permetta di passare da un mondo all’altro. In questo modo possono navigare dal loro mondo al nostro, e dal nostro al mondo onirico, il quale fu creato da zero da qualcuno. Essi ci trasporteranno.” I due Cercafalla fecero il giro della stanza poi si immersero nel ventre dell’Imperatore, generando un grande lampo viola. In quel momento, Iro e Toran si ritrovarono in un altro mondo.
Essi erano ancora nella stessa stanza, ma le decorazioni diverse e l’assenza dell’Imperatore dal suo letto provavano che non si trovavano più nello stesso mondo. Iro sfoderò la sua Parola dell’Imperatore e avanzò verso la porta per ascoltare. Nessun rumore proveniva dal corridoio, così aprì la porta. I corridoi erano vuoti, proprio come il resto del palazzo. Tutti gli emblemi erano quelli del clan del Corvo.
“Questa è una prova. Ma dov’è l’Imperatore?” Si spazientò Iro.
“Ragioniamo come il Corvo. Se fossi in lui e mi avessero imprigionato in fondo a una grotta sperduta, come mi potrei vendicare?” Si chiese Toran.
“Con un duello all’ultimo sangue?” Rispose il campione.
“No, il Corvo non farebbe così, credo preferirebbe far subire la stessa condanna al suo carceriere.”
“Ma l’Imperatore ha intrappolato il Corvo da qualche parte?”
“Non questo Imperatore, ma uno dei suoi predecessori.”
“Capisco. In questo caso, se ci troviamo qui è per un motivo preciso. L’Imperatore è stato rinchiuso nella prigione del palazzo?”
“Esattamente, se paragonassimo la situazione nella miniera a questa, logicamente ci troveremmo negli stessi luoghi dove si trovava lui.”
“Non sto comprendendo appieno ma ti credo, scendiamo verso la prigione.”
Quando arrivarono nel seminterrato, tutto cambiò. Non erano più nei corridoi dritti scavati nella pietra, ma in tunnel bui. Davanti a loro una lastra con incisi due numeri: 10 e 15.
“Un sistema di localizzazione. Non siamo più nelle prigioni”, affermò Toran.
Dal tunnel, davanti a loro si avvicinò una luce, poi apparve una forma umanoide. Era un uomo con la tenuta da soldato che teneva in mano una torcia. Si fermò arrivato alla loro altezza.
“Sono desolato, ma il tunnel rischia di crollare, non potete andare più avanti di così senza rischiare la vita.”
Toran e Iro non lo ascoltarono e proseguirono all’interno del tunnel.
“Io vi ho avvertiti, solo la morte vi attende al termine di questa miniera!” Gridò il soldato.
Non appena finì di dirlo, polvere e pietre cominciarono a cadere dalla volta. Più avanzavano e più il soffitto crollava. Finirono per correre più veloce che potevano, cercando di sfuggire al crollo completo del tunnel. L’entrata ormai era bloccata. In fondo al passaggio videro un uomo sdraiato a terra. Aveva capelli e barba lunghi, e i suoi abiti erano logori. Quando Toran e Iro vollero vedere più da vicino, l’uomo mise le mani insanguinate come a proteggersi la testa e inizio a gemere.
“No! No per favore! Non picchiarmi più!”
Iro riconobbe la voce dell’Imperatore.
“Maestà, sono io, Iro, il vostro campione.”
“No non sei tu! Sei già venuto e mi hai tagliato un dito, non farmi del male.”
L’uomo aveva l’aria veramente terrorizzata. Un’ombra cominciava a propagarsi attorno all’Imperatore.
“Signore, sono Toran, detengo la Reggenza dell’Impero in attesa del vostro ritorno, potete fidarvi di noi.”
“NOOOOOO! Tu sei il peggiore! Mi frughi nella testa per far uscire i ricordi più belli e distruggerli.”
“È un trauma grave, non so in che misura questo peserà sulla sua condizione mentale una volta fuori.”
Toran evocò di nuovo i suoi Cercafalla per tornare nel mondo reale, ma nessuno dei due trovò il modo di uscire.
“Siamo in trappola!” Inveì Iro. “A meno che…”
Il Campione dell’Imperatore affondò la sua arma nel petto dell’Imperatore, che morì sul colpo. Attorno a loro tutto cambiò e si ritrovarono di nuovo nella camera. L’Imperatore inspirò profondamente e lacrime rigarono il suo volto.
“Che hai fatto Iro?” Domandò Toran.
“Quando ero piccolo facevo spesso degli incubi in cui mi battevo contro dei mostri. Mi risvegliavo solo quando uno di loro riusciva a uccidermi.”
“È stato rischioso.” Criticò lo Tsoutai.
“Ma ha funzionato”, rispose l’Imperatore che si stava poco a poco riprendendo. “Di questo ve ne sarò eternamente riconoscente. Adesso aiutatemi, ho qualcosa da fare.”
“Non volete riposarvi un po’?” Si preoccupò Iro.
“Così ho deciso!”
Toran e il Campione aiutarono l’Imperatore ad alzarsi. Dopo aver passato così tanto tempo a letto, le sue gambe riuscivano male a sostenerlo, ma non durò a lungo. Nel corridoio intanto, Asajiro aveva lottato per un’ora buona con consiglieri e cortigiani che volevano rendere omaggio all’Imperatore. L’ufficiale imperiale era sul punto di svenire, ma nonostante tutto era riuscito nella sua missione.
Iro uscì per primo, con la mano sull’elsa della sua Parola dell’Imperatore. Scrutò la folla e vide Oogoe. Lo fissò dritto negli occhi e rivolgendosi a tutti:
“Inginocchiatevi di fronte all’Imperatore!”
L’Imperatore ancora barcollante attraversò l’uscio aiutato da Toran. Tutti si prostrarono allora al miracolo. Il figlio del cielo abbracciò i presenti con lo sguardo e scorse Oogoe.
“Membro del clan del Corvo, portami al cospetto del tuo maestro.”
Oogoe si rialzò senza guardare l’Imperatore e gli passò davanti per fargli strada.
“Maestà, i nostri passi ci condurranno ai quartieri poco raccomandabili di Meragi…”
“A proteggermi c’è il miglior combattente dell’impero.” Rispose l’Imperatore.
Toran non cercò di contrariare l’Imperatore che aveva chiaramente un’idea in testa. Si accontentò di assicurare, insieme ad Iro, un’adeguata protezione in un quartiere che, oltre essere tra i più malfamati, era anche il punto di riferimento indiscusso del clan del Corvo.
Oogoe si fermò davanti ad una grande dimora fatiscente in cui il tetto dava riparo a un buon numero di corvi. Gli uccelli presero il volo in una cacofonia di gracchi quando l’Imperatore passò attraverso l’ingresso. Oogoe continuò in avanscoperta, annunciando la venuta dell’Imperatore a quelli del clan che erano presenti. Vedendo Toran e Iro, nessuno esitò a inginocchiarsi. Karasu vide passare il gruppo e lo seguì “giusto in caso”. Dopo essere saliti per tre piani Oogoe si fermò davanti a una porta doppia e proprio quando stava per annunciare l’arrivo di un illustre visitatore una voce risuonò.
“Fallo entrare… da solo.”
“Da solo? Assolutamente no”, ribatté Iro.
“Ve lo ordino”, disse l’Imperatore.
Oogoe aprì una delle porte, l’interno della stanza era buio perché illuminato esclusivamente da candele. L’Imperatore entrò senza la minima paura. Nella stanza il clima era teso. Nel complesso sembrava vagamente una caverna, i muri erano deformati. Daijin era seduto in alto, sovrastando l’Imperatore. Il viso del Corvo era austero, i suoi occhi si affondarono nello sguardo affaticato del sovrano. Dopo un lungo silenzio dove ciascuno osservava e giudicava l’altro, Daijin cominciò la conversazione.
“Alla fine sei uscito dal luogo in cui ti avevo rinchiuso… Devi essere fiero del tuo campione. Allora, che si dice? Sei venuto a portarmi cattive notizie? Dovrò difendere cara la mia pelle?”
L’Imperatore restò in silenzio, aveva riflettuto bene sul momento del confronto con il responsabile della sua malattia. Aveva analizzato il motivo di tutto ciò e l’impatto che avrebbe provocato sull’Impero di Xzia. Davanti agli occhi stupiti di Daijin, il figlio del cielo posò il ginocchio al suolo e portò la fronte sulle mani giunte a terra.
“Gli errori dei miei antenati non sono i miei errori. Il mio solo desiderio è di riportare l’Impero alla gloria che merita. Fuori l’Impero è diviso per la vostra collera nei miei confronti. In più, a nome dell’Imperatore e dell’Impero che vi ha offesi domando perdono. I tempi della scissione sono finiti e riconosco davanti a voi la vostra forza e quella del clan del Corvo."
Daijin non si aspettava niente di tutto ciò. Nonostante la rabbia che egli provava da tanto tempo gli dicesse di continuare, aveva ricevuto delle scuse dall’uomo che regnava sull’Impero di Xzia, e questo contava. Come spirito, egli era legato da una specie di codice. Era davvero arrivato il tempo di cessare con le contese?
“Finalmente…”
Daijin si alzò, discese i pochi passi che lo separavano dall’Imperatore e posò la sua mano sulla spalla.
"Tu hai fatto ciò che i tuoi predecessori non hanno mai avuto il coraggio di fare, pieni com’erano del loro orgoglio e della loro arroganza. Gli spiriti vanno rispettati e la lezione è stata appresa chiaramente. Non c’è più motivo di farti del male. Accetto le tue scuse, sarai un grande Imperatore e sii certo della fedeltà eterna del mio clan."
L’Imperatore si alzò, si scrollò la terra di dosso e partì così com’era venuto.
Nell’indomani, l’Imperatore organizzò una riunione con gli alti funzionari dell’Impero per mostrare il suo ritorno. Toran era al suo fianco, così come Daijin.
“È tempo per l’Impero di Xzia di rivolgersi verso il futuro. Sono accadute molte cose durante la mia assenza e avrò bisogno di tutte le forze per mantenere la nostra supremazia. Signor Toran.”
Lo Tsoutai si alzò e si inginocchiò davanti al presagio celeste.
“Avete servito con fedeltà l’Impero, vi congedo dal vostro incarico di Reggente. Voi avete la responsabilità di vegliare sui templi Tsoutai dell’Impero. Vi auguro un felice ritorno dai vostri, Venerabile."
Toran s’inchinò e tornò al suo posto.
“Daijin, capo del clan del Corvo.”
Il vecchio si alzò a sua volta.
“È giunto il momento che il capo del vostro clan faccia parte della nobiltà. Vi affido la gestione del quartiere di Seichin di Meragi. Sarete inoltre consigliere mistico e protettore dell’Impero. Sarà fatto il necessario per tirar fuori dalla miseria la gente del vostro clan.”
Agli estranei sarebbe potuta sembrare poca cosa, ma in questo modo l’Imperatore riconosceva il clan del Corvo come elemento importante per la vita dell’Impero.
Daijin procedette come Toran e tornò al suo posto, forte di un nuovo potere.
“Campione dell’Imperatore!”
Iro che, come da tradizione, era già in piedi, fu sorpreso nel sentir chiamare il suo nome. Andò a posizionarsi al centro del cerchio come avevano fatto Toran e Daijin prima di lui. Una guardia portò una custodia in legno abbastanza snella.
“Nella storia dell’Impero, solo una persona ha portato quest’arma.”
L’Imperatore prese la custodia e l’aprì in modo tale che tutti potessero vederne il contenuto. Al suo interno c’era una spada dalla forma particolare, diversa dalle Katane tradizionalmente fatte nell’Impero. Quell’arma sembrava aver lavorato a lungo tanto che la lama risultava scheggiata in diversi punti.
“Ecco Kusanagi, spada di Xzia. Brandiscila con orgoglio Campione dell’Imperatore, perché tu sei il simbolo della potenza militare dell’Impero!”
Iro rifiutò più volte il dono, troppo importante per lui. Alla fine, come voleva la tradizione, accettò e tornò al suo posto.
“È il momento di mostrare al mondo che l’Impero è vivo e vegeto!”
Astenaki (è il cap 3)
L'Intrappolato, Malyss, Occhio di Gemma ed Ergue avevano affrontato molte disavventure prima di trovare l'apprendista di Eredan, Ciramor. Avevano attraversato decine di isole ed incontrato persone e creature tra le più pittoresche del creato. Ogni volta che avevano dovuto affrontare una prova, l'avevano superata grazie alle capacità di ciascuno e anche se il morale era alto, la fatica cominciava a gravare su tutti loro. Ancora una volta scese la notte e pertanto dovettero fermarsi e preparare un accampamento. Ciramor invece era fermo a guardare il sole tramontare dietro alle isole galleggianti. Ergue era intento a pulire un animale appena catturato e Malyss diede fuoco con la magia ad una catasta di legno, sulla quale avrebbero cucinato la preda appena catturata. Occhio di Gemma era troppo stanca per fare qualsiasi cosa e così decise di riposare. L'Intrappolato si diresse da Ciramor.
“Sembri preoccupato.”
“No, in realtà non molto.”
Ciramor si avvicinò al fuoco.
“Ascoltatemi, domani arriveremo sull'isola di Mangiapietra. Dovrete affrontare una grande prova.”
“Ok, ma qual'è questa prova?” chiese Ergue.
“Lo scoprirete domani”, rispose divertito.
“Ci ho provato”, rispose lo Zil.
“Cercate di riposare bene questa notte. Domani vi mostrerò dove dovrete andare ma dovrete farlo senza di me.”
“Molto bene, sono arcistufo di sassi volanti”, intervenne Malyss.
“Questa è una buona notizia ma spero che Mangiapietra sia all'altezza della sua fama e che noi non si abbia sprecato tempo.”
“Non ti preoccupare Intrappolato, ne vale la pena.”
Il gruppo, dopo un pasto veloce, andò a dormire. Solo l'Intrappolato rimase sveglio. Si perse nei suoi pensieri, sentiva che vicino c'era qualcosa di familiare. Guardò le fiamme del falò e pensò alla foresta e a suo fratello. Le ore passarono e finalmente si stava per addormentare, quando percepì che stava succedendo qualcosa attorno a lui. Sentiva movimenti e sussurri. Cercò di alzarsi ma era come se fosse stato incollato al terreno.
“Intrappolato... Intrappolato... svegliati.”
Il Daïs si svegliò. Il paesaggio era cambiato. Non erano più nel loro campo base ma in un altro posto: un bosco di alberi giganteschi, sotto i quali dimoravano cristalli di molteplici colori. L'Intrappolato pensò che fossero tornati alla foresta Eltarite ma poi si rese contò che erano stati tutti legati.
“Che succede?” chiese.
“Non lo sappiamo, ci siam ritrovati così”, rispose Ergue.
“Li sento bisbigliare, parlano in uno strano dialetto ma lo capisco.”
“Di sicuro non fa parte della prova per trovare Mangiapietra, anche Ciramor è stato legato”, disse Malyss indicando Ciramor, anche lui legato come un salame.
Tutti si voltarono verso di lui.
“Non posso dirvi molto, anche io son nella vostra stessa situazione. Non ho la minima idea di chi siano queste persone.”
“Silenzio, sono in contatto mentale con uno di loro.”
Poco distante dal gruppo, nella boscaglia c'erano persone non più nascoste.
“Non avere paura, non possiam farti del male, siamo legati.”
Il gruppo venne avvicinato da una persona, un cristallo brillò.
“Un elfine!”, disse Ergue stupito.
Era una giovane fanciulla, con un vestito verde composto da legno e chitina. L'Intrappolato rimase allibito dal fatto che ci fosse una tribù elfine nei Confini; credeva ce ne fossero solo nella foresta Eltarite e nelle foreste di Guem.
“Perché ci avete catturato?”
“Siete penetrati nel nostro territorio, sarete puniti per quest'affronto.”
“Ciramor, sapevi che c'erano Elfine ai Confini?” chiese Malyss.
“Come ti ho detto, non conosco queste persone.”
“Sarete condotti davanti ad Il Sachem che vi giudicherà”, aggiunse l'Elfine.
“Io sono l'Intrappolato, vengo da un posto dove c'è gente come te.”
L'elfine annuì stupita dalle parole del dais, poi saltò su un albero e sparì.
“Ben fatto, così se ne è andata”, disse Ergue. “Adesso che facciamo? Se vuoi posso liberarmi di queste liane.”
“No, aspettiamo che si facciano loro avanti”, intervenne Ciramor.
“Ah che sagge parole, Ciramor, noi del Clan del Corvo preferiamo sempre evitare il conflitto aperto. La contrattazione è la nostra arma migliore”, rispose annuendo Malyss.
“Ah perfetto ma cosa contrattiamo? Non abbiam nulla da offrire”, scherzò Occhio di Gemma.
“Abbiamo altri vantaggi, per esempio abbiamo un Daïs con noi”, rispose Ciramor.
L'Intrappolato era intento ad osservare l'ambiente che li circondava, riusciva a percepire la natura come nella foresta Eltarite. D'un tratto giunsero diversi Hom'Chaï, ricoperti di tatuaggi tribali, che li condussero in un villaggio. I prigionieri vennero sistemati sotto ad una tenda.
“Ho passato giorni migliori”, disse Malyss.
Dalle ombre spuntò fuori un elfine.
“Shh, voglio fare qualche domanda”, disse l'elfine.
“Mi chiamo L'Intrappolato.”
“Non dirle niente, è chiaro come il sole che vuole informazioni per ricattarci”, accusò la pirata.
“Sta un po' zitta”, intervenne Ciramor. “Stiamo a sentire.”
“Quando ero piccola mi hanno raccontato delle storie sulle creature che ci perseguitarono tempo addietro. Tu corrispondi a quella descrizione”, disse l'elfine.
“Qual'è il tuo nome?” chiese l'Intrappolato.
L'elfine esitò ma poi rispose.
“Sono Silikat, ecco chi sono, da dove vieni?”
“Lascia che ti mostri chi sono.”
Il Daïs non mosse le labbra per parlare ma utilizzò la straordinaria capacità di comunicare mentalmente. Grazie a ciò poté inviare immagini e ricordi tramite la sola forza del pensiero. L'Intrappolato si concentrò e mandò immagini della foresta da cui proveniva, dell'Albero-Mondo, delle persone che aveva conosciuto e insistette nel voler dimostrare alla elfine che la sua tribù non era l'unica di quella specie. La reazione dell'elfine fu indubbiamente positiva. La loro “ discussione” venne però interrotta dall'arrivo degli Hom'Chaï; appena questi si accorsero della presenza dell'elfine decisero di metterla alla porta. La venuta di questi giganti non rassicurava per nulla il gruppo, Malyss pensava che se la sarebbero vista brutta da lì a poco. I viaggiatori vennero afferrati e trascinati come sacchi fino al centro del villaggio. Non era un brutto posto. Attorno c'erano vari tronchi su cui erano seduti vari abitanti del villaggio, i quali scrutavano con aria ostile i prigionieri. Nella “piazza” di forma ovale era sistemato un enorme totem che rappresentava moltitudini di creature. Nella terra, poco distante, era stata scavata una buca, nella quale era sistemato un grande uovo grigiastro. Ciramor lo riconobbe immediatamente.
“Quello è il Mangiapietra.”
Concentrarono tanto lo sguardo sull'uovo che non si accorsero della persona affianco al totem, seppure il carisma che emanava fosse non indifferente. Gli Hom'Chaï gettarono i loro “pacchi” a terra con tutta la delicatezza a loro disposizione, vale dire senza alcun riguardo. Immediatamente costrinsero i prigionieri ad inginocchiarsi. Il Sachem, anziano elfine e capo del villaggio, aveva lunghi capelli grigi, ornati con diverse piume multi colore e con teschi di uccelli. I suoi occhi erano viola, il che scioccò l'Intrappolato, dal momento che non aveva mai visto nulla di simile. Il suo vestito era composto da molte collane di chitina, cristallo ed osso. Non degnò di molta attenzione gli umani ma si fermò a guardare il Daïs, quest'ultimo sentì un forte attacco mentale, i suoi pensieri perquisiti. Così chiuse la sua mente ad ogni assalto esterno, come solo quelli della sua razza sapevano fare. Ciò irritò notevolmente il capo tribù che sputò per terra prima di dirigersi alla sua pedana.
“Fratelli e sorelle, questi stranieri sono venuti per distruggere Astenaki e bruciare il nostro villaggio. Nelle nostre terre si sono avventurati, per causarci nient'altro che dolore. Guardate miei fratelli, guardate mie sorelle, guardate cosa ci inviano gli spiriti maligni.”
Un Hom'Chaï, dopo aver ricevuto un cenno, afferrò l'Intrappolato e lo portò al capo.
“Le creature che hanno recato dolore ai nostri antenati sono tornati per stanarci”, disse tirando i capelli del Daïs, che cominciava a diventare furioso.
Alcuni si alzarono per chiedere la sua testa, altri per chiedere che il Sachem agisse, ma tutti concordavano sul fatto che dovessero morire. Il Sachem mollò la presa e mandò a sbattere per terra la testa del Daïs. L'Intrappolato avrebbe potuto incanalare tutta la rabbia che provava ma non sarebbe stato d'aiuto; l'Hom'Chaï lo teneva ed intorno non c'erano altri che nemici.
“Domani sarete offerti in sacrificio ad Astenaki ed il nostro villaggio potrà tornare all'armonia.”
“Ti sbagli”, rispose il Daïs. “Non siamo venuti per farvi del male, se abbiamo violato il vostro territorio ci scusiamo.”
“Non hai bisogno di addolcire la situazione con la retorica, vile creatura”, disse facendo un passo indietro. “Fissateli al pilastro della sofferenza in modo che possano espiare i loro peccati, prima di essere giustiziati.”
Silikat aveva assistito, come tutto il villaggio, alla scena. Fin da piccola aveva sognato di viaggiare per il mondo ma tutti dicevano che oltre i territori della tribù ad attenderla ci sarebbe stata solo la morte. Poi però l'Intrappolato le aveva mostrato altri luoghi ed altri popoli. Coloro che provavano ad uscire dal villaggio erano sempre rimproverati. Silikat pensò che anche se quella creatura, quel Daïs, avesse mentito su tutto, l'unico modo per scoprirlo sarebbe stato dandogli fiducia. L'elfine amava la sua vita ma sentiva che che non le bastava, quindi con buona pace di quell'invasato del Sachem, questa notte avrebbe provato a far fuggire l'Intrappolato.
Torniamo però alla nostra squadra. Ciascuno di loro era stato legato ad un totem. Immediatamente capirono perché si chiamassero pilastro della sofferenza, dal momento che erano irti di spuntoni. Chi era stato legato ad essi cominciava a sanguinare dalla schiena, un vero supplizio.
“Dovremmo andarcene da qui”, insistette Occhio di Gemma.
“Scapperemo questa notte. Ciramor, sei in grado di portarci via da qui?”
“Ahime, no. I Confini sono enormi e non ho la minima idea di dove siamo.”
“Lo fai apposta. Non stai facendo nulla, dov'è il grande mago che ci ha condotto fino ad ora?”
In realtà Ciramor nascondeva qualcosa. Forse faceva tutto parte del test? La notte arrivò nuovamente ai Confini. Le pance della quadra brontolavano all'unisono. Non avevano mangiato ed erano spossati dalle ferite del pilastro della sofferenza. Ogni tanto passava un Hom'Chaï a deriderli. D'un tratto comparve Silikat, portando con se un grosso piatto di legno ricolmo di cibo.
“Che hai lì?” chiese un carceriere.
“Ho pensato che fosse più semplice tenere d'occhio i prigionieri con la pancia piena. Vi ho portato il piatto più prelibato, l'Harag-na.”
L'Hom'Chaï ringraziò profondamente ed insieme ai suoi colleghi carcerieri si fiondò senza esitazione sul cibo. Passarono pochi istanti e il potente sonnifero che era stato aggiunto al cibo fece effetto. Silikat non perse tempo e liberò i prigionieri delle loro catene.
“Venite... seguitemi in silenzio.”
Troppo stanco e ferito per obiettare, l'Intrappolato diede una mano a liberare i suoi compagni.
“Abbiamo bisogno del Mangiapietra”, disse uno di loro.
Il Daïs realizzato lo scopo della sua missione si mosse con rapidità. Era furioso per il disprezzo per la vita che il popolo eltarite aveva dimostrato. Progredendo in silenzio pensò ad un semplice ma efficace piano d'azione. Il paese era diviso in due parti in modo che si fosse sempre liberi di accedere al totem. Il Daïs fece appello alla sua conoscenza dei sortilegi della natura e fece apparire muri impenetrabili di radici in modo da schermare la strada dal villaggio. Mentre si dirigeva con velocità verso l'obiettivo si accorse che non era solo, Il Sachem era fermo poco avanti.
“Ti ammazzo e la tua testa adornerà la mia capanna”, disse il capo-villaggio.
Il Daïs decise di attaccare a mani nude, o meglio con le sue braccia affilate come rasoi. L'elfine ancora agile per la sua età fece un balzo all'indietro e scagliò in aria i crani di uccelli che adornavano i suoi capelli. Uno spirito di uccello comparve per attaccare il Daïs. L'Intrappolato e lo spirito si diressero l'uno contro l'altro ma mentre il Daïs stava attaccare, l'avversario scomparve nel nulla. Non era altro che un diversivo. Nello stesso istante il capo-villaggio lanciò un incantesimo molto più potente. Gocce di acido cominciarono a piovere nella zona in cui c'era l'Intrappolato, ogni goccia caduta a terra esalava fumo. Il Sachem, pregustando la vittoria, cominciò a ridere ma, purtroppo per lui il suo avversario era immune a tale tattica. Il Daïs sentiva la rabbia crescere in lui e percepiva che i blocchi mentali creati da suo fratello si stavano sciogliendo. Saltò sull'elfine atterrandolo, gli poggiò le mani grondanti di acido sulla testa e urlò.
“Io sono un Daïs, figlio dell'Albero-Mondo e protettore degli Eltarite. Ti mostrerò la vera via, una via che conduce ad una sola cosa: la tua sconfitta.”
Invece di colpire, però si ritrasse, lasciando libero il capo-villaggio. Si diresse poi verso il centro della piazza, in cui stazionava l'uovo. Il Sachem si rialzò con le lacrime agli occhi, il viso sfigurato dall'acido sarebbe rimasto così fino alla fine della sua vita. Dal nulla sguainò un pugnale, pronto ad utilizzarlo a tradimento. Uno strano rumore si percepì nella notte e il Sachem crollò a terra. Silikat sbucò dal nulla e si avvicinò all'Intrappolato.
“Cosa ci faccio qui. Me ne pentirò per il resto della mia vita.”
“Non credo, grazie a te siamo in grado di salvare il nostro mondo.”
L'Intrappolato e Silikat raggiunsero gli altri, Ciramor spalancò gli occhi quando vide l'uovo.
“Ce l'hai fatta.”
“Allora leviamo le tende”, disse spazientita Occhio di Gemma. “È stato bello ma torniamo a casa.”
“Abbiamo ancora bisogno di sapere dove andare”, intervenne Ergue.
“Bhe io ho una soluzione... ma intanto allontaniamoci dal villaggio”, disse nuovamente la pirata.
“Sì hai ragione, andiamo prima che parta l'inseguimento.”
La truppa con l'uovo di Mangiapietra ripartì il suo viaggio attraverso la natura.
Continua....
Gli dei morti
Capitolo 1 - Omicidio
Il Principe Metchaf guardava la sabbia del deserto di Smeraldo che si stendeva fino all'orizzonte. Quel giorno erano giunte ad Aksenoun numerose carovane, portando con loro la notizia di un imminente tempesta di sabbia. Questo avrebbe complicato la ricerca dell'ultima città in mano ai ribelli. L'Aif Salah Medhir, grazie all'aiuto del principe, aveva ritrovato sua figlia e ripreso il comando della città. Come ringraziamento il principe era stato invitato a rimanere quanto voleva. Il figlio del deserto decise di approfittare dell'ospitalità per concedersi del tempo con la sua promessa sposa e con il padre di lei; quest'ultima giunse sulla terrazza dove si trovava il principe.
“Principe, una guardia reale appena giunta ha chiesto di poter conferire con lei.”
Il principe che non aveva chiesto alcun rinforzo ne rimase sorpreso.
“Lascialo entrare, ti prego”, rispose sospirando.
La figlia dell'Aif si voltò dando istruzioni alla servitù. La guardia reale giunse attenendosi al protocollo. Il principe rimase stupito dal vedere che la guardia reale fosse femmina e piuttosto avvenente.
“Sono Urakia, suo padre mi ha mandato per assistervi”, disse togliendosi l'elmo.
Quel nome era vagamente familiare. Ma sì! La figlia del primo consigliere di suo padre, il Visir Mahamoud. Erano all'incirca delle stessa età e avevano spesso giocato insieme quando erano piccoli.
“Mio padre mi ha inviato qualcuno di importante, è fuori questione che io torni a Mineptra”, pensò.
“Bene, gli aiuti contro i ribelli non sono mai troppi. Va' dal capo della guarnigione di Aksenoun e informalo che ora hai tu il comando.”
“Grazie, mio Signore.”
“Signore... una volta ci chiamavamo per nome..”
“Altri tempi, altri ruoli figlio del Re del Deserto. Ho fatto un lungo viaggio, prendo congedo.”
“E sia. Stasera però mangerai alla mia mensa.”
Questo era un grande onore e segno di notevole stima. Urakia ne sembrò orgogliosa. La figlia dell'Aif ne sembrò invece gelosa.
“Mio principe, è forse necessario avere questa guerriera al nostro tavolo?” chiese con tono di rimprovero.
Il principe scoppiò a ridere.
“Si mostrerà a tutti in modo da far sapere della sua presenza, questo farà desistere qualcuno dal tramare alla mie spalle. Non ti preoccupare, solo tu sei nel mio cuore”, disse baciandola.
“Ora va a prepararti, voglio che tu sia più bella che mai, degna del ruolo che ricoprirai, mia futura regina.”
Il principe riprese a giocare con i pesci mentre l'attenzione della figlia dell'Aif tornava ad essere concentrata sulla servitù. L'orizzonte si stava tingendo di rosso e l'attività all'interno del palazzo era in fermento. Deliziosi profumi provenivano da ogni stanza. Risuonavano dolci note musicali e le ballerine si muovevano tra i tavoli, dove gli ospiti attendevano di sedersi quando sarebbe finita la benedizione del sacerdote di Sol'ra. Quest'ultimo vestiva sontuosamente con un abito di splendida fattura, monili d'oro e pietre solari. Venne il silenzio e tutti, nessuno escluso, si voltarono nella sua direzione.
“Nessuno può contrastare la volontà di Sol'ra. Coloro che non seguono i suoi dettami sono stati puniti. Grazie Sol'ra per aver inviato il Principe Metchaf a ristabilire l'ordine.”
Tutti i partecipanti si inchinarono in direzione del principe, il quale non ebbe alcuna reazione, essendo abituato ad un simile trattamento.
“Ora continuiamo pure”, riprese il sacerdote.
Tutti ripresero il proprio posto a sedere ma il sacerdote non poté ricominciare il sermone; una volata di vento irruppe nella stanza mandando a terra tutto ciò che incontrava. La servitù si apprestò a rimettere in ordine ma in quel mentre, un urlo soffocato raggelò l'ambiente. Il sacerdote galleggiava in aria, avviluppato da folate di vento che gli squarciavano la carne. Urakia fu la prima ad intervenire e cercò di riportare a terra il sacerdote, ma non ce la fece. Il principe afferrò una cassapanca di legno e la usò per colpire l'invisibile nemico ma questa si ruppe in mille pezzi. Mentre il sacerdote stava morendo dissanguato, la sabbia portata dal vento prese una forma umana, la forma di una donna dagli occhi neri. I suoi capelli galleggiavano nell'aria e le sue vesti, che sembravano molto vecchie, erano ricoperte si simboli proibiti. La maggior parte degli ospiti fuggì in preda al panico e vennero sostituiti dalla guardie, accorse in gran numero. Il sacerdote morì prima di poter toccare terra. Il principe sguainò la spada e la indirizzò verso l'aggressore.
“Sento il sangue che ti pulsa nelle vene”, disse la donna dagli occhi neri.
Poi mise una mano vicina alla bocca del sacerdote. Ne uscì un globo di luce brillante che lei ingoiò immediatamente.
“Ci vedremo presto”, disse mentre le guardie andavano alla carica.
Una nuova folata di vento irruppe nella stanza e trasformò nuovamente la donna in qualcosa di impalpabile.
Metchaf ed Urakia non esitarono un istante e si diressero all'inseguimento della nuvola di sabbia, che si stava dirigendo fuori dalla stanza. Entrambi erano Solarian e questo permise loro di muoversi con una velocità impensabile. In breve tempo si trovarono fuori da Aksenoun.
Era difficile seguire una nuvola di sabbia nel deserto ma ciononostante non desistettero.
Venne la notte.
Camminarono per diverse ore prima che si accorgessero di una brutta cosa.
La tempesta di sabbia di cui avevano sentito parlare stava arrivando implacabilmente verso di loro.
Ogni granello di sabbia era una tortura. Il vento giungeva da tutti i lati e non riuscivano a vedere più in là del loro naso.
Urakia rimase incollata al principe, perché se mai si fossero separati non avrebbe più potuto ritrovarlo. Ad Aksenoun avevano lasciato tutto l'indispensabile, la maggior parte della loro pelle era esposta alla forti raffiche.
La sabbia cominciò ad aumentare attorno a loro, muoversi diveniva sempre più difficile.
Vennero inghiottiti dalla furia della sabbia...
Capitolo 2 - L'oasi di Istaryam
Urakia si svegliò lentamente. Si sentiva come se un orda di cammelli l'avesse calpestata. Se era dolorante significava che era ancora viva. Incapace di muoversi si guardò attorno. Era all'interno di una grande tenda, come quelle di alcune tribù non sedentarie. C'era un forte odore di incenso e riusciva a vedere molti oggetti d'antiquariato. Si alzò dal letto e con molta difficoltà si diresse barcollando verso l'ingresso. Una ventata fresca le risollevò il viso stanco; poco più in la c'era un lago con attorno lussureggiante vegetazione. Nel mezzo dell'acqua c'era une vecchia statua in parte erosa dal vento. Sulla riva il principe si stava pulendo il volto. Tutto era molto misterioso. Chi li aveva trovati e salvati? A queste domande avrebbero dovuto pensare in seguito. Per il momento Urakia raggiunse il principe per scambiarsi informazioni.
“Maestà, avete capito qualcosa?”
Lui scosse il capo.
“Mi sono svegliato poco fa. Credo di sapere dove siamo ma non so chi dover ringraziare per averci salvato la vita.”
Urakia aveva immaginato che il principe non le avrebbe raccontato tutto.
“E...quindi...dove siamo?” chiese con tono vagamente esasperato.
“Mmm? Ah sì, credo che siamo all'oasi di Istaryam.”
Urakia ebbe un tuffo al cuore al sentire tale nome. Istaryam era il nome di un antica città che fu la roccaforte dei politeisti durante la guerra tra solarian di 150 anni prima. Per ordine del re del deserto, era stato vietato l'accesso a questa parte di deserto e con il tempo ci si era perfino dimenticati della sua esistenza.
“Dobbiamo... Andare via... È proibito.”
“Voglio fare chiarezza su questo posto, voglio sapere chi viola quanto decretato dal re e che eppure ci ha salvato. Sospetto ci sia molto di più dietro a questa storia, ho come una strana sensazione. Comincio a capire perché questo luogo è proibito.”
Urakia non fu molto rassicurata dalle parole del principe, aveva ancora a mente le storie raccontatele su quel luogo.
“Stiamo per morire”, disse Urakia disperata. “Questo luogo è sotto lo sguardo di Sol'ra, chi ci vive subirà l'ira di fuoco del Dio. Non voglio stare qui.”
Metchaf si grattò il naso, era infastidito dal comportamento poco consono della guardia.
“Andrai dove ti dirò di andare, farai quello che ti dirò di fare. La prima cosa da fare è controllare se attorno all'oasi ci siano tracce di cammello.”
La giovane donna era divisa tra due sentimenti: rabbia e vergogna. Mise da parte l'orgoglio ed andò assieme al principe. L'oasi era molto più grande di quanto avevano pensato. Dopo un'ora di cammino, i due solarian arrivarono ad una spiaggia su cui era poggiata una statua. Poco distante, nel lago, una donna nuotava tra le ninfee. Metchaf ed Urakia la riconobbero immediatamente: era l'assassina del sacerdote di Aksenoun. Urakia sguainò le sue de spade ed entrò in acqua: non fece però molta strada perché cominciò ad affondare come nelle sabbie mobili.
“Dunque è questo il modo per ringraziarmi di avervi salvato? Attentare alla mia vita?” chiese allontanandosi da Urakia.
Metchaf davanti al corpo nudo della donna, distolse lo sguardo.
“Assassina, hai ucciso un sacerdote di Sol'ra! Verrai giustiziata”, urlò infuriata Urakia.
Sulla donna apparvero abiti sontuosi, il che la rese ancora più impressionante. Il principe si posizionò ad una certa distanza per evitare problemi. Mentre Urakia cercava di uscire dall'acqua, Metchaf iniziò a parlare.
“Chi sei?”
“Mi aspettavo più un grazie.”
“Chi sei?”
“La domanda non è chi sono ma cosa ci fate voi qui.”
“Stavamo seguendo un'assassina”, urlò Urakia.
“Uccidere un assassino è omicidio o è un favore?”
“I sacerdoti di Sol'ra non uccidono”, rispose Metchaf trattenendo a stento la rabbia.
“Ma davvero? Sei sicuro di questa affermazione?”
“Chi sei?”
“Ho sentito voci che dicevano che Ahmid sarebbe tornato.”
“Ahmid? Quel... smettila una buona volta di cambiare argomento. Rispondi: chi sei?”
La giovane donna sembrava persa nei suoi pensieri. Poi intorno a lei tutto mutò forma, come se dei ricordi stessero prendendo forma. La scena raffigurava una battaglia, in cui lei affrontava un guerriero di Sol'ra. La scena finì con la morte della donna. Metchaf ed Urakia compresero immediatamente il senso della scena.
“Ptol'a”, sussurrò il principe per non farsi sentire da Sol'ra. “Impossibile.”
“Sono qui per mostrarvi una strada, il futuro dipende da voi. Il nostro futuro; adesso seguitemi.”
Urakia fu nuovamente capace di muoversi e Metchaf si stupì a seguire la donna senza fare domande. Non sapevano come reagire.
Capitolo 3 - La Tomba degli Dei
Colei che si pensava essere l'incarnazione di Ptol'a , tornata dalla morte, li portò vicino all'oasi di Istaryam. Il cielo era coperto ed oscurava il sole. Arrivarono in un luogo molto più grande di una duna di sabbia, anche perché non era duna. Era bensì un edificio, il cui ingresso era stato cancellato. L'ingresso era stato bloccato da una massiccia lastra di pietra ma quest'ultima era stata rotta in modo da poter far passare un uomo corpulento. Un enorme simbolo di Sol'ra era stato tracciato sulla porta.
“Un ammonimento del Dio”, disse il principe.
“Che alcuni hanno infranto per ribellarsi alla dittatura del falso dio.”
“Falso dio!” si arrabbiò Urakia. “Sol'ra è l'unico dio.”
“In questo caso, se sei certa di ciò che dici non dovresti avere problemi ad avanzare e vedere cosa c'è con i tuoi occhi. Non sarai sicuramente influenzata da ciò che è celato al suo interno.”
La guardia reale mise il broncio, chiedendosi cosa mai sarebbe stato celato all'interno dell'edificio.
“E se non volessimo entrarci?” disse il principe con tono di sfida.
L'incarnazione di Ptol'a sorrise.
“In questo caso o rimanete ad Istaryam fino alla fine dei vostri giorni oppure provate ad andarvene. In questo caso rischiate di rivelarvi, Solarian. Non riuscirete più a controllarvi e morirete per un dio che non si cura di voi.”
“Non abbiamo scelta Urakia”, disse il principe con un idea ben radicata nella testa.
L'interno dell'edificio, illuminato da lampade ad olio, mostrava una scala infinita che volgeva verso il basso. Affondava sotto il deserto e così il calore svaniva, lasciando spazio ad una salutare freschezza.
“Cosa facciamo principe?”
“Vedremo cosa fare. Per adesso sembra una copia delle grandi tombe dei miei antenati. Se è costruita secondo lo stesso modello, allora in quel caso potremo uscire dalla parte opposta e andarcene di fretta.”
“Spero tu abbia ragione.”
“Abbi fede.”
Dopo mezz'ora, finalmente, arrivarono al termine della scalinata, la quale si affacciava su una stanza di medie dimensioni. Le quattro pareti erano ricoperte di geroglifici e simboli. Nell'aria gravava un leggero odore di morte. Incominciarono a leggere e decifrare i simboli, così lessero del principe caduto.
“Non credo a quello che ho letto”, disse Urakia.
“Esattamente, non dobbiamo crederci perché è tutto sbagliato.”
Le scritte erano state fatte da sacerdoti e fedeli; i quali furono rinchiusi in quel luogo insieme alle incarnazioni dei loro dei dopo la fine della guerra contro Sol'ra. Parlavano di come i solarian avessero raso al suolo interi villaggi, abitati da persone del deserto. Erano atti così violenti ed imperdonabili che avevano fatto estinguere intere civiltà, quelle del deserto del sud. Questi scritti fecero dubitare il principe che, nonostante l'aria altezzosa, amava il suo popolo. Urakia d'altro canto non voleva tener conto delle bugie degli infedeli. Non accettava che si spargesse fango sul suo credo e sulle sue convinzioni. C'era però un particolare inquietante. Le parve di vedere tra le persone descritte, uno dei suoi antenati. Una persona, la cui memoria tramandata, era emblematica e degna di paura. Aveva contribuito a fondare Mineptra. La coincidenza era inquietante, molto inquietante per una famiglia religiosa e devota come la sua. I due lasciarono la stanza con il cuore colmo di dubbi ma un'altra sorpresa era lì ad attenderli. Oltrepassarono una nuova porta, anche questa in frantumi e ciò che videro era magnifico: una enorme città sotterranea. Moltitudini di case di sabbia erano state edificate scavando nella terra. In mezzo alla città, una cinquantina di persone, che lì abitavano, erano in attesa. Metchaf ed Urakia avanzarono verso di loro, ad armi impugnate. Una di queste persone, sicuramente il capo, si fece avanti.
“Benvenuti alla Tomba degli Dei, coloro che sono morti in difesa del deserto e delle sue meraviglie. In questo luogo scoprirete le verità su Sol'ra e su ciò che significa essere divini. Posate le armi, non vi serviranno, non vogliamo farvi del male.”
Continua....
Alla riscossa
Capitolo 1 - Becca-tuono
Dan si sedette davanti ai progetti della Arc-Kadia. Era da molto tempo che non saliva sulla nave che aveva progettato con il Gigante Triste. I pirati di Al la Triste avevano viaggiato tra innumerevoli isole prima di giungere dal vecchio sacerdote e convincerlo a salire a bordo. Al era molto curiosa di sapere se avrebbe ottenuto qualcosa dal suo ospite. Gli sorrise.
“Sei cresciuta Alexandra ma mi sembra tu abbia qualche problema con l'Arc-Kadia.”
“Dobbiamo rimetterla a nuovo.”
“Spiegami, che cosa non funziona?”
“Ho attivato la console.”
Dan chiuse gli occhi come se avesse subito capito che reazione avesse avuto compiere quell'azione.
“Capisco, capisco. Sai non sono stato l'unico a progettare la nave.”
“Lo so ma Gamba di Legno...”
“A tuo padre non andava a genio, non fidarti di lui”, rispose Dan chiudendo la questione. “No, so già come poter rimettere a nuovo la nave ma sarà difficile farlo senza l'aiuto del passero.”
“Il passero? Chi?”
“Il passero!!! Becca-tuono? Quel vecchio pappagallo spiumato?” ringhiò Bragan. “È più alcolizzato lui di tutta la ciurma messa assieme.”
“Forse, vecchio lupo d'aria, ma c'era anche lui quando era stata costruita la nave e tu eri marinaio all'epoca.”
“Va bene ma dove troviamo questo uccello?” tagliò corto Al.
“Si trova su un isola dei devastatori, in una delle molte grotte”, rispose il predicatore.
“Così sia, non è lontana. Bragan si parte”, disse Al. “Vai in sala macchine e fatti aiutare da Klemence.”
Dopo pochi giorni i pirati arrivarono sull'isola; era un isola di franchigia, cioè un territorio su cui i Signori delle isole non avevano diritto di attraccare e tanto meno di dettar legge. Era un covo di tutte le peggior specie di delinquenti ma era anche la culla della pirateria. In molte occasioni l'isola era stata attaccata dai Signori del cielo ma non era mai stata conquistata. L'Arc-Kadia atterrò in uno dei molti moli. Dopo aver preso le necessarie precauzioni per tutelare la nave, Al, Mylad e Ti Mousse si diressero a cercare il famoso Becca-tuono. Le strade della città, se così vogliamo chiamarle, erano zozze, puzzolenti e ovviamente mal frequentate. In diverse occasioni il gruppo fu costretto a dimostrare che non erano semplici turisti in visita. Il villaggio dei devastatori era composto da miriadi di case, le quali rimanevano in piedi per miracolo. Solo poche abitazioni erano costruite secondo il classico stile delle isole bianche, ovvero fango ricoperto di calce. Al decise di ignorare il luogo, che destava in lei tanti spiacevoli ricordi, e preferì dedicarsi al motivo della sua presenza. Cominciarono a setacciare la zona fin quando non trovarono una taverna meno disgustosa delle altre.
“Quest'isola è un labirinto, passeranno anni prima che si riesca a trovare quel piumato”, disse Mylad con rassegnazione. “L'ultima volta che ci siamo visti non è che fossimo in buoni rapporti.”
“Ma tu lo conosci?” chiese Ti Mousse.
“Sì, è stato lui ad insegnarmi ad usare la magia”, disse bevendo parecchi sorsi di una sostanza forse usata per i radiatori.
La notte cominciò ad avvolgere la terra di Guem e molti avventurieri entrarono nella taverna. La presenza di due belle donne cominciò a far scaldare gli animi. Uno degli ultimi arrivati, armato di bicchiere di rhum, si diresse verso Mylad e il Capitano.
“Signorine... permettetemi... di offrirvi... una pinta.”
Il suo respiro pesante convinse Mylad che quell'uomo era in cerca di guai.
“Lasciaci in pace”, disse in modo da essere ben udita.
“Oh.. oh... mi sa che avremo problemi”, balbettò il coraggiosissimo Ti Mousse.
“Dai, non fare la preziosa. Sono bello come gli altri.”
Gli altri pirati erano lì vicini per sostenere questo incredibile approccio di corteggiamento.
“Spiega le vele e vattene, scorfano.”
L'altro sghignazzò e provò a palpeggiare zone che non aveva il permesso nemmeno di immaginare. Mylad non aveva più bisogno di Al per difendersi e tirò un ceffone al molestatore. Questo sguainò la spada ma Mylad fu più veloce; fece scaturire catene di fulmine con le quali colpì chiunque fosse lì.
“Hai fatto dei bei progressi Mylad.”
Qualcuno di diresse verso il tavolo. Il suo aspetto era incredibile: alto come un uomo ma ricoperto di penne blu e dotato di un becco adunco. In effetti sembrava un grosso pappagallo. Non c'erano dubbi su chi fosse.
“Andatevene via, andate a brindare al fatto che siete vivi”, disse sedendosi al tavolo e scacciando la folla.
Mylad era ancora arrabbiata.
“Su ragazza, siediti.”
La giovane maga sospirò prima di poggiare delicatamente le chiappe sulla sedia mezza marcia.
“Tu sei Al la Triste? Figlia del Gigante, eh? L'ultima volta che ti ho vista... ”
“...ero molto piccola, sono stanca di sentirmelo dire. Non sono brava ad ascoltare, ne paziente, passero. Ho un lavoro per te”, tagliò corto Al.
“Becca-tuono è costoso”, rispose sfregandosi le mani.
“Abbiamo di che pagarti”, disse Ti Mousse avvicinando una borsa zeppa di cristalli.
“Oh... lo vedo, lo vedo. Cosa volete che faccia?”
“Riparare la mia nave.”
“Vuoi dire l'Arc-Kadia?”
“Esattamente.”
“Sai che non sono un meccanico.”
“Lo so ma il predicatore ha bisogno di te.”
“Il predicatore? Non è ancora morto? “
“Siamo d'accordo o no?”
Becca-tuono guardò un attimo Mylad e la sua aria afflitta. Pesò i pro e i contro. Da una parte Mylad e il predicatore, dall'altra un bel gruzzolo e la possibilità di lasciare quell'isola.
“Va bene, andiamo.”
Capitolo 2 - Ritirata Strategica
Da diverse ore il gruppo ai Confini era in fuga dalla collera degli Hom'chaï e delle Elfine. I loro inseguitori erano in forma ed avevano una perfetta conoscenza del territorio e grazie a queste due doti stavano per catturarli. L'Intrappolato stava facendo tutto il possibile per creare barriere con cui rallentarli ma era difficile fermare qualcuno in una foresta. Ergue, Malyss, Ciramor si stavano aiutando l'un l'altro per procedere al meglio e Silikat li guidava. La tribù inseguitrice era però formidabile nel dare loro la caccia e nonostante il gruppo fosse ormai esperto si ritrovarono con un unica possibilità di fuga, un salto nel vuoto.
“Siamo come topi in fuga”, disse Ergue rassegnatosi ad essere un cacciatore braccato.
“Non ci faremo prendere senza lottare”, disse Malyss preparando una strategia d'attacco.
Occhio di Gemma era in un angolo a montare un oggetto grazie a varie parti del suo equipaggiamento.
“Che stai facendo?” chiese Ergue.
“Ci porto di là, noi pirati abbiamo sempre una via di fuga.”
“Il tuo arnese ci farà volare?”
“No ma apri bene gli occhi Zil, non vedrai cose simili nella tua vita.”
Occhio di Gemma aveva finito di montare il suo arnese che sembrava essere una grossa pistola. Malyss comprese che aveva proprietà magiche. Occhio di Gemma puntò la pistola in cielo e fece fuoco. Una piccola sfera bianca che emetteva luce brillante comparve nel cielo ed illuminò tutto l'ambiente circostante. I loro inseguitori non erano molto distanti, gli Hom'chaï non stavano cercando di essere discreti e stavano distruggendo tutto lungo il loro cammino quando sentirono lo Pchiiii del razzo lanciato da Occhio di Gemma.
Da due giorni Becca-tuono era tornato sulla Arc-Kadia e aveva il cuore pesante dal rivedere Dan, Briscar e Bragan. Si era poi messo a lavorare affinché la nave tornasse alla sue potenzialità iniziali. Il cuore nella nave era un macchinario molto sofisticato. Klemence rimase stupita dal vedere il predicatore ed il passero smontare e rimontare quello strano marchingegno, per non parlare del fatto che era stato caricato grazie alla magia del fulmine da Mylad e dallo stesso Becca-tuono. Entrambi dovettero dar fondo a tutto il loro potere magico. Grazie ad un piccolo apparecchio poterono vedere che la lancetta che segnava la carica della macchina era nuovamente a posto. Infine Dan mise a posto la console e rimosse il medaglione del padre di Al la Triste. Il capitano aveva assistito al tutte le operazioni per rimettere a nuovo la sua nave. Dan le si avvicinò porgendole la collana.
“Tieni ed usalo con saggezza. Ho mostrato alla tua piccola tuttofare cosa sia necessario fare la prossima volta. Non è molto complicato ma quel macchinario è... come dire... in anticipo con i tempi.”
“Grazie per l'aiuto.”
“L'ho fatto in memoria di tuo padre. Ora che ho finito, permettimi di lasciare la nave.”
Al la Triste li mise la collana al collo.
“Certo.”
Dan non si prese la briga di salutare gli altri, raccattò le sue robe e se ne andò. Becca-tuono stava camminando sul ponte e decise di stappare una bottiglia per ricordare le avventure vissute su quella nave. Mentre la nostalgia cominciava a venire a galla, si trangugiò mezza bottiglia. Fu allora che vide qualcosa in cielo, una palla bianca. Questa poi esplose creando un vortice che aspirò la nave. Nessuno dell'equipaggio venne ferito e la nave stessa non subì danni.
Mentre la sfera bianca esplodeva creando un vortice, il gruppo sull'isola dei Confini si stava preparando alla battaglia. Pochi istanti dopo l'Arc-Kadia apparve come per magia, il suo equipaggio era confuso dal ritrovarsi dall'altra parte del mondo. Ergue, Malyss, Ciramor, L'intrappolato e Silikat rimasero stupiti dai nuovi arrivati. Al la Triste teneva la barra mentre un membro dell'equipaggio esaminava la situazione sull'isola. Gli altri pirati sbucarono da ogni dove, non capacitandosi di cosa stesse accadendo. Al la Triste urlò degli ordini e disse chiaro e forte che Occhio di Gemma era in pericolo. Fu Becca-tuono ad agire per primo, lasciò andare la bottiglia e si lanciò nel vuoto da un'altezza da cui nessuno avrebbe osato saltare. Rallentò la caduta grazie alle ali e venne immediatamente raggiunto da Mylad, la quale era avvolta da folate di vento. I primi ad arrivare furono le Elfine, seguite dai loro Hom'Chai, i quali erano grandi, forti, potenti e arrabbiati.
“Hanno assunto il Ragianne”, urlò Silikat. ”Combatteranno fino alla morte”, continuò mentre schivava un colpo.
C'erano cinque di questi mastodontici guerrieri, i quali erano coperti di tatuaggi e molto più impressionanti di quelli delle terre di Guem. L'Intrappolato fece scaturire radici per fermarli. Malyss creò numerose pareti di ghiaccio. Ciramor che custodiva l'uovo del Mangiapietra si affrettò a correre verso la nave.
“Sono con Occhio di Gemma”, urlò mentre evitava molte spade.
Briscar afferrò il mago e lo fece sedere in un angolo.
“Non ti muovere da qui.”
Dopo gli Hom'Chai fu il turno delle Elfine di attaccare. Nugoli di frecce velocissime andarono a conficcarsi nello scafo dell'Arc-Kadia. Becca-tuono che aveva partecipato a innumerevoli battaglie non voleva combattere a lungo contro quei fanatici.
“Mylad, barriera.”
Agendo immediatamente creò un muro di fulmine che divise l'area in due zone, la cosa scioccò Ergue e la maggior parte degli Hom'Chai. I pirati a bordo lanciarono innumerevoli corde per far montare a bordo il gruppo. Bragan urlò di salire senza perdere tempo. Gli ultimi a salire furono Becca-tuono e Mylad. La nave si allontanò tra le frecce delle Elfine. Il gruppo era steso a terra, senza fiato. Al la Triste, al timone, diresse la nave verso il vortice, in modo che potessero tornare da dove provenivano. In un attimo furono all'isola dei devastatori.
Al fermò la nave e chiese che fosse successo. Occhio di Gemma spiegò cosa fosse accaduto, in una versione sintetica e poi presentò Ciramor, Silikat e l'uovo che avevano trovato, al cui interno c'era Mangiapietra dei Confini. Ciramor che teneva l'uovo come se la sua vita dipendesse da esso, sentì muoversi qualcosa al suo interno.
“Guardate”, gridò. “Sta per schiudersi.”
Immediatamente un capannello di gente si radunò. Egue, Malyss e L'intrappolato erano molto curiosi di vedere il frutto dei loro sforzi. L'uovo si mosse e poi cominciò a rompersi. Un liquido grigiastro cominciò a defluire dalle molte crepe apertesi. Il tutto si concluse con la comparsa di una creatura grigiastra. Aveva vagamente la forma umanoide ma era privo di naso e capelli. Le sue dimensioni erano quelle di un bambino. La creatura cominciò a sbattere gli occhietti. Il pubblico era stordito, confuso ed anche un po' deluso. Silikat con reverenza porse alla creatura un pezzo di quarzo, questa strisciò fino all'elfine e cominciò a sgranocchiare la pietra.
“Questa è il Mangiapietra?” chiese Malyss. “Abbiamo fatto tutta questa fatica per lei?”
Ciramor aiutò la creatura a togliersi i pezzi di uovo rimastegli attaccati.
“Questo è solo l'inizio, se vi va bene mi occuperò di lei”, aggiunse l'apprendista di Eredan.
L'Intrappolato andò da Al la Triste.
“Grazie per averci aiutato, eravamo in difficoltà.”
“Di nulla, siamo pirati ma abbiamo comunque un cuore.”
“Ti è possibile portarci alla foresta Eltarite? Dobbiamo muoverci dal momento che abbiamo perso anche troppo tempo.”
“Va bene, andiamo.”