De Eredan.

Sommaire

Atto 4: Mettere a ferro e a fuoco


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1. Il corvo e l’imperatore


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Parte 1. Il corvo

I due serpenti piumati volavano in direzioni opposte, facendo cerchi nel piccolo spazio in cui si trovavano da diverse ore con Toran. Nessuno metteva piede lì da lunghissimo tempo a giudicare dalla polvere che si era posata sugli oggetti e i mobili. Quel luogo era una sorta di stanza del tesoro visto che non c'era altro che oggetti lasciati dagli Imperatori fin dai tempi di Xzia stesso. In tempi normali, solo l'Imperatore avrebbe potuto mettere piede in quelle stanze, ma Toran era il reggente e tra i suoi diritti c'era quella di curiosare in giro. L'anziano Tsoutai non si aspettava di trovare niente in quella spedizione attraverso le memorie degli Imperatori, ma quello che scoprì sarebbe andato a cambiare la storia fino alle radici, a meno che, naturalmente, la storia non si dovesse svolgere così. Dopo aver attentamente osservato le diverse pergamene, egli trovò un kakemono di seta attentamente ripiegato nascosto in una armatura di uno degli Imperatori. Toran lo aprì con cura e lo poggiò a terra in modo da avere una migliore visione d'insieme, in quel momento delle piume nere molto lunghe uscirono fuori. Egli le recuperò con cura e senza alcuna esitazione seppe che appartenevano a un corvo. Qualcuno aveva incollato dei fogli di riso sulle stecche di bambù del kakemono, sul quale aveva poi scritto una storia. Dalla qualità della grafia si poteva valutare che il testo fosse stato scritto di fretta.

Toran si precipitò nella lettura. L'autore era l'Imperatore Yaji, il quale raccontava nella sua storia di un vecchio sospettato di essere uno spirito malvagio e che fu intrappolato nella miniera di Grigioferro nella regione d'Oryun. Yaji riconosceva di aver paura dell'influenza che quest'uomo avrebbe potuto avere sui suoi sudditi. Successivamente raccontava come la guerra tra Xzia e la Draconia aveva fatto emergere una nuova famiglia e riconoscere un clan finora odiato.

Toran comprese allora che quella era la storia del clan del Corvo, anche se conosceva già il pezzo riguardante l'intervento del clan nella guerra contro la Draconia, ignorava l'affronto che aveva subito il Corvo ritrovandosi come un miserabile in fondo a una miniera. Sentì allora il bisogno di conoscere di più su questa persona intrappolata sotto una montagna di Grigioferro. Purtroppo i suoi incarichi da reggente gli ricordarono che non avrebbe avuto tempo sufficiente da dedicare a questa faccenda.

La sera stessa inviò una lettera al Signore Imperiale Gakyusha affinchè gli venissero assegnati uno o due membri della Kotoba. La risposta non tardò. Si presentarono al palazzo due persone che volevano incontrare Toran. Quest'ultimo li ricevette tra due riunioni importanti. Il primo era Furagu, il porta stendardo della Kotoba e veterano di innumerevoli battaglie, il secondo era Shui Khan, un antico vecchio allievo di Tsuro divenuto uno dei migliori Bracconieri. Tutti e due si inchinarono rispettosamente davanti a Toran e attesero che il reggente parlasse loro, com'era d'usanza. Ma furono sopresi nel vedere il vecchio maestro invocare il suo Cercafalla , che subito si librò nella sala.

“Possiamo parlare senza il timore che nessuno ci stia ascoltando. Quello di cui vi devo parlare e la missione che vi sto per assegnare devono rimanere un segreto. Sono onorato che il signore imperiale mi abbia inviato due illustri eroi dell'impero. Ahimè, vi sto per inviare in un luogo ben lontano dallo splendore della vostra fama.”

Toran srotolò il kakemono.

“Leggete qui.”

Entrambi lessero gli scritti senza comprendere fino in fondo quale fosse il senso.

“Vedete, il clan del Corvo è nato nel dolore, il disprezzo e l'odio. Ho il sospetto che il vecchio di cui parlano nella storia sia il Corvo in persona, un essere molto potente. Vi sto inviando ad Oryun per esaminare la miniera ormai abbandonata."

“Una miniera di Grigioferro? La mia armatura è fatta di quel metallo”. Spiegò Furagu.

“Cosa dobbiamo cercare signor Reggente?” Chiese Shui Khan.

“Tutto ciò che potete trovare a proposito del prigioniero. Gli archivi della miniera devono trovarsi lì”.

“Partiamo dubito”.

Ayako era nascosta dietro una delle statue che si trovavano davanti al palazzo imperiale. Sorvegliava con severa attenzione le entrate e le uscite per non perdere di vista la partenza di Furago e Shui Khan. La sorella minore del Campione dell'Imperatore aveva approfittato dell'assenza di Henshin, suo tutore e nonno, per farsi un giro nelle animate vie di Meragi. Perlopiù per caso, aveva scorto una armatura come quelle di suo padre, così come l'insegna della Kotoba. Credendo che suo padre o suo fratello fossero lì, seguì il guerriero. Non si trattava di un membro della sua famiglia, ma di un porta stendardo, Ayako l'aveva visto già una volta. Ed ecco che Furagu si incontra con un altro membro della Kotoba, Shui Khan, il bracconiere che si suppone fosse un discendente del Re Scimmia stesso. La coincidenza era troppo evidente e le venne in mente che si potesse trattare di una missione importante e appassionante. Tutto ciò la tirò fuori dalla sua noia quotidiana di apprendimento della magia, così decise di saperne di più.

I due membri della Kotoba finalmente uscirono e Ayako li seguì di nuovo. Essi si mossero in direzione del quartier generale della Kotoba che si trovava non lontano da lì. La discrezione della ragazza rasentava lo zero, Shui Khan non tardò ad accorgersene e la prese senza difficoltà.

“Lasciami! Lasciami!”

“Cos'abbiamo qui?” Domandò Furagu.

“Una piccola ficcanaso.” Rispose Shui Khan.

Ma la ragazza si difese e fece apparire due pesci fatti d'acqua, dotati di grandi denti. Shui Khan lasciò la presa.

“Oh, molto impressionante!” La schernì il bracconiere. “Cosa pensi di farmi con quei pesciolini?”

“Aspetta, mi sembra di conoscere quel simbolo che porta sul kimono. Non sarai mica la figlia del signor Gakyusha?” Chiese Furagu.

“Proprio così!” Urlò lei. “Sono Ayako!”

“Beh, e cosa ci fai da sola per queste strade? Sai che è pericoloso.” Replicò Shui Khan, di colpo molto più preoccupato. “Ti riportiamo a casa.”

Ayako, con aria sagace fece girare i suoi pesci attorno ai due uomini e mentre essi discutevano su di lei, questa si preoccupò d'esaminare i loro ricordi più intimi. Quello che vide su Shui Khan fu molto interessante, vide Toran far leggere loro il kakemono e così approfittò per saperne di più.

“Andrete a indagare sul Corvo.” Disse senza riserbo.

Shui Khan l'afferrò e le mise una mano sulla bocca per farla tacere.

“Sta' zitta! Non permetterti più di ficcarti nella nostra testa!”

L'uomo dall'aspetto scimmiesco era visibilmente amareggiato. Furagu prese la mano del suo amico.

“Non dimenticarti chi è.”

“Non importa, non può comprometterci la missione. La riaccompagniamo subito a casa.”

Furagu non aveva niente in contrario, i due portarono Ayako a casa e comprendendo l'importanza della faccenda non fece nessuna scenata. Nel momento in cui i tre arrivavano, Henshin uscì dal giardino con una lettera in mano e l'aria stizzita.

“Grazie per avermela riportata, è sfuggita alla mia attenzione.” Sospirò lui. “Mi è appena arrivata una lettera da parte di tuo padre, entriamo a leggerla. Riguarda anche voi.” Disse a Furagu e Shui Khan. Stupiti, i due uomini seguirono Henshin e Ayako in casa.

“Nonostante ciò non mi rallegri molto, soprattutto dopo quello che hai fatto, tuo padre ti ha reputata pronta per fare le tue prove. A titolo d'apprendimento, dovrai restare al fianco di Furagu e Shui Khan nella loro missione. Dovrai mettere in pratica tutto ciò che ti ho insegnato, per la Kotoba e i suoi membri.” Furagu non protestò, anche se era convinto che Ayako rischiasse di essere un peso. In quanto a Shui Khan, emise un grugnito in segno di contrarietà, strappò la lettera dalle mani di Henshin e lesse rapidamente. Eh sì, gli ordini erano di portar dentro quella peste in una missione direttamente imposta dal Reggente.

“È inammissibile!” Gridò all'esultanza visibile di Ayako. “Perché?”

“Basta così!” Gridò a sua volta Furagu. “Gli ordini sono ordini e abbiamo già perso fin troppo tempo. Partiamo e consideriamo la nostra nuova recluta come un membro a tutti gli effetti. O ci segue, o muore.”

“Hey! Non sono mica un oggetto!” Disse indignata la ragazza.

Furagu e Shui Khan uscirono dal giardino con aria navigata. Ayako ferita dalla reazione dei suoi nuovi compagni corse e superò i due dando le spalle al grande bacino. Lì fece appello a tutto il suo sapere. L'acqua del laghetto si sollevò e un'onda passò sopra di lei e con violenza si riversò su Furagu e Shui Khan. La giovane sorella minore di Iro il duellista controllava l'acqua a meraviglia, l'onda si trasformò in un vortice d'acqua che tornò verso di lei.

“Sono Ayako, figlia del signore imperiale Gayusha, sorella del campione dell'Impero! Questa dimostrazione vi è sufficiente? Vi basta per farvi capire che sono forte abbastanza per affrontare il mondo?” Disse lei adirata.

Furago stupito “molto bene, mi scuso, ti avevo sottovalutato. Prendi i tuoi effetti, stiamo per partire, ma sappi che non avrai nessun trattamento di favore e non ti faremo da badanti. In più, se diventi un peso per il gruppo, ti rispediremo da tuo nonno, o peggio, da tuo padre. Capito?”

Ayako si precipitò allora a cercare abiti ed effetti personali. Suo nonno la intercettò mentre stava per partire.

“Ascoltami bene. Questo è l'inizio di una nuova vita per te. Resta in ascolto della magia e dell'acqua, e di sicuro apprenderai la disciplina accanto ai tuoi nuovi compagni. E… fai attenzione.” Disse abbracciandola. “Ho solo una nipote e non voglio veder sparire.”

“Sì sì Jii-San, devo andare, anche tu, prenditi cura di te.”

È così che Furagu, Shui Khan e Ayako lasciarono la dimora di Gakyusha e poi Meragi. Mentre si allontanavano dalla città imperiale, Henshin pregava davanti al laghetto.

“Ne è passato di tempo mio vecchio amico, tu che vegli sulla mia famiglia da generazioni, ho un favore da chiederti, veglia su Ayako, mia nipote.”

L'acqua del laghetto si illuminò allora di una luce violetta e tutti i pesci saltarono in superficie. Apparve allora una creatura spettrale, un'immensa carpa viola che uscì dall'acqua e levitò per circondare Henshin.

“Grazie per l'aiuto che mi stai dando e per essere uscito dal tuo rifugio tranquillo.”

La carpa fece diversi giri intorno all'anziano poi sparì reimmergendosi nel laghetto.

La miniera di Oryun non era molto lontano da Meragi. Per raggiungerla non occorrevano che un paio di giorni di viaggio. Benché non ci fosse grande attività dopo la sua chiusura, il villaggio, che portava lo stesso nome, era rimasto un importante punto di scambio commerciale. Infatti esso si trovava su una delle più importanti vie, spesso prese da mercanti e viaggiatori. Il nome del villaggio significava scogliera, perché era stato costruito sul fianco di una montagna che, in parte crollata, rivelò vene di grigioferro e il metallo fu subito sfruttato per le sue proprietà eccezionali. Una delle virtù del grigioferro era di carattere botanico: gli alberi e le piante che si trovavano su un terreno ricco di grigioferro crescevano più velocemente e più grandi rispetto a un terreno che non lo conteneva. Così, Oryun era circondato da alberi giganteschi e gli abitanti vivevano di agricoltura, che si rivelava sempre abbondante. Ayako, che non aveva visto altro che Meragi, fu meravigliata dallo spettacolo che il villaggio le offriva. Purtroppo quella non era né una visita di cortesia, né di turismo. Furagu e Shui Khan si diressero direttamente verso la costruzione più grande che era logicamente la dimora del signore locale. Dopo una veloce presentazione, essi furono indirizzati verso un anziano del villaggio che aveva passato buona parte della sua vita in fondo alla miniera. Quest'ultimo aveva anche l'incarico di sorvegliare sulle costruzioni abbandonate, una volta utilizzate dai minatori.

“Scendiamo.” Indico Furagu al vecchio minatore.

“Signore, vi suggerisco di togliere la vostra armatura, che altrimenti si danneggerebbe e non vi farebbe passare attraverso i cunicoli più stretti.”

“Non ha tutti i torti.” Replicò Shui Khan.

“Facile a dirsi per te che non porti armature. Ma se è d'impedimento per la missione lo farò.”

“Molto bene, un attimo.”

Una volta tolta l'armatura di Furagu, Ayako chiese di mettere l'armatura in una buca nel terreno. Poi la ragazza vi passò la mano sopra. Una pellicola d'acqua apparve e ricoprì il buco, facendo credere a chiunque che quella fosse una semplice pozzanghera.

“È sicura questa cosa?” Disse Furagu tendendo la mano verso la pozza.

Shui Khan lo fermò.

“Non lo toccare! Pederesti la mano!”

Il guerriero esitò, poi si ricordò del laghetto e dei poteri della giovane.

“Spero che il tuo sortilegio funzioni Ayako, quell'armatura è tutto per me.” Aggiunse Furagu prima di dirigersi verso l'ingresso della miniera.

Il vecchio minatore accese diverse torce e con l'aiuto dei membri della Kotoba l'entrata della miniera fu liberata. Un odore acre e sgradevole arrivò ai loro nasi tanto che dovettero coprirsi il volto con un panno. L'interno non ispirava molta fiducia. Le travi e le tavole di sostegno erano sicuramente vecchi e ammuffiti e il fatto che si tenesse ancora tutto in piedi sembrava più un miracolo che altro. Il vecchio si voltò rapidamente verso un'altra galleria che li riconduceva all'esterno in una specie di grotta a cielo aperto. C'erano parecchie casupole in pericolo di crollo.

“Volevate vedere i registri. Sono là, ma non so in quali condizioni.”

Egli si precipitò verso la più grande tra di esse e fece segno agli altri una volta certo che non gli sarebbe crollato tutto sulla testa. C'erano dei vecchi attrezzi e una varietà incredibile di materiali. Poi in un angolino trovarono un baule in grigioferro. Non c'era un chiavistello, per cui fu aperto senza difficoltà. Diversi rotoli di fogli di riso erano accuratamente conservati in pelle conciata. Ayako sentì che qualcosa nel baule sprigionava una flebile energia magica. Impaziente spinse i compagni di viaggio e cominciò a frugare. Tirò fuori un rotolo rosso.

“Sorprendente che sia lì, disse il minatore vedendola. Il capo della miniera ci scriveva i fatti soprannaturali o altri fatti degni di nota. Gli altri rotoli contengono semplice contabilità o liste di produttività. Purtroppo senza la persona che ha fatto quel rotolo, non possiamo aprirlo. E questa persona dev'essere morta da diverso tempo.”

Ma Ayako non si diede subito per vinta. Strinse il rotolo tra le sue mani e dell'acqua scivolò dentro. Vedendo ciò, Shui Khan tentò di fermarla ma era troppo tardi, il rotolo era ormai immerso interamente in un globo d'acqua.

“Ma brava! Bella stupidaggine!”

“Aspetta.” Disse lei. “L'acqua mi permette di catturare le parole.”

All'improvviso la bolla d'acqua esplose formando come un grande specchio molto sottile. E lì, in quella fine pellicola d'acqua, era stata catturata la totalità del contenuto del rotolo.

“Leggete tutto rapidamente, non so quanto possa resistere.”

Il minatore non sapeva leggere, Furagu, Shui Khan e Ayako diedero una scorsa alle linee elaborate con note e altre cose interessanti ma tutto ciò non scatenò la loro curiosità.

“Ecco, penso di aver trovato qualcosa. Ci sono delle cifre seguite da questo commento: Delle guardie imperiali sono venute e noi abbiamo mantenuto il silenzio. Avevano con loro un prigioniero, un anziano. Lo hanno rinchiuso nelle coordinate seguenti e abbiamo l'ordine di nutrirlo una volta al giorno, ma di non rivolgergli mai la parola.” Lesse Furagu. E poi, in base a ciò che c'è scritto, l'anziano sarebbe sparito senza lasciare traccia. Accadde poco prima della chiusura della miniera.

Il sortilegio di Ayako cessò e l'acqua sparì insieme alle parole.

“Con le coordinate posso portarvi sul luogo, se non c'è stato un crollo.”

Così il gruppetto ripartì nel dedalo di cunicoli. Avanzarono lentamente perché numerosi tunnel erano bloccati da frane e in altri era cresciuta una vegetazione sotterranea incredibile, per non dire improbabile.

“Dieci, quindici. Siamo molto lontani.” Affermò il minatore.

“Per di qua? Ma è ancora più buio delle altre gallerie!” S'espresse Shui Khan.

“Effettivamente, non si vede nulla.”

Furagu avanzò prudentemente con la sua torcia alla distanza di un braccio. La luce emessa dalla fiamma si era affievolita.

“Davvero da quella parte?” Si preoccupò Ayako.

“Senza alcun dubbio.” Rispose il minatore.

Furagu e Shui Khan si infilarono nel cunicolo senza indugiare. Avevano già affrontato mille pericoli, uno più uno meno non faceva molta differenza. Ciò nonostante, i due rimasero prudenti. Il tunnel scendeva ancora e ancora, sembrava interminabile. Quando poi la luce della torcia si era ormai esaurita quasi del tutto, si ritrovarono in un ampio vicolo cieco. L'atmosfera era pesante e se i visitatori non restavano uno accanto all'altro, avrebbero potuto perdersi di vista. Ayako si voltò quando sentì un rumore sordo.

“Cos'è stato?” Disse guardando in tutte le direzioni, poi si accorse che il minatore era sparito.

Shui Khan e Furagu sguainarono le armi. Il minatore non c'era più. Un sonaglio tintinnò, seguito dal rumore di ossa rotte, come se qualcuno avesse schiacciato la carcassa di un volatile. Il corpo del vecchio cadde tra i tre membri della Kotoba.

“Cra! Dei visitatori, bene bene bene, mi annoiaaaaavo…”

Quella voce sembrava molto strana, come l'oscurità soprannaturale che li circondava. Shui Khan slegò la maschera che portava legata alla cintura e la indossò, nel frattempo Furagu si era messo in posizione di difesa. Il combattimento cominciò con un sortilegio lanciato da Ayako. Proiettò una palla d'acqua luminosa verso la volta della grotta, che espose in mille gocce luminose quando lo toccò.

“Visto!” Esclamò l'uomo scimmia, che scattò rapido per colpire una massa nera.

Purtroppo era andato a colpire solo un pezzo di roccia. L'essere si lanciò su di lui scagliando dei colpi di artigli fatti d'ombra. Furagu rispose ai colpi per aiutarlo. Scagliò un fendente nell'oscurità con la sua katana in grigioferro che colpì forte il fianco della cosa. Quest'ultima lasciò la presa e arretrò. Aveva le fattezze di un mostro, una specie d'uomo col viso deformato da un becco lungo e nero. Delle piume ricoprivano parte del suo corpo, e indossava solo pezzi stracciati di indumenti consunti. Le mani erano dotate di artigli affilati e il suo sguardo era minaccioso.

“Craaaa, vi uccido!”

Ma non ebbe il tempo di trasformare la sua minaccia in azione. Shui Khan aveva reagito con dinamismo affondando una lama corta nella gola dell'avversario. Questo cadde a terra. In procinto di soffocare col proprio sangue, Ayako si precipitò per evitare che la creatura morisse in modo da poter fornire informazioni preziose.

“Non è così che agisce un bracconiere.” Disse lei, tentando di chiudere la ferita con un incantesimo.

Per evitare problemi, Furagu e Shui Khan tenevano bloccate le braccia della creatura.

“Ha addosso una potente maledizione. Non riuscirei a toglierla.”

“Una maledizione? Roba magica? Credo di poter fare qualcosa.” Affermò il bracconiere. “Spostati se non vuoi avere problemi.”

Shui Khan si concentrò per alcuni minuti, poi toccò il suolo col solo indice destro. Delle linee, poi delle forme apparirono per formare dei glifi di un rosso luminoso. La creatura prima urlò, poi scomparve come per magia. Contemporaneamente svanì il velo d'ombra e le torce tornarono ad illuminare normalmente. In fondo al tunnel videro una forma che sembrava essere una persona. Un uomo molto magro, con capelli e barba molto lunghi. Stava riprendendo coscienza. La sua voce non era che un sussurro.

“Vi ringrazio… mi avete liberato da questo fardello.”

“Cosa ti è successo?” Chiese Furagu.

“Io… Io ero il caposquadra qui, responsabile di questa sezione. Credo ci fosse un anziano imprigionato qui, uno stregone o qualcosa del genere. Mentre… Mentre alcuni cercavano di liberarlo, mi ha lanciato un sortilegio e sono rimasto qui incosciente. Dato che ho l'impressione di vivere un sogno ad occhi aperti… Io… Io credo che quell'uomo fosse Tengu, il Corvo. È venuto da me diverse volte quando avevo l'aspetto di mostro… *coff coff* Grazie ancora… Penso che sia ora… Grazie…”

L'uomo, allo strenuo delle forze e la cui vita era stata prolungata più del dovuto grazie alla magia, spirò davanti agli occhi velati dalle lacrime di Ayako. Era la prima volta che vedeva un uomo morire. Dopo una rapida ricerca nella zona, non scoprirono più niente.

“Andiamocene da questo luogo saturo di sciagura, dobbiamo fare rapporto immediatamente.”

Parte 2. L'Imperatore

Toran lesse con attenzione il rapporto della missione. Apprezzò il numero di dettagli che conteneva poiché ciò dava a lui una migliore visione della situazione nella sua interezza. Egli si soffermò poi sulla conclusione e l’incontro col minatore assopito. La coincidenza era troppo evidente e in quel momento seppe che il corvo aveva commesso un errore, dandogli i mezzi per agire. Dopo averlo riletto in modo da ricordarne tutti i dettagli a memoria, bruciò il rapporto.

“Andiamo a riprenderci l’Imperatore”, disse guardando la pergamena che bruciava rapidamente.

Toran lasciò la sala del consiglio per dirigersi verso la stanza dell’Imperatore. Incrociò un servitore al quale ordinò di andare a cercare urgentemente Iro. Davanti l’ingresso vi era Asajiro: il pover’uomo era visibilmente esausto per via del fatto che, da quando aveva assunto quel ruolo al servizio dell’Imperatore, non dormiva che per pochissime ore ogni notte. Nonostante ciò, si sforzò di mettersi sull’attenti mentre Toran si avvicinava.

“Avete il volto di un fantasma”, gli disse il Reggente.

“Il mio lavoro è più importante della mia salute.”

“Questa è una risposta che vi fa onore, l’Impero non dimentica mai coloro che lo servono con dedizione.”

“In questo caso chiederei all’Impero un letto comodo”, aggiunse Asajiro scherzosamente. “Desiderate vedere l’Imperatore?”

“Si, ma sto attendendo che arrivi qualcuno prima. Quando questa persona sarà arrivata, allora entreremo. A quel punto lei non lascerà entrare nessun altro, neanche coloro che hanno l’autorizzazione di farlo.”

“Sarà fatto, a costo della vita.”

Iro arrivò solerte, col fiatone per aver percorso metà del palazzo imperiale di corsa.

“Avete chiesto… di me, Reggente?”

“Si, entriamo e ti spiego cosa sta accadendo. Asajiro, sta a voi difendere il vostro onore.”

Iro aggrottò le sopracciglia.

“Adesso ascoltami bene, per farla breve, sai che il sonno dell’Imperatore è tutt’altro che naturale. E conosciamo entrambi chi ne è il responsabile.”

“Il corvo…” Sussurrò Iro a denti stretti.

“Fino ad ora non avevamo nessuna pista da seguire, ma vostra sorella, Furagu e Shui Khan hanno indagato sulla vicenda e ciò ci permetterà, spero, di destare l’Imperatore dal suo sonno.

“Mia sorella? Ayako? È di nuovo sfuggita a nostro nonno?”

“Non esattamente, sta diventando un membro della Kotoba, e di certo, dopo queste vicende, sarà ufficializzata a breve.”

“COSA? Di già? Ma è così giovane!”

“Tu eri più giovane.”

Iro non replicò, Toran aveva ragione.

“Va bene, e adesso cosa facciamo Reggente?”

“Entreremo nei sogni dell’Imperatore per vedere ciò che lo sta trattenendo.”

“E come facciamo?” Domandò Iro con aria perplessa.

I tatuaggi di Toran iniziarono a mescolarsi per trasformarsi in due magnifici serpenti piumati semitrasparenti.

“I Cercafalla sono esseri incredibili, il loro nome deriva da una delle loro peculiarità: quella di trovare una falla che permetta di passare da un mondo all’altro. In questo modo possono navigare dal loro mondo al nostro, e dal nostro al mondo onirico, il quale fu creato da zero da qualcuno. Essi ci trasporteranno.” I due Cercafalla fecero il giro della stanza poi si immersero nel ventre dell’Imperatore, generando un grande lampo viola. In quel momento, Iro e Toran si ritrovarono in un altro mondo.

Essi erano ancora nella stessa stanza, ma le decorazioni diverse e l’assenza dell’Imperatore dal suo letto provavano che non si trovavano più nello stesso mondo. Iro sfoderò la sua Parola dell’Imperatore e avanzò verso la porta per ascoltare. Nessun rumore proveniva dal corridoio, così aprì la porta. I corridoi erano vuoti, proprio come il resto del palazzo. Tutti gli emblemi erano quelli del clan del Corvo.

“Questa è una prova. Ma dov’è l’Imperatore?” Si spazientò Iro.

“Ragioniamo come il Corvo. Se fossi in lui e mi avessero imprigionato in fondo a una grotta sperduta, come mi potrei vendicare?” Si chiese Toran.

“Con un duello all’ultimo sangue?” Rispose il campione.

“No, il Corvo non farebbe così, credo preferirebbe far subire la stessa condanna al suo carceriere.”

“Ma l’Imperatore ha intrappolato il Corvo da qualche parte?”

“Non questo Imperatore, ma uno dei suoi predecessori.”

“Capisco. In questo caso, se ci troviamo qui è per un motivo preciso. L’Imperatore è stato rinchiuso nella prigione del palazzo?”

“Esattamente, se paragonassimo la situazione nella miniera a questa, logicamente ci troveremmo negli stessi luoghi dove si trovava lui.”

“Non sto comprendendo appieno ma ti credo, scendiamo verso la prigione.”

Quando arrivarono nel seminterrato, tutto cambiò. Non erano più nei corridoi dritti scavati nella pietra, ma in tunnel bui. Davanti a loro una lastra con incisi due numeri: 10 e 15.

“Un sistema di localizzazione. Non siamo più nelle prigioni”, affermò Toran.

Dal tunnel, davanti a loro si avvicinò una luce, poi apparve una forma umanoide. Era un uomo con la tenuta da soldato che teneva in mano una torcia. Si fermò arrivato alla loro altezza.

“Sono desolato, ma il tunnel rischia di crollare, non potete andare più avanti di così senza rischiare la vita.”

Toran e Iro non lo ascoltarono e proseguirono all’interno del tunnel.

“Io vi ho avvertiti, solo la morte vi attende al termine di questa miniera!” Gridò il soldato.

Non appena finì di dirlo, polvere e pietre cominciarono a cadere dalla volta. Più avanzavano e più il soffitto crollava. Finirono per correre più veloce che potevano, cercando di sfuggire al crollo completo del tunnel. L’entrata ormai era bloccata. In fondo al passaggio videro un uomo sdraiato a terra. Aveva capelli e barba lunghi, e i suoi abiti erano logori. Quando Toran e Iro vollero vedere più da vicino, l’uomo mise le mani insanguinate come a proteggersi la testa e inizio a gemere.

“No! No per favore! Non picchiarmi più!”

Iro riconobbe la voce dell’Imperatore.

“Maestà, sono io, Iro, il vostro campione.”

“No non sei tu! Sei già venuto e mi hai tagliato un dito, non farmi del male.”

L’uomo aveva l’aria veramente terrorizzata. Un’ombra cominciava a propagarsi attorno all’Imperatore.

“Signore, sono Toran, detengo la Reggenza dell’Impero in attesa del vostro ritorno, potete fidarvi di noi.”

“NOOOOOO! Tu sei il peggiore! Mi frughi nella testa per far uscire i ricordi più belli e distruggerli.”

“È un trauma grave, non so in che misura questo peserà sulla sua condizione mentale una volta fuori.”

Toran evocò di nuovo i suoi Cercafalla per tornare nel mondo reale, ma nessuno dei due trovò il modo di uscire.

“Siamo in trappola!” Inveì Iro. “A meno che…”

Il Campione dell’Imperatore affondò la sua arma nel petto dell’Imperatore, che morì sul colpo. Attorno a loro tutto cambiò e si ritrovarono di nuovo nella camera. L’Imperatore inspirò profondamente e lacrime rigarono il suo volto.

“Che hai fatto Iro?” Domandò Toran.

“Quando ero piccolo facevo spesso degli incubi in cui mi battevo contro dei mostri. Mi risvegliavo solo quando uno di loro riusciva a uccidermi.”

“È stato rischioso.” Criticò lo Tsoutai.

“Ma ha funzionato”, rispose l’Imperatore che si stava poco a poco riprendendo. “Di questo ve ne sarò eternamente riconoscente. Adesso aiutatemi, ho qualcosa da fare.”

“Non volete riposarvi un po’?” Si preoccupò Iro.

“Così ho deciso!”

Toran e il Campione aiutarono l’Imperatore ad alzarsi. Dopo aver passato così tanto tempo a letto, le sue gambe riuscivano male a sostenerlo, ma non durò a lungo. Nel corridoio intanto, Asajiro aveva lottato per un’ora buona con consiglieri e cortigiani che volevano rendere omaggio all’Imperatore. L’ufficiale imperiale era sul punto di svenire, ma nonostante tutto era riuscito nella sua missione.

Iro uscì per primo, con la mano sull’elsa della sua Parola dell’Imperatore. Scrutò la folla e vide Oogoe. Lo fissò dritto negli occhi e rivolgendosi a tutti:

“Inginocchiatevi di fronte all’Imperatore!”

L’Imperatore ancora barcollante attraversò l’uscio aiutato da Toran. Tutti si prostrarono allora al miracolo. Il figlio del cielo abbracciò i presenti con lo sguardo e scorse Oogoe.

“Membro del clan del Corvo, portami al cospetto del tuo maestro.”

Oogoe si rialzò senza guardare l’Imperatore e gli passò davanti per fargli strada.

“Maestà, i nostri passi ci condurranno ai quartieri poco raccomandabili di Meragi…”

“A proteggermi c’è il miglior combattente dell’impero.” Rispose l’Imperatore.

Toran non cercò di contrariare l’Imperatore che aveva chiaramente un’idea in testa. Si accontentò di assicurare, insieme ad Iro, un’adeguata protezione in un quartiere che, oltre essere tra i più malfamati, era anche il punto di riferimento indiscusso del clan del Corvo.

Oogoe si fermò davanti ad una grande dimora fatiscente in cui il tetto dava riparo a un buon numero di corvi. Gli uccelli presero il volo in una cacofonia di gracchi quando l’Imperatore passò attraverso l’ingresso. Oogoe continuò in avanscoperta, annunciando la venuta dell’Imperatore a quelli del clan che erano presenti. Vedendo Toran e Iro, nessuno esitò a inginocchiarsi. Karasu vide passare il gruppo e lo seguì “giusto in caso”. Dopo essere saliti per tre piani Oogoe si fermò davanti a una porta doppia e proprio quando stava per annunciare l’arrivo di un illustre visitatore una voce risuonò.

“Fallo entrare… da solo.”

“Da solo? Assolutamente no”, ribatté Iro.

“Ve lo ordino”, disse l’Imperatore.

Oogoe aprì una delle porte, l’interno della stanza era buio perché illuminato esclusivamente da candele. L’Imperatore entrò senza la minima paura. Nella stanza il clima era teso. Nel complesso sembrava vagamente una caverna, i muri erano deformati. Daijin era seduto in alto, sovrastando l’Imperatore. Il viso del Corvo era austero, i suoi occhi si affondarono nello sguardo affaticato del sovrano. Dopo un lungo silenzio dove ciascuno osservava e giudicava l’altro, Daijin cominciò la conversazione.

“Alla fine sei uscito dal luogo in cui ti avevo rinchiuso… Devi essere fiero del tuo campione. Allora, che si dice? Sei venuto a portarmi cattive notizie? Dovrò difendere cara la mia pelle?”

L’Imperatore restò in silenzio, aveva riflettuto bene sul momento del confronto con il responsabile della sua malattia. Aveva analizzato il motivo di tutto ciò e l’impatto che avrebbe provocato sull’Impero di Xzia. Davanti agli occhi stupiti di Daijin, il figlio del cielo posò il ginocchio al suolo e portò la fronte sulle mani giunte a terra.

“Gli errori dei miei antenati non sono i miei errori. Il mio solo desiderio è di riportare l’Impero alla gloria che merita. Fuori l’Impero è diviso per la vostra collera nei miei confronti. In più, a nome dell’Imperatore e dell’Impero che vi ha offesi domando perdono. I tempi della scissione sono finiti e riconosco davanti a voi la vostra forza e quella del clan del Corvo."

Daijin non si aspettava niente di tutto ciò. Nonostante la rabbia che egli provava da tanto tempo gli dicesse di continuare, aveva ricevuto delle scuse dall’uomo che regnava sull’Impero di Xzia, e questo contava. Come spirito, egli era legato da una specie di codice. Era davvero arrivato il tempo di cessare con le contese?

“Finalmente…”

Daijin si alzò, discese i pochi passi che lo separavano dall’Imperatore e posò la sua mano sulla spalla.

"Tu hai fatto ciò che i tuoi predecessori non hanno mai avuto il coraggio di fare, pieni com’erano del loro orgoglio e della loro arroganza. Gli spiriti vanno rispettati e la lezione è stata appresa chiaramente. Non c’è più motivo di farti del male. Accetto le tue scuse, sarai un grande Imperatore e sii certo della fedeltà eterna del mio clan."

L’Imperatore si alzò, si scrollò la terra di dosso e partì così com’era venuto.

Nell’indomani, l’Imperatore organizzò una riunione con gli alti funzionari dell’Impero per mostrare il suo ritorno. Toran era al suo fianco, così come Daijin.

“È tempo per l’Impero di Xzia di rivolgersi verso il futuro. Sono accadute molte cose durante la mia assenza e avrò bisogno di tutte le forze per mantenere la nostra supremazia. Signor Toran.”

Lo Tsoutai si alzò e si inginocchiò davanti al presagio celeste.

“Avete servito con fedeltà l’Impero, vi congedo dal vostro incarico di Reggente. Voi avete la responsabilità di vegliare sui templi Tsoutai dell’Impero. Vi auguro un felice ritorno dai vostri, Venerabile."

Toran s’inchinò e tornò al suo posto.

“Daijin, capo del clan del Corvo.”

Il vecchio si alzò a sua volta.

“È giunto il momento che il capo del vostro clan faccia parte della nobiltà. Vi affido la gestione del quartiere di Seichin di Meragi. Sarete inoltre consigliere mistico e protettore dell’Impero. Sarà fatto il necessario per tirar fuori dalla miseria la gente del vostro clan.”

Agli estranei sarebbe potuta sembrare poca cosa, ma in questo modo l’Imperatore riconosceva il clan del Corvo come elemento importante per la vita dell’Impero.

Daijin procedette come Toran e tornò al suo posto, forte di un nuovo potere.

“Campione dell’Imperatore!”

Iro che, come da tradizione, era già in piedi, fu sorpreso nel sentir chiamare il suo nome. Andò a posizionarsi al centro del cerchio come avevano fatto Toran e Daijin prima di lui. Una guardia portò una custodia in legno abbastanza snella.

“Nella storia dell’Impero, solo una persona ha portato quest’arma.”

L’Imperatore prese la custodia e l’aprì in modo tale che tutti potessero vederne il contenuto. Al suo interno c’era una spada dalla forma particolare, diversa dalle Katane tradizionalmente fatte nell’Impero. Quell’arma sembrava aver lavorato a lungo tanto che la lama risultava scheggiata in diversi punti.

“Ecco Kusanagi, spada di Xzia. Brandiscila con orgoglio Campione dell’Imperatore, perché tu sei il simbolo della potenza militare dell’Impero!”

Iro rifiutò più volte il dono, troppo importante per lui. Alla fine, come voleva la tradizione, accettò e tornò al suo posto.

“È il momento di mostrare al mondo che l’Impero è vivo e vegeto!”


Astenaki (è il cap 3)


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L'Intrappolato, Malyss, Occhio di Gemma ed Ergue avevano affrontato molte disavventure prima di trovare l'apprendista di Eredan, Ciramor. Avevano attraversato decine di isole ed incontrato persone e creature tra le più pittoresche del creato. Ogni volta che avevano dovuto affrontare una prova, l'avevano superata grazie alle capacità di ciascuno e anche se il morale era alto, la fatica cominciava a gravare su tutti loro. Ancora una volta scese la notte e pertanto dovettero fermarsi e preparare un accampamento. Ciramor invece era fermo a guardare il sole tramontare dietro alle isole galleggianti. Ergue era intento a pulire un animale appena catturato e Malyss diede fuoco con la magia ad una catasta di legno, sulla quale avrebbero cucinato la preda appena catturata. Occhio di Gemma era troppo stanca per fare qualsiasi cosa e così decise di riposare. L'Intrappolato si diresse da Ciramor.

“Sembri preoccupato.”

“No, in realtà non molto.”

Ciramor si avvicinò al fuoco.

“Ascoltatemi, domani arriveremo sull'isola di Mangiapietra. Dovrete affrontare una grande prova.”

“Ok, ma qual'è questa prova?” chiese Ergue.

“Lo scoprirete domani”, rispose divertito.

“Ci ho provato”, rispose lo Zil.

“Cercate di riposare bene questa notte. Domani vi mostrerò dove dovrete andare ma dovrete farlo senza di me.”

“Molto bene, sono arcistufo di sassi volanti”, intervenne Malyss.

“Questa è una buona notizia ma spero che Mangiapietra sia all'altezza della sua fama e che noi non si abbia sprecato tempo.”

“Non ti preoccupare Intrappolato, ne vale la pena.”

Il gruppo, dopo un pasto veloce, andò a dormire. Solo l'Intrappolato rimase sveglio. Si perse nei suoi pensieri, sentiva che vicino c'era qualcosa di familiare. Guardò le fiamme del falò e pensò alla foresta e a suo fratello. Le ore passarono e finalmente si stava per addormentare, quando percepì che stava succedendo qualcosa attorno a lui. Sentiva movimenti e sussurri. Cercò di alzarsi ma era come se fosse stato incollato al terreno.

“Intrappolato... Intrappolato... svegliati.”

Il Daïs si svegliò. Il paesaggio era cambiato. Non erano più nel loro campo base ma in un altro posto: un bosco di alberi giganteschi, sotto i quali dimoravano cristalli di molteplici colori. L'Intrappolato pensò che fossero tornati alla foresta Eltarite ma poi si rese contò che erano stati tutti legati.

“Che succede?” chiese.

“Non lo sappiamo, ci siam ritrovati così”, rispose Ergue.

“Li sento bisbigliare, parlano in uno strano dialetto ma lo capisco.”

“Di sicuro non fa parte della prova per trovare Mangiapietra, anche Ciramor è stato legato”, disse Malyss indicando Ciramor, anche lui legato come un salame.

Tutti si voltarono verso di lui.

“Non posso dirvi molto, anche io son nella vostra stessa situazione. Non ho la minima idea di chi siano queste persone.”

“Silenzio, sono in contatto mentale con uno di loro.”

Poco distante dal gruppo, nella boscaglia c'erano persone non più nascoste.

“Non avere paura, non possiam farti del male, siamo legati.”

Il gruppo venne avvicinato da una persona, un cristallo brillò.

“Un elfine!”, disse Ergue stupito.

Era una giovane fanciulla, con un vestito verde composto da legno e chitina. L'Intrappolato rimase allibito dal fatto che ci fosse una tribù elfine nei Confini; credeva ce ne fossero solo nella foresta Eltarite e nelle foreste di Guem.

“Perché ci avete catturato?”

“Siete penetrati nel nostro territorio, sarete puniti per quest'affronto.”

“Ciramor, sapevi che c'erano Elfine ai Confini?” chiese Malyss.

“Come ti ho detto, non conosco queste persone.”

“Sarete condotti davanti ad Il Sachem che vi giudicherà”, aggiunse l'Elfine.

“Io sono l'Intrappolato, vengo da un posto dove c'è gente come te.”

L'elfine annuì stupita dalle parole del dais, poi saltò su un albero e sparì.

“Ben fatto, così se ne è andata”, disse Ergue. “Adesso che facciamo? Se vuoi posso liberarmi di queste liane.”

“No, aspettiamo che si facciano loro avanti”, intervenne Ciramor.

“Ah che sagge parole, Ciramor, noi del Clan del Corvo preferiamo sempre evitare il conflitto aperto. La contrattazione è la nostra arma migliore”, rispose annuendo Malyss.

“Ah perfetto ma cosa contrattiamo? Non abbiam nulla da offrire”, scherzò Occhio di Gemma.

“Abbiamo altri vantaggi, per esempio abbiamo un Daïs con noi”, rispose Ciramor.

L'Intrappolato era intento ad osservare l'ambiente che li circondava, riusciva a percepire la natura come nella foresta Eltarite. D'un tratto giunsero diversi Hom'Chaï, ricoperti di tatuaggi tribali, che li condussero in un villaggio. I prigionieri vennero sistemati sotto ad una tenda.

“Ho passato giorni migliori”, disse Malyss.

Dalle ombre spuntò fuori un elfine.

“Shh, voglio fare qualche domanda”, disse l'elfine.

“Mi chiamo L'Intrappolato.”

“Non dirle niente, è chiaro come il sole che vuole informazioni per ricattarci”, accusò la pirata.

“Sta un po' zitta”, intervenne Ciramor. “Stiamo a sentire.”

“Quando ero piccola mi hanno raccontato delle storie sulle creature che ci perseguitarono tempo addietro. Tu corrispondi a quella descrizione”, disse l'elfine.

“Qual'è il tuo nome?” chiese l'Intrappolato.

L'elfine esitò ma poi rispose.

“Sono Silikat, ecco chi sono, da dove vieni?”

“Lascia che ti mostri chi sono.”

Il Daïs non mosse le labbra per parlare ma utilizzò la straordinaria capacità di comunicare mentalmente. Grazie a ciò poté inviare immagini e ricordi tramite la sola forza del pensiero. L'Intrappolato si concentrò e mandò immagini della foresta da cui proveniva, dell'Albero-Mondo, delle persone che aveva conosciuto e insistette nel voler dimostrare alla elfine che la sua tribù non era l'unica di quella specie. La reazione dell'elfine fu indubbiamente positiva. La loro “ discussione” venne però interrotta dall'arrivo degli Hom'Chaï; appena questi si accorsero della presenza dell'elfine decisero di metterla alla porta. La venuta di questi giganti non rassicurava per nulla il gruppo, Malyss pensava che se la sarebbero vista brutta da lì a poco. I viaggiatori vennero afferrati e trascinati come sacchi fino al centro del villaggio. Non era un brutto posto. Attorno c'erano vari tronchi su cui erano seduti vari abitanti del villaggio, i quali scrutavano con aria ostile i prigionieri. Nella “piazza” di forma ovale era sistemato un enorme totem che rappresentava moltitudini di creature. Nella terra, poco distante, era stata scavata una buca, nella quale era sistemato un grande uovo grigiastro. Ciramor lo riconobbe immediatamente.

“Quello è il Mangiapietra.”

Concentrarono tanto lo sguardo sull'uovo che non si accorsero della persona affianco al totem, seppure il carisma che emanava fosse non indifferente. Gli Hom'Chaï gettarono i loro “pacchi” a terra con tutta la delicatezza a loro disposizione, vale dire senza alcun riguardo. Immediatamente costrinsero i prigionieri ad inginocchiarsi. Il Sachem, anziano elfine e capo del villaggio, aveva lunghi capelli grigi, ornati con diverse piume multi colore e con teschi di uccelli. I suoi occhi erano viola, il che scioccò l'Intrappolato, dal momento che non aveva mai visto nulla di simile. Il suo vestito era composto da molte collane di chitina, cristallo ed osso. Non degnò di molta attenzione gli umani ma si fermò a guardare il Daïs, quest'ultimo sentì un forte attacco mentale, i suoi pensieri perquisiti. Così chiuse la sua mente ad ogni assalto esterno, come solo quelli della sua razza sapevano fare. Ciò irritò notevolmente il capo tribù che sputò per terra prima di dirigersi alla sua pedana.

“Fratelli e sorelle, questi stranieri sono venuti per distruggere Astenaki e bruciare il nostro villaggio. Nelle nostre terre si sono avventurati, per causarci nient'altro che dolore. Guardate miei fratelli, guardate mie sorelle, guardate cosa ci inviano gli spiriti maligni.”

Un Hom'Chaï, dopo aver ricevuto un cenno, afferrò l'Intrappolato e lo portò al capo.

“Le creature che hanno recato dolore ai nostri antenati sono tornati per stanarci”, disse tirando i capelli del Daïs, che cominciava a diventare furioso.

Alcuni si alzarono per chiedere la sua testa, altri per chiedere che il Sachem agisse, ma tutti concordavano sul fatto che dovessero morire. Il Sachem mollò la presa e mandò a sbattere per terra la testa del Daïs. L'Intrappolato avrebbe potuto incanalare tutta la rabbia che provava ma non sarebbe stato d'aiuto; l'Hom'Chaï lo teneva ed intorno non c'erano altri che nemici.

“Domani sarete offerti in sacrificio ad Astenaki ed il nostro villaggio potrà tornare all'armonia.”

“Ti sbagli”, rispose il Daïs. “Non siamo venuti per farvi del male, se abbiamo violato il vostro territorio ci scusiamo.”

“Non hai bisogno di addolcire la situazione con la retorica, vile creatura”, disse facendo un passo indietro. “Fissateli al pilastro della sofferenza in modo che possano espiare i loro peccati, prima di essere giustiziati.”

Silikat aveva assistito, come tutto il villaggio, alla scena. Fin da piccola aveva sognato di viaggiare per il mondo ma tutti dicevano che oltre i territori della tribù ad attenderla ci sarebbe stata solo la morte. Poi però l'Intrappolato le aveva mostrato altri luoghi ed altri popoli. Coloro che provavano ad uscire dal villaggio erano sempre rimproverati. Silikat pensò che anche se quella creatura, quel Daïs, avesse mentito su tutto, l'unico modo per scoprirlo sarebbe stato dandogli fiducia. L'elfine amava la sua vita ma sentiva che che non le bastava, quindi con buona pace di quell'invasato del Sachem, questa notte avrebbe provato a far fuggire l'Intrappolato.

Torniamo però alla nostra squadra. Ciascuno di loro era stato legato ad un totem. Immediatamente capirono perché si chiamassero pilastro della sofferenza, dal momento che erano irti di spuntoni. Chi era stato legato ad essi cominciava a sanguinare dalla schiena, un vero supplizio.

“Dovremmo andarcene da qui”, insistette Occhio di Gemma.

“Scapperemo questa notte. Ciramor, sei in grado di portarci via da qui?”

“Ahime, no. I Confini sono enormi e non ho la minima idea di dove siamo.”

“Lo fai apposta. Non stai facendo nulla, dov'è il grande mago che ci ha condotto fino ad ora?”

In realtà Ciramor nascondeva qualcosa. Forse faceva tutto parte del test? La notte arrivò nuovamente ai Confini. Le pance della quadra brontolavano all'unisono. Non avevano mangiato ed erano spossati dalle ferite del pilastro della sofferenza. Ogni tanto passava un Hom'Chaï a deriderli. D'un tratto comparve Silikat, portando con se un grosso piatto di legno ricolmo di cibo.

“Che hai lì?” chiese un carceriere.

“Ho pensato che fosse più semplice tenere d'occhio i prigionieri con la pancia piena. Vi ho portato il piatto più prelibato, l'Harag-na.”

L'Hom'Chaï ringraziò profondamente ed insieme ai suoi colleghi carcerieri si fiondò senza esitazione sul cibo. Passarono pochi istanti e il potente sonnifero che era stato aggiunto al cibo fece effetto. Silikat non perse tempo e liberò i prigionieri delle loro catene.

“Venite... seguitemi in silenzio.”

Troppo stanco e ferito per obiettare, l'Intrappolato diede una mano a liberare i suoi compagni.

“Abbiamo bisogno del Mangiapietra”, disse uno di loro.

Il Daïs realizzato lo scopo della sua missione si mosse con rapidità. Era furioso per il disprezzo per la vita che il popolo eltarite aveva dimostrato. Progredendo in silenzio pensò ad un semplice ma efficace piano d'azione. Il paese era diviso in due parti in modo che si fosse sempre liberi di accedere al totem. Il Daïs fece appello alla sua conoscenza dei sortilegi della natura e fece apparire muri impenetrabili di radici in modo da schermare la strada dal villaggio. Mentre si dirigeva con velocità verso l'obiettivo si accorse che non era solo, Il Sachem era fermo poco avanti.

“Ti ammazzo e la tua testa adornerà la mia capanna”, disse il capo-villaggio.

Il Daïs decise di attaccare a mani nude, o meglio con le sue braccia affilate come rasoi. L'elfine ancora agile per la sua età fece un balzo all'indietro e scagliò in aria i crani di uccelli che adornavano i suoi capelli. Uno spirito di uccello comparve per attaccare il Daïs. L'Intrappolato e lo spirito si diressero l'uno contro l'altro ma mentre il Daïs stava attaccare, l'avversario scomparve nel nulla. Non era altro che un diversivo. Nello stesso istante il capo-villaggio lanciò un incantesimo molto più potente. Gocce di acido cominciarono a piovere nella zona in cui c'era l'Intrappolato, ogni goccia caduta a terra esalava fumo. Il Sachem, pregustando la vittoria, cominciò a ridere ma, purtroppo per lui il suo avversario era immune a tale tattica. Il Daïs sentiva la rabbia crescere in lui e percepiva che i blocchi mentali creati da suo fratello si stavano sciogliendo. Saltò sull'elfine atterrandolo, gli poggiò le mani grondanti di acido sulla testa e urlò.

“Io sono un Daïs, figlio dell'Albero-Mondo e protettore degli Eltarite. Ti mostrerò la vera via, una via che conduce ad una sola cosa: la tua sconfitta.”

Invece di colpire, però si ritrasse, lasciando libero il capo-villaggio. Si diresse poi verso il centro della piazza, in cui stazionava l'uovo. Il Sachem si rialzò con le lacrime agli occhi, il viso sfigurato dall'acido sarebbe rimasto così fino alla fine della sua vita. Dal nulla sguainò un pugnale, pronto ad utilizzarlo a tradimento. Uno strano rumore si percepì nella notte e il Sachem crollò a terra. Silikat sbucò dal nulla e si avvicinò all'Intrappolato.

“Cosa ci faccio qui. Me ne pentirò per il resto della mia vita.”

“Non credo, grazie a te siamo in grado di salvare il nostro mondo.”

L'Intrappolato e Silikat raggiunsero gli altri, Ciramor spalancò gli occhi quando vide l'uovo.

“Ce l'hai fatta.”

“Allora leviamo le tende”, disse spazientita Occhio di Gemma. “È stato bello ma torniamo a casa.”

“Abbiamo ancora bisogno di sapere dove andare”, intervenne Ergue.

“Bhe io ho una soluzione... ma intanto allontaniamoci dal villaggio”, disse nuovamente la pirata.

“Sì hai ragione, andiamo prima che parta l'inseguimento.”

La truppa con l'uovo di Mangiapietra ripartì il suo viaggio attraverso la natura.

Continua....


Gli dei morti


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Capitolo 1 - Omicidio

Il Principe Metchaf guardava la sabbia del deserto di Smeraldo che si stendeva fino all'orizzonte. Quel giorno erano giunte ad Aksenoun numerose carovane, portando con loro la notizia di un imminente tempesta di sabbia. Questo avrebbe complicato la ricerca dell'ultima città in mano ai ribelli. L'Aif Salah Medhir, grazie all'aiuto del principe, aveva ritrovato sua figlia e ripreso il comando della città. Come ringraziamento il principe era stato invitato a rimanere quanto voleva. Il figlio del deserto decise di approfittare dell'ospitalità per concedersi del tempo con la sua promessa sposa e con il padre di lei; quest'ultima giunse sulla terrazza dove si trovava il principe.

“Principe, una guardia reale appena giunta ha chiesto di poter conferire con lei.”

Il principe che non aveva chiesto alcun rinforzo ne rimase sorpreso.

“Lascialo entrare, ti prego”, rispose sospirando.

La figlia dell'Aif si voltò dando istruzioni alla servitù. La guardia reale giunse attenendosi al protocollo. Il principe rimase stupito dal vedere che la guardia reale fosse femmina e piuttosto avvenente.

“Sono Urakia, suo padre mi ha mandato per assistervi”, disse togliendosi l'elmo.

Quel nome era vagamente familiare. Ma sì! La figlia del primo consigliere di suo padre, il Visir Mahamoud. Erano all'incirca delle stessa età e avevano spesso giocato insieme quando erano piccoli.

“Mio padre mi ha inviato qualcuno di importante, è fuori questione che io torni a Mineptra”, pensò.

“Bene, gli aiuti contro i ribelli non sono mai troppi. Va' dal capo della guarnigione di Aksenoun e informalo che ora hai tu il comando.”

“Grazie, mio Signore.”

“Signore... una volta ci chiamavamo per nome..”

“Altri tempi, altri ruoli figlio del Re del Deserto. Ho fatto un lungo viaggio, prendo congedo.”

“E sia. Stasera però mangerai alla mia mensa.”

Questo era un grande onore e segno di notevole stima. Urakia ne sembrò orgogliosa. La figlia dell'Aif ne sembrò invece gelosa.

“Mio principe, è forse necessario avere questa guerriera al nostro tavolo?” chiese con tono di rimprovero.

Il principe scoppiò a ridere.

“Si mostrerà a tutti in modo da far sapere della sua presenza, questo farà desistere qualcuno dal tramare alla mie spalle. Non ti preoccupare, solo tu sei nel mio cuore”, disse baciandola.

“Ora va a prepararti, voglio che tu sia più bella che mai, degna del ruolo che ricoprirai, mia futura regina.”

Il principe riprese a giocare con i pesci mentre l'attenzione della figlia dell'Aif tornava ad essere concentrata sulla servitù. L'orizzonte si stava tingendo di rosso e l'attività all'interno del palazzo era in fermento. Deliziosi profumi provenivano da ogni stanza. Risuonavano dolci note musicali e le ballerine si muovevano tra i tavoli, dove gli ospiti attendevano di sedersi quando sarebbe finita la benedizione del sacerdote di Sol'ra. Quest'ultimo vestiva sontuosamente con un abito di splendida fattura, monili d'oro e pietre solari. Venne il silenzio e tutti, nessuno escluso, si voltarono nella sua direzione.

“Nessuno può contrastare la volontà di Sol'ra. Coloro che non seguono i suoi dettami sono stati puniti. Grazie Sol'ra per aver inviato il Principe Metchaf a ristabilire l'ordine.”

Tutti i partecipanti si inchinarono in direzione del principe, il quale non ebbe alcuna reazione, essendo abituato ad un simile trattamento.

“Ora continuiamo pure”, riprese il sacerdote.

Tutti ripresero il proprio posto a sedere ma il sacerdote non poté ricominciare il sermone; una volata di vento irruppe nella stanza mandando a terra tutto ciò che incontrava. La servitù si apprestò a rimettere in ordine ma in quel mentre, un urlo soffocato raggelò l'ambiente. Il sacerdote galleggiava in aria, avviluppato da folate di vento che gli squarciavano la carne. Urakia fu la prima ad intervenire e cercò di riportare a terra il sacerdote, ma non ce la fece. Il principe afferrò una cassapanca di legno e la usò per colpire l'invisibile nemico ma questa si ruppe in mille pezzi. Mentre il sacerdote stava morendo dissanguato, la sabbia portata dal vento prese una forma umana, la forma di una donna dagli occhi neri. I suoi capelli galleggiavano nell'aria e le sue vesti, che sembravano molto vecchie, erano ricoperte si simboli proibiti. La maggior parte degli ospiti fuggì in preda al panico e vennero sostituiti dalla guardie, accorse in gran numero. Il sacerdote morì prima di poter toccare terra. Il principe sguainò la spada e la indirizzò verso l'aggressore.

“Sento il sangue che ti pulsa nelle vene”, disse la donna dagli occhi neri.

Poi mise una mano vicina alla bocca del sacerdote. Ne uscì un globo di luce brillante che lei ingoiò immediatamente.

“Ci vedremo presto”, disse mentre le guardie andavano alla carica.

Una nuova folata di vento irruppe nella stanza e trasformò nuovamente la donna in qualcosa di impalpabile.

Metchaf ed Urakia non esitarono un istante e si diressero all'inseguimento della nuvola di sabbia, che si stava dirigendo fuori dalla stanza. Entrambi erano Solarian e questo permise loro di muoversi con una velocità impensabile. In breve tempo si trovarono fuori da Aksenoun.

Era difficile seguire una nuvola di sabbia nel deserto ma ciononostante non desistettero.

Venne la notte.

Camminarono per diverse ore prima che si accorgessero di una brutta cosa.

La tempesta di sabbia di cui avevano sentito parlare stava arrivando implacabilmente verso di loro.

Ogni granello di sabbia era una tortura. Il vento giungeva da tutti i lati e non riuscivano a vedere più in là del loro naso.

Urakia rimase incollata al principe, perché se mai si fossero separati non avrebbe più potuto ritrovarlo. Ad Aksenoun avevano lasciato tutto l'indispensabile, la maggior parte della loro pelle era esposta alla forti raffiche.

La sabbia cominciò ad aumentare attorno a loro, muoversi diveniva sempre più difficile.

Vennero inghiottiti dalla furia della sabbia...

Capitolo 2 - L'oasi di Istaryam

Urakia si svegliò lentamente. Si sentiva come se un orda di cammelli l'avesse calpestata. Se era dolorante significava che era ancora viva. Incapace di muoversi si guardò attorno. Era all'interno di una grande tenda, come quelle di alcune tribù non sedentarie. C'era un forte odore di incenso e riusciva a vedere molti oggetti d'antiquariato. Si alzò dal letto e con molta difficoltà si diresse barcollando verso l'ingresso. Una ventata fresca le risollevò il viso stanco; poco più in la c'era un lago con attorno lussureggiante vegetazione. Nel mezzo dell'acqua c'era une vecchia statua in parte erosa dal vento. Sulla riva il principe si stava pulendo il volto. Tutto era molto misterioso. Chi li aveva trovati e salvati? A queste domande avrebbero dovuto pensare in seguito. Per il momento Urakia raggiunse il principe per scambiarsi informazioni.

“Maestà, avete capito qualcosa?”

Lui scosse il capo.

“Mi sono svegliato poco fa. Credo di sapere dove siamo ma non so chi dover ringraziare per averci salvato la vita.”

Urakia aveva immaginato che il principe non le avrebbe raccontato tutto.

“E...quindi...dove siamo?” chiese con tono vagamente esasperato.

“Mmm? Ah sì, credo che siamo all'oasi di Istaryam.”

Urakia ebbe un tuffo al cuore al sentire tale nome. Istaryam era il nome di un antica città che fu la roccaforte dei politeisti durante la guerra tra solarian di 150 anni prima. Per ordine del re del deserto, era stato vietato l'accesso a questa parte di deserto e con il tempo ci si era perfino dimenticati della sua esistenza.

“Dobbiamo... Andare via... È proibito.”

“Voglio fare chiarezza su questo posto, voglio sapere chi viola quanto decretato dal re e che eppure ci ha salvato. Sospetto ci sia molto di più dietro a questa storia, ho come una strana sensazione. Comincio a capire perché questo luogo è proibito.”

Urakia non fu molto rassicurata dalle parole del principe, aveva ancora a mente le storie raccontatele su quel luogo.

“Stiamo per morire”, disse Urakia disperata. “Questo luogo è sotto lo sguardo di Sol'ra, chi ci vive subirà l'ira di fuoco del Dio. Non voglio stare qui.”

Metchaf si grattò il naso, era infastidito dal comportamento poco consono della guardia.

“Andrai dove ti dirò di andare, farai quello che ti dirò di fare. La prima cosa da fare è controllare se attorno all'oasi ci siano tracce di cammello.”

La giovane donna era divisa tra due sentimenti: rabbia e vergogna. Mise da parte l'orgoglio ed andò assieme al principe. L'oasi era molto più grande di quanto avevano pensato. Dopo un'ora di cammino, i due solarian arrivarono ad una spiaggia su cui era poggiata una statua. Poco distante, nel lago, una donna nuotava tra le ninfee. Metchaf ed Urakia la riconobbero immediatamente: era l'assassina del sacerdote di Aksenoun. Urakia sguainò le sue de spade ed entrò in acqua: non fece però molta strada perché cominciò ad affondare come nelle sabbie mobili.

“Dunque è questo il modo per ringraziarmi di avervi salvato? Attentare alla mia vita?” chiese allontanandosi da Urakia.

Metchaf davanti al corpo nudo della donna, distolse lo sguardo.

“Assassina, hai ucciso un sacerdote di Sol'ra! Verrai giustiziata”, urlò infuriata Urakia.

Sulla donna apparvero abiti sontuosi, il che la rese ancora più impressionante. Il principe si posizionò ad una certa distanza per evitare problemi. Mentre Urakia cercava di uscire dall'acqua, Metchaf iniziò a parlare.

“Chi sei?”

“Mi aspettavo più un grazie.”

“Chi sei?”

“La domanda non è chi sono ma cosa ci fate voi qui.”

“Stavamo seguendo un'assassina”, urlò Urakia.

“Uccidere un assassino è omicidio o è un favore?”

“I sacerdoti di Sol'ra non uccidono”, rispose Metchaf trattenendo a stento la rabbia.

“Ma davvero? Sei sicuro di questa affermazione?”

“Chi sei?”

“Ho sentito voci che dicevano che Ahmid sarebbe tornato.”

“Ahmid? Quel... smettila una buona volta di cambiare argomento. Rispondi: chi sei?”

La giovane donna sembrava persa nei suoi pensieri. Poi intorno a lei tutto mutò forma, come se dei ricordi stessero prendendo forma. La scena raffigurava una battaglia, in cui lei affrontava un guerriero di Sol'ra. La scena finì con la morte della donna. Metchaf ed Urakia compresero immediatamente il senso della scena.

“Ptol'a”, sussurrò il principe per non farsi sentire da Sol'ra. “Impossibile.”

“Sono qui per mostrarvi una strada, il futuro dipende da voi. Il nostro futuro; adesso seguitemi.”

Urakia fu nuovamente capace di muoversi e Metchaf si stupì a seguire la donna senza fare domande. Non sapevano come reagire.

Capitolo 3 - La Tomba degli Dei

Colei che si pensava essere l'incarnazione di Ptol'a , tornata dalla morte, li portò vicino all'oasi di Istaryam. Il cielo era coperto ed oscurava il sole. Arrivarono in un luogo molto più grande di una duna di sabbia, anche perché non era duna. Era bensì un edificio, il cui ingresso era stato cancellato. L'ingresso era stato bloccato da una massiccia lastra di pietra ma quest'ultima era stata rotta in modo da poter far passare un uomo corpulento. Un enorme simbolo di Sol'ra era stato tracciato sulla porta.

“Un ammonimento del Dio”, disse il principe.

“Che alcuni hanno infranto per ribellarsi alla dittatura del falso dio.”

“Falso dio!” si arrabbiò Urakia. “Sol'ra è l'unico dio.”

“In questo caso, se sei certa di ciò che dici non dovresti avere problemi ad avanzare e vedere cosa c'è con i tuoi occhi. Non sarai sicuramente influenzata da ciò che è celato al suo interno.”

La guardia reale mise il broncio, chiedendosi cosa mai sarebbe stato celato all'interno dell'edificio.

“E se non volessimo entrarci?” disse il principe con tono di sfida.

L'incarnazione di Ptol'a sorrise.

“In questo caso o rimanete ad Istaryam fino alla fine dei vostri giorni oppure provate ad andarvene. In questo caso rischiate di rivelarvi, Solarian. Non riuscirete più a controllarvi e morirete per un dio che non si cura di voi.”

“Non abbiamo scelta Urakia”, disse il principe con un idea ben radicata nella testa.

L'interno dell'edificio, illuminato da lampade ad olio, mostrava una scala infinita che volgeva verso il basso. Affondava sotto il deserto e così il calore svaniva, lasciando spazio ad una salutare freschezza.

“Cosa facciamo principe?”

“Vedremo cosa fare. Per adesso sembra una copia delle grandi tombe dei miei antenati. Se è costruita secondo lo stesso modello, allora in quel caso potremo uscire dalla parte opposta e andarcene di fretta.”

“Spero tu abbia ragione.”

“Abbi fede.”

Dopo mezz'ora, finalmente, arrivarono al termine della scalinata, la quale si affacciava su una stanza di medie dimensioni. Le quattro pareti erano ricoperte di geroglifici e simboli. Nell'aria gravava un leggero odore di morte. Incominciarono a leggere e decifrare i simboli, così lessero del principe caduto.

“Non credo a quello che ho letto”, disse Urakia.

“Esattamente, non dobbiamo crederci perché è tutto sbagliato.”

Le scritte erano state fatte da sacerdoti e fedeli; i quali furono rinchiusi in quel luogo insieme alle incarnazioni dei loro dei dopo la fine della guerra contro Sol'ra. Parlavano di come i solarian avessero raso al suolo interi villaggi, abitati da persone del deserto. Erano atti così violenti ed imperdonabili che avevano fatto estinguere intere civiltà, quelle del deserto del sud. Questi scritti fecero dubitare il principe che, nonostante l'aria altezzosa, amava il suo popolo. Urakia d'altro canto non voleva tener conto delle bugie degli infedeli. Non accettava che si spargesse fango sul suo credo e sulle sue convinzioni. C'era però un particolare inquietante. Le parve di vedere tra le persone descritte, uno dei suoi antenati. Una persona, la cui memoria tramandata, era emblematica e degna di paura. Aveva contribuito a fondare Mineptra. La coincidenza era inquietante, molto inquietante per una famiglia religiosa e devota come la sua. I due lasciarono la stanza con il cuore colmo di dubbi ma un'altra sorpresa era lì ad attenderli. Oltrepassarono una nuova porta, anche questa in frantumi e ciò che videro era magnifico: una enorme città sotterranea. Moltitudini di case di sabbia erano state edificate scavando nella terra. In mezzo alla città, una cinquantina di persone, che lì abitavano, erano in attesa. Metchaf ed Urakia avanzarono verso di loro, ad armi impugnate. Una di queste persone, sicuramente il capo, si fece avanti.

“Benvenuti alla Tomba degli Dei, coloro che sono morti in difesa del deserto e delle sue meraviglie. In questo luogo scoprirete le verità su Sol'ra e su ciò che significa essere divini. Posate le armi, non vi serviranno, non vogliamo farvi del male.”

Continua....


Alla riscossa


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Capitolo 1 - Becca-tuono

Dan si sedette davanti ai progetti della Arc-Kadia. Era da molto tempo che non saliva sulla nave che aveva progettato con il Gigante Triste. I pirati di Al la Triste avevano viaggiato tra innumerevoli isole prima di giungere dal vecchio sacerdote e convincerlo a salire a bordo. Al era molto curiosa di sapere se avrebbe ottenuto qualcosa dal suo ospite. Gli sorrise.

“Sei cresciuta Alexandra ma mi sembra tu abbia qualche problema con l'Arc-Kadia.”

“Dobbiamo rimetterla a nuovo.”

“Spiegami, che cosa non funziona?”

“Ho attivato la console.”

Dan chiuse gli occhi come se avesse subito capito che reazione avesse avuto compiere quell'azione.

“Capisco, capisco. Sai non sono stato l'unico a progettare la nave.”

“Lo so ma Gamba di Legno...”

“A tuo padre non andava a genio, non fidarti di lui”, rispose Dan chiudendo la questione. “No, so già come poter rimettere a nuovo la nave ma sarà difficile farlo senza l'aiuto del passero.”

“Il passero? Chi?”

“Il passero!!! Becca-tuono? Quel vecchio pappagallo spiumato?” ringhiò Bragan. “È più alcolizzato lui di tutta la ciurma messa assieme.”

“Forse, vecchio lupo d'aria, ma c'era anche lui quando era stata costruita la nave e tu eri marinaio all'epoca.”

“Va bene ma dove troviamo questo uccello?” tagliò corto Al.

“Si trova su un isola dei devastatori, in una delle molte grotte”, rispose il predicatore.

“Così sia, non è lontana. Bragan si parte”, disse Al. “Vai in sala macchine e fatti aiutare da Klemence.”

Dopo pochi giorni i pirati arrivarono sull'isola; era un isola di franchigia, cioè un territorio su cui i Signori delle isole non avevano diritto di attraccare e tanto meno di dettar legge. Era un covo di tutte le peggior specie di delinquenti ma era anche la culla della pirateria. In molte occasioni l'isola era stata attaccata dai Signori del cielo ma non era mai stata conquistata. L'Arc-Kadia atterrò in uno dei molti moli. Dopo aver preso le necessarie precauzioni per tutelare la nave, Al, Mylad e Ti Mousse si diressero a cercare il famoso Becca-tuono. Le strade della città, se così vogliamo chiamarle, erano zozze, puzzolenti e ovviamente mal frequentate. In diverse occasioni il gruppo fu costretto a dimostrare che non erano semplici turisti in visita. Il villaggio dei devastatori era composto da miriadi di case, le quali rimanevano in piedi per miracolo. Solo poche abitazioni erano costruite secondo il classico stile delle isole bianche, ovvero fango ricoperto di calce. Al decise di ignorare il luogo, che destava in lei tanti spiacevoli ricordi, e preferì dedicarsi al motivo della sua presenza. Cominciarono a setacciare la zona fin quando non trovarono una taverna meno disgustosa delle altre.

“Quest'isola è un labirinto, passeranno anni prima che si riesca a trovare quel piumato”, disse Mylad con rassegnazione. “L'ultima volta che ci siamo visti non è che fossimo in buoni rapporti.”

“Ma tu lo conosci?” chiese Ti Mousse.

“Sì, è stato lui ad insegnarmi ad usare la magia”, disse bevendo parecchi sorsi di una sostanza forse usata per i radiatori.

La notte cominciò ad avvolgere la terra di Guem e molti avventurieri entrarono nella taverna. La presenza di due belle donne cominciò a far scaldare gli animi. Uno degli ultimi arrivati, armato di bicchiere di rhum, si diresse verso Mylad e il Capitano.

“Signorine... permettetemi... di offrirvi... una pinta.”

Il suo respiro pesante convinse Mylad che quell'uomo era in cerca di guai.

“Lasciaci in pace”, disse in modo da essere ben udita.

“Oh.. oh... mi sa che avremo problemi”, balbettò il coraggiosissimo Ti Mousse.

“Dai, non fare la preziosa. Sono bello come gli altri.”

Gli altri pirati erano lì vicini per sostenere questo incredibile approccio di corteggiamento.

“Spiega le vele e vattene, scorfano.”

L'altro sghignazzò e provò a palpeggiare zone che non aveva il permesso nemmeno di immaginare. Mylad non aveva più bisogno di Al per difendersi e tirò un ceffone al molestatore. Questo sguainò la spada ma Mylad fu più veloce; fece scaturire catene di fulmine con le quali colpì chiunque fosse lì.

“Hai fatto dei bei progressi Mylad.”

Qualcuno di diresse verso il tavolo. Il suo aspetto era incredibile: alto come un uomo ma ricoperto di penne blu e dotato di un becco adunco. In effetti sembrava un grosso pappagallo. Non c'erano dubbi su chi fosse.

“Andatevene via, andate a brindare al fatto che siete vivi”, disse sedendosi al tavolo e scacciando la folla.

Mylad era ancora arrabbiata.

“Su ragazza, siediti.”

La giovane maga sospirò prima di poggiare delicatamente le chiappe sulla sedia mezza marcia.

“Tu sei Al la Triste? Figlia del Gigante, eh? L'ultima volta che ti ho vista... ”

“...ero molto piccola, sono stanca di sentirmelo dire. Non sono brava ad ascoltare, ne paziente, passero. Ho un lavoro per te”, tagliò corto Al.

“Becca-tuono è costoso”, rispose sfregandosi le mani.

“Abbiamo di che pagarti”, disse Ti Mousse avvicinando una borsa zeppa di cristalli.

“Oh... lo vedo, lo vedo. Cosa volete che faccia?”

“Riparare la mia nave.”

“Vuoi dire l'Arc-Kadia?”

“Esattamente.”

“Sai che non sono un meccanico.”

“Lo so ma il predicatore ha bisogno di te.”

“Il predicatore? Non è ancora morto? “

“Siamo d'accordo o no?”

Becca-tuono guardò un attimo Mylad e la sua aria afflitta. Pesò i pro e i contro. Da una parte Mylad e il predicatore, dall'altra un bel gruzzolo e la possibilità di lasciare quell'isola.

“Va bene, andiamo.”

Capitolo 2 - Ritirata Strategica

Da diverse ore il gruppo ai Confini era in fuga dalla collera degli Hom'chaï e delle Elfine. I loro inseguitori erano in forma ed avevano una perfetta conoscenza del territorio e grazie a queste due doti stavano per catturarli. L'Intrappolato stava facendo tutto il possibile per creare barriere con cui rallentarli ma era difficile fermare qualcuno in una foresta. Ergue, Malyss, Ciramor si stavano aiutando l'un l'altro per procedere al meglio e Silikat li guidava. La tribù inseguitrice era però formidabile nel dare loro la caccia e nonostante il gruppo fosse ormai esperto si ritrovarono con un unica possibilità di fuga, un salto nel vuoto.

“Siamo come topi in fuga”, disse Ergue rassegnatosi ad essere un cacciatore braccato.

“Non ci faremo prendere senza lottare”, disse Malyss preparando una strategia d'attacco.

Occhio di Gemma era in un angolo a montare un oggetto grazie a varie parti del suo equipaggiamento.

“Che stai facendo?” chiese Ergue.

“Ci porto di là, noi pirati abbiamo sempre una via di fuga.”

“Il tuo arnese ci farà volare?”

“No ma apri bene gli occhi Zil, non vedrai cose simili nella tua vita.”

Occhio di Gemma aveva finito di montare il suo arnese che sembrava essere una grossa pistola. Malyss comprese che aveva proprietà magiche. Occhio di Gemma puntò la pistola in cielo e fece fuoco. Una piccola sfera bianca che emetteva luce brillante comparve nel cielo ed illuminò tutto l'ambiente circostante. I loro inseguitori non erano molto distanti, gli Hom'chaï non stavano cercando di essere discreti e stavano distruggendo tutto lungo il loro cammino quando sentirono lo Pchiiii del razzo lanciato da Occhio di Gemma.

Da due giorni Becca-tuono era tornato sulla Arc-Kadia e aveva il cuore pesante dal rivedere Dan, Briscar e Bragan. Si era poi messo a lavorare affinché la nave tornasse alla sue potenzialità iniziali. Il cuore nella nave era un macchinario molto sofisticato. Klemence rimase stupita dal vedere il predicatore ed il passero smontare e rimontare quello strano marchingegno, per non parlare del fatto che era stato caricato grazie alla magia del fulmine da Mylad e dallo stesso Becca-tuono. Entrambi dovettero dar fondo a tutto il loro potere magico. Grazie ad un piccolo apparecchio poterono vedere che la lancetta che segnava la carica della macchina era nuovamente a posto. Infine Dan mise a posto la console e rimosse il medaglione del padre di Al la Triste. Il capitano aveva assistito al tutte le operazioni per rimettere a nuovo la sua nave. Dan le si avvicinò porgendole la collana.

“Tieni ed usalo con saggezza. Ho mostrato alla tua piccola tuttofare cosa sia necessario fare la prossima volta. Non è molto complicato ma quel macchinario è... come dire... in anticipo con i tempi.”

“Grazie per l'aiuto.”

“L'ho fatto in memoria di tuo padre. Ora che ho finito, permettimi di lasciare la nave.”

Al la Triste li mise la collana al collo.

“Certo.”

Dan non si prese la briga di salutare gli altri, raccattò le sue robe e se ne andò. Becca-tuono stava camminando sul ponte e decise di stappare una bottiglia per ricordare le avventure vissute su quella nave. Mentre la nostalgia cominciava a venire a galla, si trangugiò mezza bottiglia. Fu allora che vide qualcosa in cielo, una palla bianca. Questa poi esplose creando un vortice che aspirò la nave. Nessuno dell'equipaggio venne ferito e la nave stessa non subì danni.

Mentre la sfera bianca esplodeva creando un vortice, il gruppo sull'isola dei Confini si stava preparando alla battaglia. Pochi istanti dopo l'Arc-Kadia apparve come per magia, il suo equipaggio era confuso dal ritrovarsi dall'altra parte del mondo. Ergue, Malyss, Ciramor, L'intrappolato e Silikat rimasero stupiti dai nuovi arrivati. Al la Triste teneva la barra mentre un membro dell'equipaggio esaminava la situazione sull'isola. Gli altri pirati sbucarono da ogni dove, non capacitandosi di cosa stesse accadendo. Al la Triste urlò degli ordini e disse chiaro e forte che Occhio di Gemma era in pericolo. Fu Becca-tuono ad agire per primo, lasciò andare la bottiglia e si lanciò nel vuoto da un'altezza da cui nessuno avrebbe osato saltare. Rallentò la caduta grazie alle ali e venne immediatamente raggiunto da Mylad, la quale era avvolta da folate di vento. I primi ad arrivare furono le Elfine, seguite dai loro Hom'Chai, i quali erano grandi, forti, potenti e arrabbiati.

“Hanno assunto il Ragianne”, urlò Silikat. ”Combatteranno fino alla morte”, continuò mentre schivava un colpo.

C'erano cinque di questi mastodontici guerrieri, i quali erano coperti di tatuaggi e molto più impressionanti di quelli delle terre di Guem. L'Intrappolato fece scaturire radici per fermarli. Malyss creò numerose pareti di ghiaccio. Ciramor che custodiva l'uovo del Mangiapietra si affrettò a correre verso la nave.

“Sono con Occhio di Gemma”, urlò mentre evitava molte spade.

Briscar afferrò il mago e lo fece sedere in un angolo.

“Non ti muovere da qui.”

Dopo gli Hom'Chai fu il turno delle Elfine di attaccare. Nugoli di frecce velocissime andarono a conficcarsi nello scafo dell'Arc-Kadia. Becca-tuono che aveva partecipato a innumerevoli battaglie non voleva combattere a lungo contro quei fanatici.

“Mylad, barriera.”

Agendo immediatamente creò un muro di fulmine che divise l'area in due zone, la cosa scioccò Ergue e la maggior parte degli Hom'Chai. I pirati a bordo lanciarono innumerevoli corde per far montare a bordo il gruppo. Bragan urlò di salire senza perdere tempo. Gli ultimi a salire furono Becca-tuono e Mylad. La nave si allontanò tra le frecce delle Elfine. Il gruppo era steso a terra, senza fiato. Al la Triste, al timone, diresse la nave verso il vortice, in modo che potessero tornare da dove provenivano. In un attimo furono all'isola dei devastatori.

Al fermò la nave e chiese che fosse successo. Occhio di Gemma spiegò cosa fosse accaduto, in una versione sintetica e poi presentò Ciramor, Silikat e l'uovo che avevano trovato, al cui interno c'era Mangiapietra dei Confini. Ciramor che teneva l'uovo come se la sua vita dipendesse da esso, sentì muoversi qualcosa al suo interno.

“Guardate”, gridò. “Sta per schiudersi.”

Immediatamente un capannello di gente si radunò. Egue, Malyss e L'intrappolato erano molto curiosi di vedere il frutto dei loro sforzi. L'uovo si mosse e poi cominciò a rompersi. Un liquido grigiastro cominciò a defluire dalle molte crepe apertesi. Il tutto si concluse con la comparsa di una creatura grigiastra. Aveva vagamente la forma umanoide ma era privo di naso e capelli. Le sue dimensioni erano quelle di un bambino. La creatura cominciò a sbattere gli occhietti. Il pubblico era stordito, confuso ed anche un po' deluso. Silikat con reverenza porse alla creatura un pezzo di quarzo, questa strisciò fino all'elfine e cominciò a sgranocchiare la pietra.

“Questa è il Mangiapietra?” chiese Malyss. “Abbiamo fatto tutta questa fatica per lei?”

Ciramor aiutò la creatura a togliersi i pezzi di uovo rimastegli attaccati.

“Questo è solo l'inizio, se vi va bene mi occuperò di lei”, aggiunse l'apprendista di Eredan.

L'Intrappolato andò da Al la Triste.

“Grazie per averci aiutato, eravamo in difficoltà.”

“Di nulla, siamo pirati ma abbiamo comunque un cuore.”

“Ti è possibile portarci alla foresta Eltarite? Dobbiamo muoverci dal momento che abbiamo perso anche troppo tempo.”

“Va bene, andiamo.”

Estinzione


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Capitolo 1 - Passato Decomposto

In un altro luogo...

In un'altra era...

In un'altra battaglia...

Eredan e gli eroi della guerra erano riusciti a porre fine alla follia di Nehant. I nehantisti avevano perso la loro supremazia, lasciando alle loro spalle una lunga scia di sangue sulla terra di Guem. L'ultimo luogotenente di Nehant, Amidaraxar, aveva percepito la sconfitta del suo maestro. Gli abitanti del ghiacciaio d'Ametista, erano sulle sue tracce. La giovane elfa del ghiaccio, Nibelle, ed i suoi compagni affrontarono questa spregevole creatura, il quale nonostante la dipartita del suo maestro era tuttora pericolosissimo. I compagni di Nibelle lo appresero sulla loro pelle. Per mesi Nibelle aveva lavorato alla creazione di una prigione, grazie all'aiuto di Eredan, nella quale voleva rinchiuderci Amidaraxar. Dopo averlo pedinato a lungo, decise di affrontarlo. Il nehantista era un un uomo di bell'aspetto, con una maschera che celava il volto e con vesti lacere. Più che un uomo sembrava un fantasma. Intorno a lui levitavano moltitudini di pietre nere.

“Tu sei Nibelle... mi prenderò la tua anima e il tuo corpo”, disse preparando i suoi incantesimi.

L'elfo non rispose alla provocazioni ma si concentrò invece nelle sue preghiere, tenendo in una mano uno strano bastone ricoperto di anelli d'oro. La sua era una preghiera per resistere all'influenza della magia nehantica. Amidaraxar non perse tempo e dalle pietre che portava con se si sprigionarono dei lampi oscuri. L'elfa gridò quando venne investita dal maleficio ma restò viva nonostante quell'incantesimo avesse la finalità di ucciderla. Gli dei avevano risposto al suo appello. Venne avvolta da una tenue luce bianca, che lei abilmente incanalò nel bastone. Mentre il nehantista scagliava nuovamente il suo terribile sortilegio, lei picchiò il bastone sul terreno.

Amidaraxar si paralizzò. Le sue pietre caddero a terra. Si sentiva schermato dalla fonte del suo potere.

“Noo. Nooooo. Che cosa hai fatto?”

Sottili nastri di ghiaccio si avvolsero attorno al suo corpo.

“Tu.. non puoi uccidermi”, gridò rabbiosamente.

“Lo so ma io non voglio ucciderti, sarai incarcerato per l'eternità.”

Il ghiaccio, come se fosse un essere vivente, lo inghiottì lentamente. Nibelle esausta mortalmente venne assistita da chi aveva assistito alla scena.

“Portami alla porta, devo recitare il ruolo della mia vita.”

Nibelle aprì gli occhi...

Molti anni erano passati nel frattempo, ora era vecchia e stanca. Da molto tempo Yilith era andata via per cercare risposte e non era più tornata. Da molti anni Amidaraxar si era rafforzato e ora stava per prendere il sopravvento. Da giorni sentiva la volontà del nemico farsi più forte e si scoprì a pensare che senza Nehant avrebbe comunque potuto fare ben poco. Il cuore di Nibelle era pesante, sentiva che un terribile futuro attendeva la sua gente.

Capitolo 2 - Manovre

Yilith aveva viaggiato attraverso le terre di Guem per cercare aiuto per il suo popolo. Aveva attraversato il regno di Tantad, uno strano posto con usi e costumi molto strani. La gente aveva rifiutato di darle aiuto e lei era ancora a correre contro il tempo. Attraversò le regioni più remote e nessuno le aveva dato una mano. Infine attraversò i confini della Draconia e lì un gruppo di persone, perlopiù soldati, le venne incontro. L'Elfa del Ghiaccio aspettò che arrivassero da lei.

“Dama Yilith, abbiamo l'ordine di accompagnarti a Kasterl Levarak”, disse colui che sembrava essere il capo.

“Sai chi sono?”

“La Phytie sa cosa ti muove, vorrebbe aiutarti nella tua impresa.”

Finalmente qualcuno interessato a darle una mano, non si fece quindi pregare mentre veniva condotta ad una piccola cittadina. C'era un castello dalle torri affusolate con splendidi giardini, il tutto circondato da molte casette disposte regolarmente. Tutto era tranquillo ed Yilith si meravigliò della pulizia che regnava in quel posto. Venne condotta in un giardino, nel quale decine di persone la attendevano pazientemente assieme a La Phytie.

“Sei la benvenuta Yilith. La nostra casa è la tua, qui troverai ristoro”, disse La Phythie, oracolo di Dragone. “Ti ho vista cercare aiuto nelle terre a nord. Io ti aiuterò.”

“Grazie Phythie, a nome mio e del mio popolo. Percepisco in te grande saggezza”, rispose subendo il forte carisma della Phythie.

L'Oracolo e la Profetessa parlarono per buona parte del giorno e della notte su cosa stava accadendo al mondo. Poi lasciò Yilith in compagnia dei membri della Guardia di Kastel Levarak. Nel frattempo nella capitale della Draconia, Moira stava scrutando i suoi uomini, tutte Stregaspada che le erano state affidate da Naya. Erano tutte conformi al regolamento ma non capivano perché avessero dovuto indossare vestiti caldi di pelliccia in primavera. Attesero per un'ora che arrivasse colui che stavano aspettando, come previsto dalla Phythie. Marlok e Marzhin avevano creato un passaggio tramite il potere del Compendium, in modo che Moira, Yilith ed il gruppo di guerriere non perdesse tempo. Attraversarono il portale e si trovarono dalla parte opposta del mondo, nel perenne freddo del ghiacciaio d'Ametista.


“Dimizar, è giunto il momento il momento che io esca da questa prigione, è giunto il momento che io mi riprenda ciò che mi spetta.”

“Maestro, è quasi pronto.”

“Come quasi?” urlò l'immagine nello specchio.

“Diciamo che siamo sotto stretta sorveglianza.”

“Non hai detto che il Consiglio è nelle tue mani?”

“Sì.”

“Allora andrà tutto bene.”

“Dragone...”

“Non parlarmi di lui mentre sono rinchiuso in questa pietra, lui non sa nulla.”

“Sono potenti avversari e sanno chi siamo.”

“A maggior ragione dobbiamo muoverci. Ogni esercito ha il suo punto debole, trovalo e cadranno a pezzi.”

“Lo so, libereremo Amidaraxar.”

“Eccellente, lui è l'unico che possa liberarmi.”

“Lo so, signore.”

“Allora muoviti.”

L'immagine scomparve. Il nehantista pensando al suo piano scoppiò a ridere, sarebbe stato un successo come tutti gli altri. Entrò nella sala da pranzo dove altri membri della gilda lo attendevano. Maschera di Ferro giochicchiava con un bicchiere di cristallo, Anagramma stava torturando uno schiavo, Ardrakar parlava alla sua spada ed il Decaduto stava mangiando.

“Maschera di Ferro, Anagramma e Decaduto, si va a nord, al ghiacciaio Ametista.”

Maschera di Ferro sapeva il piano, posò il bicchiere e si alzò con determinazione.

“Conoscete tutti la storia di Amidaraxar?” chiese Dimizar.

Il Decaduto scosse la testa, seguito da Anagramma.

“Per farla breve, Amidaraxar è un luogotenente di Nehant e l'unico che possa liberare il nostro Signore dalla sua prigione. Tuttavia lui stesso è imprigionato nel Ghiacciaio Ametista. Secondo le mie fonti gli Elfi del Ghiaccio stanno spostando i loro villaggi per colpa dello scioglimento del ghiacciaio. La maggior parte dei nostri avversari non è a conoscenza dell'esistenza di questa prigione, pensano che Amidaraxar sia morto. Ora andate e liberate il nostro uomo.”

“Stiamo andando”, rispose Maschera di Ferro, stranamente euforico.

Capitolo 3 - Scontri, fuga, convinzioni

La luce era fioca in quella parte di mondo ed il ghiacciaio Ametista aveva una singolare atmosfera. La luce del sole batteva sul ghiaccio bianco e la rifrazione della luce lo trasformava in viola. Moira e le sue truppe erano in una vecchia capanna di pietra, probabilmente risalente ad un'epoca passata. Fece il punto della situazione con Yilith, con le Stregaspada e con le guardie di Noz'Dingard. C'era un problema da affrontare: il ghiacciaio si stava sciogliendo e le antiche vie di passaggio erano inutilizzabili.

“Dovremo trovare un modo per avanzare”, disse seccata Moira.

“Alcune tribù della mia gente si sono stabilite lungo il fiume, per paura del disgelo.”

Dama Yilith ebbe poi una strana sensazione. Ora che era vicino agli spiriti del ghiacciaio, le sue capacità di percezione erano tornate ad alti livelli.

“C'è qualcuno fuori, vogliono ucciderci”, urlò all'improvviso.

Il gruppo uscì di sorpresa dal rifugio e davanti a loro incombeva il primo scontro della giornata.

“Demoni”, urlò Moira sguainando la spada.

Di fronte a loro il potente Mangia-anima stava già stritolando la testa di un draconiano. Con lui c'erano due demoni molto diversi tra loro: il primo era un ammasso di muscoli, lento ma devastante, mentre il secondo era velocissimo e colpiva con calci. Le Stregaspada utilizzarono le loro abilità per fronteggiare il demone colossale e Moira decise di affrontare Mangia-anima. Le Stregaspada si muovevano con innaturale velocità, cercando di evitare i potenti colpi del gigantesco nemico e Dama Yilith si concentrò per chiedere alla madre dei ghiacci di conferirle la capacità di curare le ferite.

Dimizar era poco distante e guardava la scena con gioia. Il suo piano era semplice e per una volta Mangia-anima lo stava eseguendo perfettamente, il risultato sarebbe stato lo stesso della lotta contro Profeta.

Le Stregaspada si stavano ritrovando in situazione svantaggiosa. Dimizar vide il collegamento tra la giovane capitana delle Stregaspada e Dragone, afferrò questo filo e lo recise. Moira gridò di dolore e Mangia-anima ne approfittò per colpirla a tradimento.

“Ah mia cara, diventerai un bel ricettacolo. Oh demone dei Meandri, ascolta la mia chiamata e prendi questo corpo facendolo strumento del mio odio”, urlò usando i suoi oscuri poteri.

Moira fece un passo indietro, si sentiva malissimo. La sua pelle cambiò colore ed il suo aspettò mutò. Avrebbe voluto urlare ma non uscì nulla dalla sua bocca. Il suo corpo non era più in suo possesso, era oramai controllato da un'altra personalità. I lineamenti divennero quelli di un demone, apparvero corna e artigli, sul ventre apparve il simbolo di Nehant. La creatura si scrocchiò il collo e guardò Dimizar.

“Mi hai chiamato, mio signore? Io sono Morte-lame.”

“Morte-lame è ora di iniziare a giocare, mostra loro il vero potere di un demone.”

La mischia era confusa, il grande demone era stato sconfitto e i soldati draconiani erano in fase di riassetto. Dopo un cenno di Dimizar, Mangia-anima uscì dalla mischia.

“Lascia fare a Morte-lame.”

Senza attendere oltre, Morte-lame entrò in combattimento. Grazie all'agilità ed ai poteri delle Stregaspada che albergavano in lei era capace di prodezze incredibili. Le guardie draconiane vennero uccise prima che potessero avere il tempo di organizzarsi. Una Stregaspaga cadde a terra con la gola recisa dal piccolo demone che ancora combatteva ma quest'ultimo venne a sua volta ucciso da un'altra Stregaspada. Yilith aveva compreso cosa fosse accaduto a Moira e ricominciò a pregare. Solo Morte-lame era ancora in campo contro Yilith e le restanti Stregaspada. Il demone gettò a terra la spada perché la magia del drago aveva ormai abbandonato il corpo, cercò di prendere tempo ma in quel mentre una parte della coscienza di Moira si risvegliò. Guardò Yilith e riuscì nell'impresa si far riaffiorare la sua voce.

“Qualunque cosa tu voglia fare, questo è il momento.”

La mente di Yilith non era presente ma viaggiava oltre le semplici cose terrene, stava invocando colui che adorava.

“Oh Agmundar, il destino di colei che ti chiama è di sconfiggere questa immonda creatura, donami la forza.”

Agmundar era il dio della guerra degli Elfi del Ghiaccio. Il dio diede un grammo della sua forza alla profetessa e grazie a ciò quest'ultima potette resistere all'assalto furioso di Morte-lame. Il demone attaccava con furia. Moira percepì nuovamente Dragone.

“Riprendi il contatto”, disse una voce sconosciuta.

Non contraddisse la voce e lottò disperatamente contro la volontà del demone. Colpì una volta e poi una seconda. Il demone venne scagliato via dal suo corpo e Moira, tornò ad essere Moira. Almeno fisicamente perché era come se fosse in coma. Tornò la calma. Ma a quale prezzo?

Il villaggio del elfi del ghiaccio era ormai deserto. Nibelle continuava a pregare che gli dei vegliassero sulla sua gente ma nulla accadde. Stava veramente arrivando la fine dei loro giorni come il primo Profeta degli Elfi del Ghiaccio aveva previsto? Alcune persone si stavano avvicinando a lei. Persone ricolme di odio e rabbia. Stavano venendo per liberarlo. Nibelle non avrebbe mollato il passo, sarebbe morta combattendo. Quando Maschera di Ferro, Anagramma ed Il Decaduto arrivarono, Nibelle li attendeva con in mano il vecchio bastone con cui aveva sconfitto Amidaraxar.

“Non farete piangere una nuova generazione di bambini”, disse sottovoce.

“E chi pensa di fermarci? Tu?”, rispose sarcastica Anagramma.

Questi avversari sembravano essere forti e lei, lei era invecchiata. Anagramma avanzò con celerità, Nibelle colpì il terreno con il bastone e trasformò l'avversario in una statua di ghiaccio. Maschera di Ferro applaudì.

“Brava, un bello spettacolino. Ora però stai per morire”, disse togliendosi la maschera. “Io sono Azaram, figlio di Amidaraxar. Da molto tempo attendo questo momento.”

Maschera di Ferro aveva l'aspetto di un giovane uomo dai biondi e lunghi capelli, i suoi occhi però non erano umani, erano gialli. Nibelle ne rimase colpita, era simile ad Amidaraxar e per questo non dubitava della veridicità delle sue parole. Maschera di Ferro aprì un libro e cominciò a leggere nella lingua dei demoni.

“Cosa... dove l'hai preso?” urlò Nibelle riconoscendo la Raccolta Proibita.

Batté forte il suo bastone per congelare il nemico ma questa volta non accadde nulla. Azaram chiuse il libro facendo sprigionare un antica e potente magia. Il Decaduto cominciò ad ingigantirsi sempre più ma non era più simile ad un solarian bensì a Morte-lame. All'improvviso un gran calore venne sprigionato dalla creatura.

“Sono Fornace. Chi osa invocare il re dei demoni della fiamma?” urlò con una voce imperiosa.

“Io, Azaram, figlio di Amidaraxar. Hai un debito da saldare con mio padre! Uccidi l'elfo!”

Nibelle era pronta alla battaglia, pregò i suoi dei ma essi non risposero... La vecchia elfa del ghiaccio non avrebbe potuto resistere a lungo contro due avversari ed infatti Fornace la uccise rapidamente schiacciandola al suolo.

“Debito pagato”, disse il demone prima di scomparire lasciando dietro di se il Decaduto privo di sensi.

Azaram si avvicinò alla porta che ancora rinchiudeva suo padre. Le pietre incastonate cominciarono a crepitare, solo una pietra ancora era integra. Azaram la ruppe e così facendo la porta andò in frantumi. Dentro la prigione c'era un uomo mascherato.

“Padre”, disse Maschera di Ferro inchinandosi con rispetto.

“Alzati figlio mio, è tempo di liberare il Maestro.”

A Noz'Dingard Kounok, il Profeta, il Signor Galmara e Marlok stavano discutendo seriamente.

“Grazie per essere venuti, cose orribili stanno accadendo”, disse Kounok.

“Che succede?” disse Marlom aggrottando la fronte.

“Il gruppo inviato con l'elfa del ghiaccio Yilith è stato annientato. L'unica superstite è Moira. Ora Yilith si sta prendendo cura di lei, pare che abbia subito un grave trauma.”

“Sappiamo chi è stato?” chiese Galmara.

“I Nehantisti. Ho appena parlato con Dragone ed abbiamo convenuto che è tempo di agire. Marlok il piano degli Zil a che punto è?”

“Sono pronti, i Nehantisti saranno solo un ricordo”, rispose il mago.

“Ottimo. Galmara che mi dici tu?”

“Ho interceduto con il clan del Corvo per fare da intermediario con i Kotoba. Lanceranno a breve la loro offensiva contro i Nomadi. Non è stato difficile convincerli”, disse il cortigiano.

“Vado a preparare la Draconia per un nuovo conflitto. Speriamo di non fare gli stessi errori del passato. Ora siamo in guerra.”


Che lo spettacolo cominci


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Capitolo 1 - Cospirazione e follia

La carovana di roulotte si muoveva snodandosi lungo la strada che conduceva al castello di Kaes, roccaforte del Consiglio delle Gilde. Questa strada si dipanava lungo il confine con la Draconia e finiva nel più remoto dei sette regni: Avalonia. Da diversi giorni gli Zil erano in marcia e lungo la strada si incontrarono con una persona che li stava attendendo. Marlok era vestito in “borghese” per non essere riconosciuto da occhi indiscreti e quando vide Abyssien venirgli incontro, gli strinse con calore la mano.

“Felice di vederti Abyssien, ho notizie da darti. Sarò breve perché non devo essere visto a parlarti.”

“Dimmi pure.”

“Il Consiglio ha mandato inviti a molti diplomatici, sono molto contenti di riavere i Guerrieri di Zil. Verace farà in modo che la sorveglianza sia al minimo, anche se ci saranno tutti gli ambasciatori. Il resto sta a te organizzarlo. C'è una cosa ancora più importante però...”, disse porgendogli una pergamena.

Abyssien recuperò la pergamena, esaminò i nomi e poi la mise via.

“Chi sostituirà queste persone?” chiese lo Zil.

“Gente di cui possiamo fidarci. Pensavamo a te”, rispose il Noz.

“O te”, aggiunse Abyssien.

“Queste sono solo speculazioni. Ci saranno cristalli di simulazione, sono eccellenti diversivi anche se il loro effetto è breve. Ora devo tornare a riferire al Profeta che tutto procede come previsto.”

“Sì andrà proprio così”, rispose dicendo ai suoi uomini di riprendere a muoversi.

“Buona fortuna Guerrieri di Zil”, urlò Marlok.

Alcuni giorni dopo quell'incontro, la gilda era finalmente arrivata. Un gruppo incominciò a montare il tendone. Una voce tra la popolazione cominciò a crescere: ci sarebbe stato uno spettacolo. La testa di Saphyra traballava da un lato all'altro, camminava strascicando i piedi in direzione di un manifesto che annunciava lo spettacolo degli Zil. Una mano della ragazza si alzò di scatto e strappò il poster dal muro, prima di dirigersi verso casa.

“Tskkk, cosa credono di faaare”, urlò il burattino. “Veeeero mio giocattolo?”

Aryphas aveva i piedi sulle spalle della giovane donna e la costringeva a muoversi secondo la sua volontà.

“Vedrai... gli faaaaremo vedere come si faaaa un'attrazione. Aaaaandiamo.”

Ordinò poi a Saphyra di riprendere a camminare e questa senza alcuna volontà seguì quanto imposto. Il tendone era quasi finito ma c'era ancora molto lavoro da fare. Saphyra guardava le persone operose come formiche e dopo un ordine del suo malizioso padrone, entrò nella tenda di soppiatto. C'erano solo SpadaInsanguinata e Senvavolto, abbastanza per poter inscenare uno spettacolino. La marionetta Saphyra cominciò a danzare, non come la solita marionetta ma con eleganza. Gli Zil rimasero stupiti da quella danza e perfino Abyssien si fermò a guardarla, convinto che la marionetta che portava sulle spalle fosse solo parte del numero.

“Fantastico! Questa è pura arte da Zil.”

Abyssien avanzò fin quando la ragazza vacillò.

“Io...io.”

“Che succede? Stai bene?”, chiese Abyssien. “Vedo... sofferenza... tanta sofferenza. Questo non è un trucco, la ragazza sta male. Aiutatemi.”

Senzavolto che era poco distante accorse in aiuto e notò immediatamente che c'era qualcosa di macabro all'opera: la ragazza aveva gli occhi chiusi, la bocca spalancata e lunghi fili neri avvolti agli arti. Sopraggiunse anche Lo Psichiatra ed in quel mentre la ragazza si accasciò tra le braccia di Abyssien. Aryphas aveva sperato in un riconoscimento per il balletto da lei inventato e dopo qualche attimo disse:

“Graaaaazie, graaaazie, speeeero vi siiiia piaaaaciuto.”

Ora qualcosa era certo, la ragazza non era un ventriloqua. L'atteggiamento degli Zil non era sicuramente quello che Aryphas si aspettava perché sdegnata ordinò alla sua marionetta di assumere una posizione offensiva. La ragazza sguainò due pugnali. Lo Psichiatra scosse la testa, non poteva lasciare che un tale abominio continuasse la sua opera malvagia. Con un colpo di energia psichica abbatté il controllo mentale sulla ragazza. Aryphas cadde a terra, pronta alla vendetta ma Senzavolto la anticipò tagliandola a metà con la sua possente ascia. Il Legame tra Saphyra e Aryphas si infranse, Spadainsanguinata applaudì.

“Bravo Senzavolto, sei il migliore”, urlò.

Saphyra era ancora sconvolta, incapace di riprendere conoscenza.

“Chiama Kriss e falla curare immediatamente. Sbarazzatevi della bambola, che non torni mai più a perseguitarla.”

Fine dell'intervallo


Capitolo 2 - Musica maestro

Nonostante il piccolo imprevisto gli Zil avevano montato il tendone a tempo di record. Si stava facendo buio e tutto era pronto. Nel tendone erano state montate piste ed altri scenari da spettacolo. Fuori, il tendone era del viola più bello ed acceso. Oltre a tutto questo, gli Zil avevano sistemato un gran serraglio in cui si potevano vedere molti esemplari di splendide creature, la maggior parte di queste era stata catturata da Ergue. Perfino l'imponente castello di Kaes era illuminato di viola.

Davanti all'ingresso era radunata una gran folla; i bigliettai: Senzavolto, Soriek ed Ombra, li facevano entrare uno alla volta. Kriss che era poco distante suonava il suo organo portatile per allietare nell'attesa.

C'era però un altro ingresso, uno riservato ai personaggi illustri. Abyssien era lì a stringere mani ed a porgere complimenti. La maggior parte dei Consiglieri era accompagnata dal coniuge o dall'amante. Tra i personaggi illustri c'erano perfino nobili del regno vicino di Baranthe e Valdoria ma Abyssien, nonostante facesse loro grandi inchini, non era interessato alla loro presenza, era focalizzato sullo scopo della missione. La gente era convinta che stavano per fare uno spettacolo per celebrare il loro ritorno tra le gilde, ma Abyssien aveva un altro scopo: era convinto che tra i presenti ci fossero persone manipolate dal Nehantista.

Soriek annunciò suonando una tromba che lo spettacolo stava per cominciare. La tenda era gremita e nel backstage Abyssien stava dando le ultime indicazioni ai suoi.

“Tutti voi sapete cosa fare. Offriremo il più grande spettacolo di sempre, ci renderemo degni di portare l'eredità di Artrezil”, disse, soffermandosi su Salem, “conto su tutti voi.”

Lo Psichiatra stava sbirciando il pubblico ed annunciò.

“Confermo che c'è un demone. Avevi ragione Abyssien, è la giovane donna con la Consigliera Edrianne.”

“Ottimo. Atteniamoci al piano.”

La pista divenne buia. Kriss cominciò a suonare una musica avvincente ma cupa. Nessuno fiatava, nell'aria c'era solo la melodia. Poi la musica si fermò ed un burattino di ombre creato da Abyssien apparve dal nulla. Poi questo si trasformò in cangianti cristalli viola che illuminarono la scena rivelando la presenza del vero Abyssien.

“Amici. Grandi e piccini, potenti e gente comune. Benvenuti al Circo Zil!”

Tutti applaudirono con forza.

“Voi che per venire qui avete sfidato la paura, tornerete a casa soddisfatti ed appagati.”

Ad ogni parola, Abyssien cambiava forma, la folla che conosceva la magia ne rimase colpita.

“Vi presento il magnifico duo acrobatico.”

La luce si spense e quando riapparve, gli spettatori poterono vedere SpadaInsanguinata su un trampolino in alto, nel vuoto. Dopo pochi attimi si lanciò nel vuoto. Tutti trattennero il respiro e quando Soriek la afferrò in extremis dal suo trapezio, applaudirono presi. Poi eseguì altre spettacolari e pericolose acrobazie ed alla fine del numero gli applausi scrosciarono.

Dopo pochi attimi apparve nuovamente il mini pupazzo di Abyssien. Con fare misterioso e fra nuvole di fumo, questo parlò.

“Colui che sta per entrare potrebbe indurvi a comportarvi come bestie e scoprire i vostri ricordi più reconditi. Anche se sente le voci non è pazzo, anzi vi dirà che la pazzia è solo un illusione creata da chi è sano di mente. Ecco a voi Lo Psichiatra.”

Apparve un uomo, nessuno fiatò.

“Buonasera. Vi farò vivere un'esperienza unica, per questo vorrei che uno di voi venisse qui. Non abbiate paura, non c'è alcun rischio.”

Dopo qualche attimo di esitazione, un bambino alzò la mano.

“Un applauso per questo ragazzo coraggioso”, declamò.

Il ragazzo si avvicinò tra gli applausi della folla. Lo Psichiatra lo guardò negli occhi e questo si fermò a metà strada.

“Danza”, urlò.

Il ragazzo cominciò a ruotare su se stesso, tra le risate. Lo Psichiatra smise di esercitare la sua volontà ed il ragazzo si fermò.

“Ragazzo, ti chiami Gontrant e vieni da Valdoria. Hai otto anni e sogni di diventare un avventuriero.”

Il bimbo rimase colpito: “Sì, sì, ha ragione.”

“Certo, non poteva essere altrimenti ma è facile con un bambino. Mi serve un adulto ora.”

Lo Psichiatra si incamminò verso la folla e si fermò davanti ad importanti personalità.

“Consigliere Argalinard, venga come me”, disse indicando un uomo che però rifiutò.

“Andiamo, non siate timidi.”

Nel frattempo Abyssien e Kriss guardavano la scena con interesse.

“Su su”, disse lo Psichiatra.

Il Consigliere alla fine accettò a malincuore. Poco distante Odio ed Edrianne guardavano la scena con rabbia. In quel mentre un paggetto portò un messaggio ad Edrianne.

“Il Consigliere Dean la cerca.”

“Adesso?” rispose Edrianne.

“Ahime, sì.”

Lo spettacolo nel frattempo stava andando avanti, lo Psichiatra stava impressionando tutti con inganni particolarmente pericolosi e sorprendenti. La tattica era quella di guadagnare quanto più tempo possibile per poter completare ciò che gli era stato chiesto. Mentre recitava era collegato telepaticamente col Consigliere Argalinard e percepiva una forte influenza nehantica che lo soggiogava, ma nonostante ciò riuscì a manovrarlo facendogli fare quello che voleva.

“Quando arriverà il pagliaccio, lei avrà un bisogno incontrollabile. I bagni sono da quella parte.”

Il numero finì tra gli applausi. Argalinard si sedette.

Odio ritornò alla fine del numero, visibilmente irritata perché alla fine il Consigliere Dean aveva cambiato idea, disturbandola per niente.

La luce si spense nuovamente ed una risata di pagliaccio echeggiò nel tendone. Assordante, spaventosa e beffarda. Quando la luce tornò, in mezzo alla pista c'era un clown triste, tutti cominciarono a ridere incontrollatamente...

Capitolo 3 - Lo Spettacolo continua...

Mentre Terrifik entrava in scena, il Consigliere Argalinard eseguì l'ordine mentale impostogli dallo Psichiatra e si diresse verso le quinte. Soriek, che faceva da guardia, lo lasciò passare stando attento che nessuno lo seguisse; nessuno venne con lui dal momento che i sottoposti del Consigliere avevano gli occhi fissi sullo spettacolo e non si erano accorti della sua scomparsa. Una volta dietro le quinte, il Consigliere fu nuovamente libero di pensare con la sua testa. Rimase sorpreso di trovarsi in quel luogo, ma non ebbe il tempo di pensar altro perché in quel mentre sopraggiunse Kriss ad immobilizzarlo. Lo Psichiatra sopraggiunse immediatamente e poggiò una mano sulla fronte di Argalinard.

“Ora sei in mio potere, io reprimerò ogni tua volontà di resistere, ora non puoi muoverti.”

Infatti la vittima era incapace di muoversi o perfino di proferire parola. Arrivò anche Abyssien.

“Bene bene, vediamo cosa ha indosso”, disse il mago cominciando a perquisire il consigliere.

Trovò una borsa colma di cristalli e, cosa ben più interessante, una pietra cuore rossa, beh che era stata rossa dal momento che era quasi totalmente annerita. Il mago aprì la bocca dalla quale uscì una mano d'ombra che si avviluppò attorno alla pietra, poi divorò sia la mano d'ombra che la pietra.

“Psichiatra, è il tuo turno di giocare.”

“Bene. Tu hai sempre avuto un avversione per la magia nehantica, non comprendi come possa essere nuovamente riutilizzata. Tutta la magia nehantica che conosci verrà dimenticata, sepolta nel tuo subconscio. Non ricorderai di averla mai imparata. Ora torna al tuo posto, ricorda di dire che sei passato dal bagno e dimentica tutto quello che è successo qui.”

Kriss mollò la presa ed il Consigliere se ne andò.

“Funzionerà?” chiese Kriss.

“Sì, spero abbastanza a lungo perché si riesca a completare la missione”, rispose Lo Psichiatra.

“Allora non ci resta che sperare in Ombra e gli altri”, intervenne Abyssien.

Al Castello di Kaes c'erano ombre che non facevano parte di un gioco di luce. Si muovevano furtive rivelando all'occhio più attento la presenza di persone. Ombra, SpadaInsanguinata e Salem erano usciti dal tendone non appena Lo Psichiatra era entrato in scena, con l'intenzione di fare un colpo memorabile. Vista la serata di festeggiamenti, la sorveglianza era al minimo ed i corridoi erano percorsi da ben pochi servitori. Stavano eseguendo il piano pianificato dal Consigliere Verace, l'unico che sicuramente non era controllato dal nehantista. Dopo un breve giro di ispezione si diressero negli alloggiamenti dei Consiglieri. Il vantaggio era che tutti i consiglieri avessero dimora nello stesso posto ma la sorveglianza era un problema perché era sempre presente. Salem prese alcuni cristalli donati da Marlok ed in pochi attimi lo spaventapasseri si trasformò in un Consigliere e le sue partner in avvenenti ragazze. Le guardie non dissero nulla quando passarono loro davanti.

“Adesso dobbiamo trovare la dimora di Edrianne”, indicò Ombra, “dovrebbe essere in fondo al corridoio a destra.”

“Pensi che troveremo veramente quello che stiamo cercando?” chiese SpadaInsanguinata.

“sIcUrO! Non c'E' pOsTo mIgLiOrE pEr nAsCoNdErE qUaLcOsA”, rispose Salem, sempre con l'aspetto del Consigliere.

Dopo poco trovarono la porta della camera della Consigliera, una porta molto robusta con una serratura incredibilmente elaborata. Ombra la esaminò con attenzione e poco dopo si mise a trafficare con i suoi strumenti. La serratura non potette resistere alla straordinaria abilità dell'ex apprendista Braccamago. L'interno della stanza era lussuoso ma allo stesso tempo sobrio, bei mobili, tende intonate con il resto della stanza e candelieri magici che illuminarono i tre Zil.

“Bene, pare ci si annoi nel Consiglio”, disse con ammirazione SpadaInsanguinata. “Comunque non mi piacerebbe vivere qui. Troppo sfarzoso e troppo poco colorato di viola.”

“gUaRdAtE Là”, disse Salem indicando una porta in fondo alla stanza.

La porta dava su un altro corridoio nel quale si affacciavano innumerevoli altre porte custodite dai servi. L'unica porta non custodita doveva essere quella di Edrianne perché sapevano che aveva una sola persona al suo servizio: una donna demone molto potente. La porta non era chiusa a chiave, segno che si fidava della sicurezza del Castello. La stanza era normalissima, con alcuni abiti sulle grucce e diversi libri sparsi qua e la. Vicino al letto c'era uno specchio gotico piuttosto modesto. Immediatamente Salem mise in guardia le sue due compagnie.

“fRuGaTe dApPeRtUtTo, mA aTtEnZiOnE aLlO sPeCcHiO.”

Grazie alla loro esperienza nel frugare, le ragazze trovarono subito una parte di ciò che stavano cercando: contratti. Ce ne erano molti ma non quelli che cercavano in particolare. Odio, percepì che qualcuno stava toccando ciò che era suo ed immediatamente si attivò un sistema difensivo. Il demone scomparve dal suo posto e riapparve sulla soglia della sua stanza.

“Piccoli ladruncoli venite fuori”, urlò.

Non ebbe però il tempo di urlare oltre perché Ombra si era gettata su di lei, seguita da SpadaInsanguinata. Odio incassò il colpo di Ombra e ruzzolò in corridoio. Doveva metterli fuori gioco in fretta e sopratutto doveva farlo in silenzio. Il demone però non era solo di bel aspetto ma era anche un ottimo combattente in mischia; tramite i suoi poteri scomparve nel pavimento, come inghiottita da esso, e riapparve un attimo dopo dietro la donna dalla strano costume colpendola con un colpo a tradimento. Ombra venne schiantata dall'altra parte della stanza ma era riuscita nonostante tutto ad attutire il colpo. SpadaInsanguinata approfittò della situazione per colpire il demone alle spalle e la perforò da parte a parte.

“nOn uCciDeTeLa”, urlò Salem.

Il demone però era ancora vivo. Stava cercando di mettersi in contatto con Dimizar o con un altro nehantista ma non ci riuscì perché Salem fece scaturire un pesante manto d'ombra che le si avviluppò addosso, immobilizzandola. Ombra, ripresa dal colpo precedente, approfittò della situazione e colpì Odio. Il demone era stato sconfitto.

“Brutta bestia coriacea.”

Salem dopo aver controllato che nessuno avesse sentito il combattimento, afferrò il corpo accasciato di Odio e la trascinò nella stanza.

“bEnE, rIcOnOsCo lO sPeCcHio... fAcCiaMoLa pArLaRe.”

Ombra, esperta di queste situazioni, svegliò Odio.

“Dove sono gli altri contratti?” chiese mettendole un coltello alla gola.

Il demone rimase in silenzio.

“Questo tipo di minaccia non funziona con te, eh? Allora stipula un contratto tra me e te. Tu mi dici dove sono i contratti ed io non ti consegno ai Noz o Dragone stesso.”

Odio comprese di trovarsi nella peggior situazione possibile. Se fosse stata consegnata ai Noz, quelli le avrebbero estorto tutte le sue informazioni in suo possesso.

“Oh, i Noz sono qui vicino. Faremmo in fretta”, aggiunse Ombra.

“Io...in realtà non ho scelta. Ho dato i contratti al mio Maestro, non ve li darà mai.Comunque se io muoio, le persone sotto contratto moriranno con me.”

“Ahahah grazie per le informazioni”, rise Ombra.

“Come ti ho promesso non ti affiderò ai Noz. Ti affiderò al mio collega, che non ti ha promesso nulla”, aggiunse colpendo il demone.

Salem si accovacciò vicino al demone, afferrò la sua ombra e tirò fin quando questa non si staccò dal corpo del demone. Poi con un movimento repentino Salem scivolò dentro l'ombra ed assunse l'aspetto di Odio. Il risultato era sorprendente, era solo un po' più scuro ma per il resto era identico. Ombra e SpadaInsanguinata rimasero stupite.

“Devo imparare a farlo”, disse SpadaInsanguinata con ammirazione.

“Non è possibile mia cara, questa è una tecnica segreta di Zil”, disse Salem con la voce di Odio. ”Ora nascondete il demone e preparatevi per l'imboscata. D'ora in poi dovremo fare silenzio.”

Le due ragazze si nascosero e videro Salem avvicinarsi allo specchio e toccarlo. Dall'altra parte dello specchio apparve un uomo con capelli e corvini e una leggera barba.

“Che c'è? Non dovevamo metterci in contatto oggi”, disse sospettoso Dimizar.

“Sì, lo so. Mi dispiace disturbarla ma ho una buona notizia.”

“Cosa?”

“Sono riuscita ad avere più potere dal Consiglio.”

“Sì?”

“Sì, immagini un futuro in cui il Consiglio sciolga la gilda dei Noz'Dingard, mi servono però i contratti dei Consiglieri, sono talmente avidi...”

“Interessante”, disse Dimizar riflettendo su una tale prospettiva.

“Dovrebbe aver abboccato”, pensò Salem.

“Non ti posso negare aiuto con una prospettiva così allettante. Ti mando Mangia-Anima, una volta che sarà arrivato digli di tornare qui immediatamente.”

L'immagine nello specchio svanì. Ora lo specchio rifletteva solo Salem. Pochi istanti dopo sarebbe apparso il famoso Mangia-anima. Sul pavimento accanto al letto apparve uno strano simbolo, il marchio di Nehant. Pochi frangenti dopo il simbolo scomparve lasciando spazio ad un buco. Dal portale demoniaco uscì Mangia-anima, teneva in mano un sacchetto di cuoio. Rimase sorpreso di non trovarsi davanti Odio ma un vecchio e stanco Spaventapasseri. Ombra e SpadaInsanguinata gli saltarono addosso non dandogli il tempo di reagire. Il “povero” demone non si era aspettato di essere attaccato ed essendo tanto coraggioso quanto intelligente tentò di creare un nuovo portale demoniaco per fuggire. Ombra tentò di recidere il sacchetto di cuoio prima che il demone tentasse di scomparire nel nulla...

La Tomba degli Antenati- Prima Parte


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Il Signor Galmara aveva fatto un lungo viaggio prima di arrivare a Meragi. Amava la splendida architettura xziarite e che l'ordine e la serenità regnavano in quei luoghi. Apprezzava lo stile semplice ed ordinato con cui era costruite le abitazioni e nella stessa misura apprezzava le persone che ci abitavano. Per questo motivo era diventato uno specialista nelle relazioni diplomatiche tra i vari paesi. Amava viaggiare, vedere posti nuovi, conoscere persone nuove e, naturalmente, amava l'arte politica e la diplomazia. Era giunto nell'Impero per una missione diplomatica. La prima cosa che avrebbe dovuto fare, come atto ufficiale, sarebbe stato quello di portare, come rappresentante della Draconia, un messaggio alla massima autorità del luogo, L'Imperatore. Normalmente avrebbe dovuto attendere diversi giorni prima di poter essere ricevuto ma lui aveva ottime conoscenze. Stava passeggiando insieme ad alcuni consiglieri dell'Impero, i quali gli dovevano dei favori. Questi gli dissero che L'Imperatore aveva acconsentito a riceverlo quando il sole si sarebbe nascosto dietro le colline, al tramonto. L'incontro avvenne in un piccolo ufficio, con pochi cerimoniali. L'inviato dal Drago cercò di seguire il classico protocollo di presentazione ma l'Imperatore tagliò corto.

“Vieni, inviato del Dragone, so bene che rispetti le nostre tradizioni ma siamo in qui in forma informale. Ho poco tempo, ti chiedo di fare in fretta.”

Galmara teneva un rotolo di pergamena con ambedue le mani.

“Porto con me solamente i più sinceri saluti di Dragone e Profeta. Mi hanno incaricato di consegnarti questo messaggio.”

L'ambasciatore si inchinò come la prassi prevedeva. L'Imperatore un po' titubante, alla fine decise di accettare la pergamena e la lesse. Quando ebbe finito, aveva sul volto un'espressione tesa.

“Ringrazia Profeta per avermi portato questa notizia. I nostri informatori di stanza ad Okia ci avevano informati di fatti analoghi ma non credevamo che ciò avrebbe avuto un impatto sulla Tomba degli Antenati. L'impero di Xzia farà ciò che deve essere fatto. La prima cosa che farò, sarà quello di stabilire una zona neutra tra Xzia e Draconia. Sono piacevolmente colpito dal fatto che Dragone ci abbia ridato quel lembo di terra che fu nostro molto tempo fa. Poi inviterò una delegazione draconiana ad un tavolo di discussione perché sono consapevole che se non affrontiamo assieme ciò che ci attende, scompariremmo entrambi.”

L'Imperatore mentre parlava stava scrivendo con un sottile pennello.

“Come ha chiesto Profeta, ti lascerò conferire con il clan del Corvo”, disse finendo di vergare la lettera. “Mi rendo conto che i tempi sono abbastanza maturi per non aver più paura l'uno dell'altro, questa è l'alba di una nuova era. Ti offro la protezione Imperiale.”

Galmara si inchinò rispettosamente.

“Ora sarai condotto dal Signore Imperiale Gakyusha.”

“La ringrazio per la sua generosità, oh luce celeste.”

L'ambasciatore lasciò la stanza felice per l'esito della discussione e della disponibilità dell'imperatore. Ora però doveva convincere il Corvo.

Prima di poter far ciò, l'illustre ospite venne condotto da Asajiro alla presenza di Gakyusha, appena ripresosi dalla ferite subite durante una delle battaglie per la Pietra Caduta Dal Cielo. La dimora del signore Imperiale era ancora animata, pur essendo tardi. Da quando Gakyusha era tornato a casa, c'erano stato un continuo andirivieni di membri dei Kotoba. Il Signor Galmara aveva già visitato tempo addietro quel palazzo, quindi essendo già conosciuto venne accolto con molto calore. Il Signore Imperiale vestiva un semplice kimono ed era intento a parlare con il figlio, Il campione Imperiale, in giardino. La discussione tra i due venne interrotta quando Asajiro entrò in giardino portando con se l'ambasciatore Noz, quest'ultimo si inchinò con rispetto di fronte a personaggi così illustri.

“Benvenuto nella mia casa, Galmara, sono lieto di vederti”, disse Gakuysha inchinandosi a sua volta. “A cosa dobbiamo il piacere di questa visita?”

“Purtroppo è la guerra a portarmi qui. Una nuova offensiva deve essere scagliata contro i Nomadi.”

“E se sei qui è perché dobbiamo partecipare anche noi alla guerra?” aggiunse Iro.

“La situazione è spinosa, la guerra è per una questione d'onore. Sono i vostri antenati ad invocarvi.”

“Parliamo dentro casa. Stasera mangerai alla mia mensa e ti prego di accettare la mia ospitalità”, disse Gakyusha invitando tutti a seguirlo dentro casa.

Galmara quindi spiegò la situazione e chiese se sarebbe stato possibile in assenza di Gakuysha di avere Iro e altri membri Kotoba come accompagnatori durante il colloquio con il Corvo. Il Campione Imperiale acconsentì ad accompagnare Galmara. Al mattino il Corvo incontrò, nel palazzo imperiale, il cortigiano ed il campione imperiale. Un vecchio uomo ricevette i suoi ospiti in una grande sala in cui erano già presenti altri membri del clan. C'erano Karasu e Ooge della famiglia Kage ed una strana vecchia che sedeva di fianco al Corvo. Anche Malyss, recentemente tornato da una missione, faceva parte del gruppo. Come voleva la tradizione, Iro era presente come rappresentante dell'autorità. Galmara seguì ancora una volta il protocollo per rendere omaggio al Corvo.

“Grazie per averci concesso il suo tempo, signor Daijin”, cominciò l'ambasciatore.

“Io sono al servizio dell'impero e quando l'impero chiama, io rispondo. Cosa può fare il Corvo per te, ambasciatore?”

“La guerra è alle porte. Piano piano la pietra caduta dal cielo sta inglobando la Tomba degli Antenati. Se ciò continua essa sparirà. Sa cosa significa?”

La vecchia sussurrò qualcosa all'orecchio del corvo, questo ascoltò e poi rispose.

“In quel caso i nostri antenati sarebbero liberi dalla loro maledizione.”

“Sì e no. Spariranno del tutto. Non avranno più possibilità di reincarnarsi.”

Il Corvo spalancò gli occhi comprendendo appieno quello scenario.

“Come consigliere sul mistico e sulla natura dell'Imperatore... dobbiamo... sì dobbiamo difendere quel luogo.”

“Come possiamo essere sicuri di ciò che dici?” disse sprezzante Ooge. “Magari è una manovra per indebolire il nostro clan.”

Dal nulla, invisibile fino a pochi attimi prima, apparve Gan'so, il quale si prostrò chiedendo di poter proferire parola. Il permesso gli venne concesso all'istante.

“Signore, prima di prendere una qualsiasi decisione permettimi di visitare il luogo”, disse molto lentamente.

“Il nostro dovere è capire se quella terribile possibilità possa accedere o meno. Yu Ling verrà con uno di voi. Nel frattempo prepareremo il nostro Clan alla guerra, se ciò sarà necessario”, disse il Corvo con tono irritato. “Preparatevi dunque.”

Yu Ling, Gan'so, Malyss ed Iro vennero invitati ad essere presenti alla ricognizione alla Tomba degli antenati. Galmara, avendo completato la sua missione, tornò a Noz'Dingard a riferire.

Due giorni fa il gruppo aveva lasciato Okia e aveva lasciato messaggi ai Kotoba, in modo che pattugliassero la zona. In lontananza si vedeva già la pietra caduta dal cielo e sebbene fosse notte, la zona in cui era situata risplendeva. Il villaggio vicino alla Tomba degli Antenati era illuminato come fosse giorno; tanta luce mostrava appieno la desolazione e distruzione in cui versava il villaggio. Dopo aver chiesto informazioni sulla situazione, il gruppo si diresse al lavoro.

“Gan'so. Dovremmo tornare nel regno degli spiriti! Vedi ciò che si farà vedere!” ordinò la vecchia signora. “Malyss dammi una mano ad aprire il collegamento.”

Il mago aprì una lunga scatola e ne fece uscire un lungo bambù nero; con esso si mise a disegnare sul terreno vari simboli che alla fine si unirono nel formare un cerchio. Una volta completato questo attivò la sua magia.

“Vai Gan'so, io lo terrò aperto”, disse guardando il fantasma.

Con cautela entrò nel cerchio e scomparve immediatamente.

“Quanto a te Campione, è meglio avere un arma. Dobbiamo mantenere aperto il passaggio per Gan'so ma potrebbe non essere l'unico ad uscire da esso”, disse Yu Ling.

Un po' intimidito, Iro sguainò la wakizashi.

“Non usare quella, non farebbe nulla agli spiriti, usa quella”, disse indicando la Kusanagi.

Iro decise di ascoltarla e sfoderò la Kusanagi, la quale emise una tenue aura blu- verde.

“Quello cos'è?” chiese Iro mentre una creatura stava apparendo del cerchio. Era una sorta di grande lumaca di un nero traslucido.

“Colpiscilo Iro”, urlò Yu Ling facendo gesti per lanciare un incantesimo.

Senza alcuna esitazione il Campione Imperiale tagliò la creatura, la quale emise un grido acuto prima di irrorare il terreno e Malyss con il suo sangue. Il mago corvo, era veramente bravo a non perdere la concentrazione per mantenere attivo il portale. Yu Ling finì il suo incantesimo e la creatura morta scomparve come aveva fatto prima Gan'so; Malyss tossì appena quando il verde sangue scomparve.

“Bleah bleah, fate attenzione la prossima volta. Sembrava che tante piccole lumache fossero sul mio viso.”

Nel cerchio apparve qualcuno. Questa volta non era alcun strano mostro bensì una persona. Era un uomo alto, con un fisico impressionante. Le sue vesti non lasciavano dubbi sulle sue origini: indossava una grande armatura danneggiata di cristallo e in mano aveva una grande spada. Sulla parte sinistra del viso aveva una grande cicatrice e portava lunghi capelli.

“Sono il Cavaliere Drago Arkalon d'Arpienne.”

Iro aveva già sentito quel nome da suo nonno. Quel cavaliere drago era stato un flagello per gli eserciti di Xzia durante la guerra contro la Draconia. Venne sconfitto mentre affrontava da solo Xzia ed i maestri d'armi dei tempi. Riuscì a sconfiggere i maestri d'armi e a ferire lo stresso imperatore prima di morire. Dato l'incredibile eroismo di tale personaggio, era divenuto una leggenda anche nell'Impero e gli venivano tributati onori .

“Cosa vuoi Arkalon d'Arpienne?” chiese sulla difensiva Yu Ling.

“Ho sentito Gan'so parlare, posso aiutarvi a fronteggiare i Nomadi.”

“E lo faresti senza compenso?” disse ironica l'esorcista.

“No, mi piacerebbe camminare nuovamente sulla terra di Guem, è tempo per me di fare ciò che so fare. Ma se vuoi un altro motivo, potrei rimuovere la maledizione che hai addosso.”

Questa proposta era molto interessante per Yu Ling, anche se aveva l'aspetto di una vecchia, lei aveva solo 20 anni.

“Campione dell'Imperatore, se sei d'accordo vorrei accettare”, parlò con un tono più morbido.

“Non ho una gran conoscenza nel campo degli spiriti, lascio a te decidere. Sono combattuto tra lo scegliere di lasciare l'antico nemico dove si trova oppure rilasciarlo per imparare da lui. Ma manterrà lui la sua parola?”

“Mi occuperò io di questo punto”, disse avvicinandosi al cavaliere drago.

Yu Ling tese la mano all'antico guerriero.

“Prendi la mia mano e tornerai in questo mondo ma se infrangerai la parola data tornerai nel luogo in cui sei.”

Senza alcuna esitazione Arkalon afferrò la mano ed uscì dal cerchio con un nuovo corpo mortale. Poco dopo riapparve anche Gan'so con un uomo in armatura completamente crivellata di frecce.

“Questo è un antico generale imperiale ed antico campione imperiale, Zatochi Kage”, disse il fantasma.

Iro riconobbe anche quel nome, perché faceva parte del pantheon degli eroi. Zatochi aveva creato un tipo di combattimento con la spada, la quale era divenuta un arte marziale canonica. Lo stesso Iro era stato addestrato da suo padre a tale arte. Iro aveva adorato tale personaggio, le sue gesta e le onorificenze da lui conseguite.

“Vi ringrazio per avermi fatto tornare in vita”, disse il generale con voce cupa. “Siamo legati a questo luogo e se scomparisse, anche noi faremmo la stessa fine. La Pietra sta corrodendo il nostro mondo come il vostro. Quando andremo saremo pronti alla lotta.”

“Ho offerto agli antenati me stesso per ottenere l'aiuto necessario a ricacciare i Nomadi e la malattia che proviene dalla pietra. Così facendo abbiamo potuto ottenere uno straordinario stratega.”

Yu Ling annuì dopo averci riflettuto.

“Il suo aiuto, generale è il benvenuto. Saremo in grado di portarvi in questo mondo in uno, due giorni. Nel frattempo però non potrete lasciare questo luogo.”

“Ho già dato la mia parola”, rispose.

“In questo caso mettiamoci al lavoro.”

Malyss fermò la sua concentrazione e il cerchio scomparve. Il generale tornò nel mondo degli spiriti, attendendo di essere chiamato all'azione. Iro inviò un messaggio al palazzo imperiale, spiegando ciò che era successo. L'attacco contro i Nomadi sarebbe avvenuto a breve, l'Impero non avrebbe avuto il tempo di mandare rinforzi. Yu Ling e Malyss iniziarono un nuovo rituale; era lo stesso di prima ma la zona interessata era molto più grande. Yu Ling avrebbe dovuto vegliare in modo che solo gli spiriti benevoli potessero attraversare il passaggio; Malyss invece esercitare la sua concentrazione per mantenere aperto il passaggio; quanto ad Iro, lui avrebbe dovuto esercitare la sua attitudine al comando e guidare le schiere militari. Il momento era arrivato. Yu Ling e Malyss avevano terminato i preparativi ed il cerchio magico era pronto. Lentamente, un glifo alla volta, il cerchio si illuminò di una luce magica.

Malyss rimase lontano dalla Pietra Caduta dal Cielo, per osservare la scena. Un uomo ed una donna furono i primi ad apparire come fantasmi del passato. La cosa sorprendente fu che a comparire non furono solo membri dell'antico esercito imperiale ma anche membri della Draconia, seppur in numero minore anche loro volevano impedire la distruzione dei due mondi da parte dei solari. I membri dei Kotoba rimasero impressionati davanti al gran numero di spiriti comparsi, dovevano essere più di 3000. Tra le truppe c'erano anche Cavalieri Drago, armati di tutto punto e vestiti da un semplice hakama. Arkalon prese il comando delle truppe della Draconia, Zatoichi quelle di Xzia. Dopo alcune ore l'esercito della tomba degli antenati cominciò ad incamminarsi verso la pietra caduta da cielo, guidato da Iro. Mano a mano che avanzavano la terra diveniva più accidentata, alcune zolle e rocce galleggiavano caotiche nell'aria. Alcune di queste pietre, una volta che non erano più in contatto con le particelle che permettevano il galleggiamento, cadevano rumorosamente a terra. Iro non poté non notare che il terreno era arido, coperto di un sottile strato di sabbia e che le piante stavano tutte morendo.

Kararine, che era in avanscoperta a monitorare quello strano esercito, accelerò il passo per informare Iolmarek. La zona attorno alla pietra era divenuto desertica, il caldo soffocante; i nomadi però ci erano abituati e non se ne curavano. Erano lì da molti mesi ma nonostante la mutazione del terreno non era successo altro. L'entità della pietra era in attesa in qualcosa. I nomadi pertanto erano in attesa che la volontà di Sol'ra avesse luogo. Kararine arrivò senza fiato al campo base, ai piedi della pietra caduta dal cielo. La Sfinge, come al suo solito, fermò con risolutezza la corsa della giovane.

“Cosa succede? Perché corri con questa fretta?”

“... Un esercito... marcia contro di noi”, disse prendendo fiato.

Tutti i nomadi sentirono e gli umani presenti accolsero la notizia con notevole preoccupazione. Iolmarek arrivò a portare calma e ad organizzare le difese.

“Era da aspettarselo. Sapevo ci avrebbero riprovato dopo l'ultima volta con le creature della foresta e i loro alleati maghi.”

“Questi sono strani però, sommo sacerdote. Si vede attraverso il loro corpo! Li guida un uomo vestito di rosso come gli uomini che risiedono non molto lontano da qui.”

“Non importa chi siano. Sol'ra troverà il loro punto debole.”

“Sono migliaia”, aggiunse Kararine.

Iolmarek si arrabbiò.

“Non dovresti essere un Solarian? A volte mi chiedo se la mente umana, che alberga in noi, non prenda il sopravvento. Non importa il loro numero, con noi c'è Sol'ra! Combatteremo con ardore, senza sosta perché Sol'ra ci darà la forza.”

Il Sachem


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L'Arc-Kadia era atterrata non molto lontano dalla foresta Eltarite. Malyss ed Ergue se ne erano andati per ricongiungersi con le rispettive gilde. Occhio di Gemma salutò Ciramor e L'Intrappolato, prima che quest'ultimi sparissero nella foresta con l'uovo del Mangiapietra. Alcune persone, nascoste tra gli alberi, guardavano di soppiatto la nave volante. Quando Al la Triste diede il segnale di partenza, una persona sgusciò fuori dall'ombra; durante la carica degli Hom'Chaï, il Sachem aveva abbordato la nave senza farsi vedere da nessuno. Aveva osservato gli stranieri con la massima cura e pazienza, in attesa del miglior momento per agire. Non ebbe alcuna occasione, fin quando la nave si era fermata. Quando arrivarono nei pressi della foresta sentì una presenza familiare, come se i membri della sua tribù fossero presenti. C'era della magia che scorreva tra gli alberi ma non si era focalizzato su questo punto; la sua attenzione infatti era tutta focalizzata sul desiderio di vendetta.

Seguì le tracce di Ciramor nella foresta perché quelle dell'Intrappolato, Daïs nel suo elemento, erano invisibili. Il piccolo gruppetto si stava inoltrando sempre più nella foresta. Nel suo inseguimento, Il Sachem incontrò tante piccole creature della foresta, le quali non mostrarono il benché minimo timore per il vecchio elfine. Poi per non essere notato, utilizzò la sua magia per celarsi ad occhi esterni. Ciramor e L'Intrappolato arrivarono di fronte ad un enorme scultura, scolpita per diventare un villaggio. Il Sachem rimase allibito nel vedere che c'erano Elfine e Hom'Chaï, i quali parevano vivere pacificamente con la gente della stessa razza dell'Intrappolato. Non si soffermò però nel villaggio, preferendo avanzare ancora nella foresta. Dopo un'ora di cammino, giunse ad una strana casetta fatta di legno. Tronchi di alberi erano i pilastri su cui si fondava, le pareti erano composte da varie piante rampicanti. Attorno c'erano moltitudini di oggetti sciamanici e funghi di colori brillanti.

I due ladri vennero accolti da un altro Daïs, diverso dall'Intrappolato. Sembrava fosse una cerimonia, il nuovo Daïs era raggiante di vedere Mangiapietra.

“Eccovi tornati a salvarci dalla nostra distruzione.”

La voce di Kei'zan risuonò nella testa del Sachem, il quale cominciava a comprendere come comunicassero i Daïs.

“Benvenuto Ciramor. Abbiamo molto da parlare. Quanto a te, fratello mio; ho saputo che sei riuscito a contenere la tua rabbia, pertanto non tornerai in prigionia.”

“In prigionia? Lo sapevo che era un ladro!” disse il Sachem tra sé e sé. “Aspetterò che cali il buio per agire.”

Il Kei'zan poi esaminò il celeberrimo Mangiapietra. La creatura aveva il comportamento di un bimbo di due anni e al momento stava giocando con pezzi di legno ed altri gingilli sparsi per terra.

“Sento che in questo piccolo corpo alberga un potere enorme, è un guemelite. Ciramor, cosa puoi dirmi di lui?” chiese Keizan invitando gli ospiti ad entrare in casa.

Il Sachem notò che c'era un'entrata tra due tronchi, la quale conduceva ad una grande stanza dall'aspetto accogliente. Per terra c'erano diverse pelli d'animale e molti oggetti tribali. Tutti trovarono un posto in cui accomodarsi ed il Mangiapietra venne sistemato al centro della stanza.

“Tutto ciò che so sul Mangiapietra è ciò che ci disse Eredan quando venne dai Confini. Quando il mondo era giovane, queste creature vivevano sulla terra di Guem, in pace ed armonia. Ad un certo punto avvenne un cambiamento radicale nel mondo e questa civiltà scomparve; ad oggi rimangono solo poche uova, io conoscevo l'ubicazione solo di questa.”

“Sembra che sia un infante, come potrebbe aiutarci?”

Il Mangiapietra gattonò fino ad uno sgabello sul quale era poggiata una gemma verde. Era tutto apposto fin quando la creatura tentò di morderla. Kei'zan saltò in piedi e tolse la pietra dalle mani della creatura. Ciramor si affrettò a consolare la creaturina, spaventata da quel gesto brusco.

“Il suo nome è giustamente Mangiapietra.”

“Se avesse ingoiato quella pietra sarebbe stata la fine del mio popolo! Forse ne ho un paio per lui...”

Kei'zan cominciò a frugare dentro una borsa di pelle e cominciò ad estrarne varie cose che porse alla creaturina. Il Mangiapietra aveva un espressione felicissima. Vicino a lui c'erano diverse pezzi di pietra di un verde intenso e brillante, dello stesso colore della pietra appena salvata. La creatura senza perdere un secondo, incominciò a fagocitarle con gioia.

“Gli hai dato frammenti della pietra-cuore dell'Albero-Mondo?” chiese indignato l'Intrappolato.

“Sì, qualcosa mi dice che era la cosa giusta da fare”, rispose.

Tutti e tre rimasero a guardare Mangiapietra mentre mangiava cristallo dopo cristallo. Una volta finito il suo pasto si addormentò di botto.

“Tutto ciò è incredibile. Hai ragione Kei'zan, sento la magia crescere all'interno di questo piccolo corpo”, disse Ciramor. “Ora lasciamolo riposare, presto sapremo cosa è in grado di fare.”

“Puoi restare quanto vuoi”, disse gentile Kei'zan.

La notte calò rapidamente e avvenne qualcosa di inaspettato. Il Mangiapietra si mise in posizione fetale e attorno a lui si formò un nuovo uovo. La creatura era piena di sorprese Vedendo che non c'era nulla da fare al momento, Ciramor si avviluppò attorno ad una coperta e si addormentò. Ai Daïs ci volle più tempo ma alla fine, vinti dalla stanchezza, si addormentarono anch'essi. Era il momento che il Sachem stava attendendo. “Un uovo per un uovo” disse mentre sostituiva l'uovo del Mangiapietra con uno molto simile. Silenziosamente usci dalla stanza con il suo bottino.

Sfortunatamente per lui, non conosceva la foresta e ben presto si perse. Dopo diverse ore di marcia era finito in una valle in cui l'atmosfera era diversa. Gli alberi avevano fusti molto sottili e nella zona c'erano molti totem coperti di muschio. Non importava dove fosse, doveva solo andare avanti e cercare un modo per ricongiungersi ai suoi, si disse Il Sachem. D'un tratto si girò verso un albero e si trovò davanti ad un enorme creatura. Era simile ad un gatto ma molto più grande, il suo pelo era blu. Sulla sommità del capo aveva un gran corno di cristallo. Non riusciva a credere ai suoi occhi, questo animale aveva qualcosa di familiare. Infine capì chi fosse: Akem, spirito felino. Da sempre era adorato dalla sua tribù e c'erano diverse storie su di lui.

“Buonasera Sachem”, disse la creatura.

“Tu... tu parli”, disse serrando la presa sull'uovo.

“Certo... comunico attraverso la tua mente. Lo sai chi sono?”

“Sei Akem, lo spirito felino?”

Il cristocat annuì soddisfatto.

“Non avere paura, non voglio farti del male. Sono Akem, così almeno mi chiamano in questa parte della foresta. Vuoi aiuto? Mi sembri perso.”

“Devo andarmene di qui”, rispose il Sachem, deciso a non rivelare tutta la verità.

“In questo caso, seguimi.”

Akem si diresse su un vecchio sentiero. Il Sachem non avendo altra scelta, decise di seguire lo spirito. Un'ora dopo venne l'alba e sopra la foresta crebbe una tenue foschia bluastra.

“Vedi Sachem, questa parte di foresta è deserta da anni.”

“Ah perché? Mi sembra un bel posto”, rispose il Sachem guardando vecchi totem dalla forma di felini.

“Tempo fa ci viveva una tribù di cui io ero lo spirito del suo totem.”

“Ci viveva? Che fine ha fatto?”

“Il loro sachem e la maggior parte dei guerrieri divennero stolti, credendo di essere schiavi dei Daïs decisero di ribellarsi e abbandonare la foresta.”

“I Daïs? Quei ladri!”gracchiò il Sachem.

Lungo la strada si delineava una grande radura, nella quale vi erano diverse case abbandonate e nei pressi di queste, altri totem.

“Guarda. Era qui che vivevano”, disse Akem. “Guarda cosa successe a loro.”

Intorno a loro, tutto cominciò a mutare. Le rovine divennero nuovamente delle capanne, abitate. C'erano Hom'Chaï, Elfine e pure Daïs. Il villaggio assomigliava tantissimo a quello in cui viveva il Sachem. I ricordi narravano di un momento molto importante per la vita di quella tribù. Diversi guerrieri Hom'Chaï ed Elfine erano attorno al sachem di quel tempo; molti Daïs erano legati. Il Sachem aveva lunghi capelli adornati da moltitudini di sfere, i suoi occhi erano viola.

“Pensate di dominarci e fare di noi degli schiavi”, disse con rabbia. “Ma non finirà così. Lasceremo questa foresta maledetta.”

Uno dei Daïs, la cui voce rimbombò nelle menti dei presenti, decise di rispondere.

“Astenaki, con la tua follia stai punendo il tuo popolo.”

“Astenaki”, sussurrò Il Sachem stringendo l'uovo di Mangiapietra. “Il padre fondatore della mia tribù?”

“Precisamente”, disse Akem.

La scena proseguì con l'esecuzione dei Daïs e l'annuncio che la tribù sarebbe partita per luoghi meno ameni. Nel passare del giorno, si poteva vedere l'ombra dell'Albero-Mondo.

“Ora hai capito?”

“Ho paura... ho paura che noi siamo partiti da qui seguendo la follia di Astenaki. Io sono un suo discendente e ho continuato ad odiare.”

“I Daïs, Elfine e Hom'Chaï hanno vissuto in pace per secoli. Astenaki fece un errore, un grave errore. Vedi, quell'uovo di Mangiapietra che hai in braccio, una volta era qui. Era stato affidato ai tuoi antenati perché fosse protetto e, una volta che fosse giunto il momento, gli venisse insegnato quanto necessario.”

Il Sachem abbassò il capo, i pensieri tamburellavano nella sua testa. Akem aveva ragione? O mentiva? Eppure gli Elfine non possono odiare. Tutto quello che aveva appena visto era difficile da credere, era così dissimile dalle leggende che conosceva. La verità era sotto ai suoi occhi: Astenaki, elevò se stesso al livello delle divinità e uccise vari Daïs, facendo credere che non fossero altro che malefiche creature. Lui però non era Astenaki e, non senza travaglio interiore, aprì gli occhi.

“Dunque, ora che succede?” chiese.

“Ora viene una nuova era per la tua tribù. Tu tornerai dalla tua gente, io ti aiuterò. Tu diverrai colui che si prenderà cura del Mangiapietra.”

Akem poi corse verso l'Elfine e si tuffò dentro al suo corpo. Il felino scomparve e Il Sachem perse conoscenza. Il sole era già alto quando si svegliò. Insieme ad Akem era scomparsa anche la nebbia. L'uovo del Mangiapietra era poco distante, sotto ad un totem raffigurante un felino. L'elfine si stupì molto nel constatare che sulle spalle aveva una pelle di cristocat. Il Sachehm si alzò e rivolse il suo sguardo al totem.

“Accetto questo compito, spirito felino.”

In quel mentre apparve una dozzina di persone, tra le quali si potevano vedere L'Intrappolato, Kei'zan, Silikat, Parlapietra e vari Elfine ed Hom'Chaï. L'Intrappolato e Silikat riconobbero immediatamente il capo della tribù ostile.

“Tu!!” urlò Silikat. “Che ci fai qui?”

Stava per colpire il nemico con pugno quando Parlapietra si frappose.

“No”, disse. “In questo luogo sento la presenza di un potente spirito.”

Il gruppo di Eltariti circondò Il Sachem.

“Sei tornato a prendere ciò che ti ho sottratto?” chiese L'intrappolato.

Il Sachem alzò gli occhi sul Daïs, i suoi occhi erano diversi e pieni di rimorso.

“Sì, sono venuto per quel motivo, ma oggi ti devo delle scuse. Le devo a tutti voi.”

Si alzò a liberare il totem felino dalle erbacce che vi erano cresciute attorno.

“Io sono Il Sachem della tribù Akem, discendente di Astenaki. Mi scuso per quanto fatto dai miei antenati.”

“Akem!” Parlapietra fu sorpreso di sentir pronunciato quel nome, “Quello spirito è da tempo scomparso.”

“No, lui era lì, in attesa del nostro ritorno. Se solo voi sapeste quante nefandezze ho commesso nel nome di un falso dio. Silikat noi veniamo da questo posto.”

“La tribù di Astenaki? Ritorno?” Kei'zan era perplesso. “Strano che ciò si verifichi proprio ora.”

“So che avrete difficoltà a fidarvi di me dopo ciò che ho fatto ma vi posso aiutare. Prenderò sotto la guida il Mangiapietra come già abbiamo fatto in passato. Permettetemi di rimediare agli errori della mia tribù.”

Tutti si voltarono verso Kei'zan, massima autorità nella foresta Eltarite. Parlapietra gli si avvicinò.

“Se detiene veramente il potere di Akem, dobbiamo fidarci di lui. Questo spirito ha preferito restare in questo luogo invece di seguire la sua tribù e gli errori che stavano commettendo. Akem era noto per la sua saggezza.”

A Kei'zan ci vollero solo pochi attimi di riflessione. La storia raccontatagli da Ciramor e L'intrappolato parlava di un uomo diverso, più crudele, ma ora il pentimento che aveva in volto sembrava sincero.

“Io accetto che la tua tribù torni in queste terre sacre. Non so come potranno tornare da posti così remoti ma troveremo assieme una soluzione. L'unica condizione è che vi prendiate cura del Mangiapietra a costo della vita. Chiederò ad alcune tribù di rimettere a nuovo questo posto, così potrete stabilivi nella case dei vostri avi. Va bene Sachem?”

“Sì. Silikat vorresti tenermi compagnia ed imparare che ciò che dovremo conoscere?”

“Preferirei prendermi una freccia in un occhio.”

“Sarò io ad insegnarti quanto sarà necessario”, tagliò corto Parlapietra. “Bentornato a casa, Akem.”


L'occhio di Sol'ra


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Capitolo 1 - Persuasione

Il Principe Metchaf ed Urakia non ebbero bisogno di sguainare le spade, perché le persone che avevano innanzi non li stavano minacciando. In loro però c'era qualcosa di terribilmente malvagio e oltretutto, erano portatori di odio nei confronti di Sol'ra.

“Se pensate di prenderci senza combattere, siete in grosso errore”, disse il Principe al gruppo presente. “Alcuni ci hanno già provato...”

“Sappiamo chi sei, Principe Metchaf. Per favore, condividi con noi questo cibo. Devi essere affamato.”

L'uomo invitò gli ospiti a sedersi attorno ad un falò. Urakia, sospettosa, era vicina al principe, pronta a scongiurare qualsiasi problema. Il capo dei ribelli offrì agli ospiti carne e farina; i due tentennarono ma poi, vinti dalla fame, accettarono.

“Sapete che Istaryam è una città proibita. Volete incorrere nell'ira di Sol'ra?” chiese il principe, sforzandosi di mantenere un tono calmo.

“Corriamo questo rischio perché crediamo in altre cose. Crediamo nelle antiche divinità e nella gloria passata della nostra civiltà”, rispose il capo.

“L'unica cosa che vi accadrà sarà quella di essere decapitati”, disse Urakia.

“Si po' uccidere chi è già morto? Agli occhi di Sol'ra non siamo altro che insetti. Noi quanto voi. Sapete cos'è un solarian?”

“Un'evoluzione che ci permette di essere più vicini a Sol'ra”, rispose il Principe.

“Un solarian è una creatura divina che decide di albergare nel corpo di un umano, rendendolo succube ed alla sua mercé. Queste creature non hanno nulla a che fare con il tuo corpo o con la tua vita”, rispose il capo.

“Se questa è la volontà di Sol'ra”, s'intromise Urakia.

“Sarà difficile convincervi. Ora siete nel tempio di Istaryam, divenuto ormai una prigione per coloro che vennero sconfitti da Ra. Conoscete la storia di Ra? Io non credo. Non viene raccontata ai fedeli di Sol'ra.”

Metchaf ed Urakia non risposero, lasciando così continuare il capo.

“Tutto iniziò diversi secoli fa. La tradizione voleva che gli uomini del Deserto pregassero gli dei perché potessero ottenere favori. In quel pantheon, c'erano molte divinità ed era comandato da cinque divinità: Ptol'a guardiano dell'aldilà, Kapokek guerriero che riposa nella notte, Naptys dea della vita e del rinnovamento, Ra dio del sole e della luce ed infine Cheksathet custode della conoscenza. Insieme portavano equilibrio e resero la nostra civiltà fiorente e potente. Istaryam era la città più grande e ricca, perfino più splendida di Mineptra. In quei tempi Ra stava facendo un doppio gioco. Donava agli uomini il sole, mostrando il suo aspetto benevolo e per questo veniva adorato, ma in segreto covava il sogno di divenire l'unico dio. A cadere per prima fu la dea Assthet, protettrice della lontana città di Kta, poi uno dopo l'altro scomparvero anche gli altri rafforzando così il potere di Ra. Il suo piano venne smascherato da Cheksathet, il quale avvertì tutti delle subdole macchinazioni di Ra. Il dio scappò ma tornò non molto dopo. Nacque la guerra tra i politeisti ed i monoteisti. Ra smise di usare il suo nome e si fece acclamare come Sol'ra. La guerra finì quando la grande sacerdotessa di Ptol'a cadde sulla sabbia ancora calda. Cosa successe in seguito non è raccontato. Istaryam divenne una prigione, una sorta di santuario in cui le divinità sconfitte non possano uscire. Vennero rinchiusi con i loro fedeli: uomini, donne o bambini, poco importava. Morirono tutti, senza la possibilità di avere una morte onorevole. Noi da un paio di mesi abbiamo trovato Istaryam e l'ingresso alla tomba.”

“Va bene, va bene ma cosa volete da noi?” chiese Metchaf.

“Il punto non è cosa voglio ma cosa puoi fare. Principe Metchaf, erede del Re del deserto. La tua responsabilità è portare alla luce la verità, ripristinare il pantheon originario e riportare Ra al luogo in cui merita di stare.”

“Perché mai dovrei farlo? Sono principe, ho tutto quello che voglio, nulla mi manca.”

“Sì a te non manca nulla, oh Principe. Al tuo popolo ed al tuo regno invece? Vorrai essere colui che ristabilirà l'ordine o solo un altro giocattolino nella mani di Sol'ra? Non ho alcun motivo per mentirti. Se fossimo semplici ribelli perché mai avrei perso tempo a raccontarti tutto questo invece di ucciderti o imprigionarti assieme alla tua affascinante guardia del corpo? Vogliamo un mondo più giusto e libero dal giogo di Sol'ra.”

Metchaf sembrava sopraffatto da tutte le informazioni appena apprese. Urakia stessa, che si sforzava di mantenere un viso impassibile, era afflitta da mille domande. Davanti a loro c'erano dipinti che narravano la medesima storia e con essa, portavano dubbi nella mente dei due.

“Se questi altri dei esistono perché non possiamo vederli?” chiese Urakia, la quale aveva visto non molto tempo prima la manifestazione di Ptol'a. In quel mentre un uomo si fece largo tra la folla. Era un ammasso di muscoli, con il cranio rasato.

“Sono Kebek”, disse a voce alta. “Sono un guerriero di Kapokek. Gli dei sono intrappolati e imprigionati sotto l'occhio vigile di Sol'ra. Solo Ptol'a può manifestarsi liberamente.”

Quando il guerriero nominò la dea, questa apparve.

“Vedi Principe, sei stato ingannato come tutti gli altri; Sol'ra vuole una cosa sola: sterminare tutti e restare l'unico rimasto. Il tuo dovere è fare in modo che ciò non accada. Se però sei ancora dubbioso, ti invito a seguire Kebek fino all'occhio di Sol'ra così potrai renderti conto della nostra sofferenza.”


Capitolo 2 - L'immortale guerriero di Kapokek

Il Principe, nonostante qualche esitazione ed il parere contrario di Urakia, accettò l'offerta. Furono le argomentazioni del leader dei ribelli e di Ptol'a ad incuriosirlo. Cos'era questo occhio di Sol'ra? Come poteva lui sapere se tutta la storia raccontatagli non fosse altro che una macchinazione per sovvertire il culto di Sol'ra? Kebek, assieme alla gente del posto, li guidò fino ad una breccia nelle mura; in quel luogo avrebbe dovuto esserci una statua della sfinge ma era stata spostata per rendere visibile il passaggio. Da quel momento attraversarono un intricata serie di corridoi; riuscirono a non perdersi solo per via della presenza del guerriero di Kapokek.

“Con me non potrete perdervi. Non so però cosa potrebbe aspettarci dall'altra parte, siate vigili.”

“Non sottovalutarmi, io sono della Guardia Reale”, ringhiò Urakia.

Kebek era divertito della reazione della giovane donna.

“Non volevo sminuirti, conosco il valore delle guardie reali. Ah, ecco, siamo arrivati.”

Il corridoio conduceva ad una stanza illuminata, con molti soli dipinti sui muri, sul pavimento e sul soffitto. Metchaf percepì immediatamente una forte presenza della benedizione di Sol'ra.

“Non poi andare oltre Kebek, penso che solo noi Solarian possiamo attraversare la stanza. Deve essere una forma di difesa contro gli infedeli.”

Il guerriero non diede segno di aver ascoltato ed entrò nella stanza. Con sommo stupore del principe e di Urakia, non successe nulla.

“Anche nel profondo della mia anima c'è un solarian assopito”, disse con un sorriso. “Ma io non sono influenzato da esso.”

Poi si apprestò a recidere alcuni simboli di Sol'ra con la sua spada, quando Urakia lo fermò.

“No, è un sacrilegio insultare Sol'ra.”

“Pensi che lui non sappia che noi siamo qui?” disse ironico Metchaf. “Questo posto è sicuramente uno dei luoghi più sorvegliati che esistano.”

“I Nomadi del deserto hanno una sfinge pronta a frustarci, non fosse che lo sguardo di Sol'ra è rivolto ad un luogo ben distante da qui, in questo momento. Strano che tu non lo sappia, principe.”

“Se è così, allora ne sono a conoscenza”, rispose senza sapere di cosa stesse parlando.

Superarono una porta ed entrarono in un ampio corridoio. C'erano moltitudini di iscrizioni sui muri, le quali promettevano maledizioni a chi avesse osato profanare quel luogo. Metchaf ed Urakia avevano il cuore pesante; la guardia reale decise di seguire il principe ma così facendo anche lei sarebbe andata incontro alla dannazione. Doveva fermare questo viaggio? No, doveva dimostrare che Kebek e gli altri erano in errore. Alla fine del corridoio ci sarebbe stato qualcosa? Finito il corridoio non arrivarono in un altro spazio angusto bensì in luogo mozzafiato. Immediatamente videro diverse facciate di abitazioni e sotto di esse, una strada ciottolata. Sopra di loro c'era la sabbia, adagiata su una cupola di vetro , la quale permetteva alla luce del sole di penetrare e riscaldare l'ambiente.

“Le vecchie strade di Istaryam”, sussurrò Kebek.

Al centro della cupola di vetro era inciso un grande sole, nel cui centro vi era disegnato un occhio. Un raggio di luce proveniente da esso, illuminò un tempio.

“Quello è l'occhio di Sol'ra?” chiese Metchaf.

“Sì, lo è”, rispose Kebek avanzando. “Senti il suo potere.”

“E pensi di poter fare qualcosa contro di esso?” disse con tono ironico la guardia reale.

“Io da solo no, siamo in tre però. Non vacillate ora, la verità è a portata di mano.”

Il tempio non era molto lontano quando una creatura si frappose. Era una specie di leone, con gambe di ippopotamo e testa di coccodrillo. Era due volte più grossa di Kebek ed ai suoi piedi aveva una bilancia. Su uno dei due piatti c'era una piuma.

“Se desiderate avanzare dovrete mettere il vostro cuore sull'altro lato della bilancia. Se i vostri peccati pesano più della piuma, verrete distrutti dalla volontà di Sol'ra.”

Prima che Mecthaf ed Urakia potessero pensare, Kebek si lanciò arma in pugno contro la creatura; la quale schivò il colpo.

“Vediamo quali sono i tuoi peccati, umano arrogante”, disse mentre veniva avvolta da un alone di luce.

Kebek venne investito da un gran dolore. Dal nulla era comparsa una lancia che gli aveva perforato il torace fino a raggiungergli il cuore. Urakia e il Principe assistettero increduli. Se il guerriero fosse morto, la verità era nelle mani di Sol'ra. Kebek cadde a terra ma non morto. Respirò una volta, poi due e senza alcun preavviso, si lanciò sulla creatura; questa, presa di sorpresa non potette evitare il colpo e venne colpita al petto dalla spada del guerriero.

“Sono benedetto da Ptol'a e porto la forza di Kapokek! Guarda se il mio cuore è oscuro.”

La creatura cadde sul selciato. Kebek si appoggiò alla sua spada, guardò la ferita e con un urlo disumano tirò fuori la lancia che aveva conficcata nel petto. Lo squarcio, che avrebbe ucciso chiunque, si rimarginò poco dopo. Metchaf ed Urakia non riuscirono a credere ai propri occhi.

“Tu non sei umano”, disse il Principe.

“Lo sono ma sono protetto da poteri ben più potenti di me.”

Capitolo 3 - Sacrificio

Il nero sangue della creatura si sparse sul terreno mentre i tre uomini del deserto si dirigevano verso il tempio. Il raggio di luce proveniente dall'occhio di Sol'ra, pur essendo brillante, non impedì loro di entrare nell'edificio. Era un antico luogo di culto, nel quale veniva celebrato il pantheon di cinque divinità: Ptol'a, Kapokek, Ra, Naptys e Cheksathet. Tutto era intatto, come se le persone che le avevano popolato fossero evaporati, lasciando in quel luogo i loro affari. Solo le statue delle divinità erano state decapitate, probabilmente dai soldati di Sol'ra durante la presa di Istaryam.

“Una civiltà cancellata dalla follia di un dio”, latrò Kebek. “Vediamo cosa riusciamo a trovare.”

“Iniziamo a dare un occhio alle iscrizioni, invece di andare a rotta di collo, come abbiamo fatto fin'ora”. disse Urakia.

“Hai ragione. Gli dei hanno atteso a lungo, possono attendere un altro poco”, rispose Kebek.

Il tempio aveva tre piani, ai quali si poteva accedere tramite ampie scalinate. Il primo piano era dedicato a Naptys, dea del rinnovamento; c'erano state molte piante ma di loro non rimanevano altro che ceppi e fusti ormai morti. La dea era al centro della stanza, con le braccia aperte, come a simboleggiare un abbraccio al fedele. Come le altre statue, non aveva più la testa. Il raggio di Sol'ra poggiava esattamente su quel simulacro. Il secondo piano era dedicato a Kapokek; su di esso vi era un intricato meccanismo che permetteva di portare acqua in ampie piscine. C'erano molti scheletri di animali per terra, coccodrilli per lo più, il che significava che ve ne erano presenti nel tempio. Come nel piano inferiore, anche qui c'era una statua. Kapokek portava una lancia e la rivolgeva verso il basso. Anche questa statua era stata decapitata. Il raggio di Sol'ra si posò sulla statua. Il terzo piano, che fungeva anche da tetto, era il dominio di Ra. Il pavimento era composto da mosaici, i quali donavano all'ambiente un aria molto luminosa. Nel centro c'era Ra, maestoso e con le braccia rivolte al cielo. Questa statua aveva ancora la testa.

“Guardate, il mosaico rappresento lo stesso sole presente sulla cupola, c'è anche l'occhio”, disse Metchaf.

“Bhe, abbiamo visto quanto c'era da vedere. Non stiamo qui, tutta questa luce è fastidiosa”, rispose il guerriero di Kapokek. “Andiamo di sotto.”

Il piano terra era il luogo preposto alle abitazioni ed alla gestione del tempio. C'erano molti appartamenti ed uffici, probabilmente riservati ai sacerdoti e sacerdotesse del tempio. Nel mezzo di esso c'era una grande sala di preghiera in cui venivano adorate ed invocate tante divinità. Il raggio dell'occhio passò attraverso la stanza ed attraversò una spessa lastra di vetro. Tramite un'ingegnosa rete di specchi, la luce del sole attraversava delle feritoie nelle pareti, illuminando tutto l'ambiente. Tutto era in ordine ma il fascio di luce era talmente intenso che sembrava di essere alla luce del sole. I tre trovarono una scala polverosa che conduceva nel sottosuolo. C'era un corridoio che correva lungo una stanza circolare. Poco distante c'era una apertura, larga cinque passi, che permetteva di accedere alla stanza. Nelle pareti vi erano molti loculi, nei quali una volta venivano disposti oggetti e papiri, in modo che chi fosse lì potesse aumentare la propria conoscenza. Ora però i loculi era vuoti. La statua della divinità era stata completamente distrutta. Così questo era il luogo di culto di Cheksathet.

“Non ha avuto una buona sorte. Da quanto mi è stato raccontato, venne assorbito da Ra, dandogli una forza incredibile”, disse con rispetto Kebek. “Un dio non può morire in teoria ma c'è di peggio: essere assorbito da un altro dio.”

Non c'erano altre vie se non quella che portava ai piani superiori.

“Se c'è un piano per ogni divinità, dov'è Ptol'a?”

Ognuno dei tre si diresse in una direzione diversa per cercare più attentamente. Urakia trovò qualcosa di strano ed interessante. Anche se coperto di sabbia e ghiaia, c'era una forma che attirò la sua attenzione. Spostò e soffiò sulla sabbia fino a scoprire un enorme simbolo del sole. Non era presente in origine, era stato tracciato successivamente alla conquista del tempio. Tutti e tre ebbero per un istante, paura che il raggio di luce dell'occhio comparisse nuovamente.

“Se c'è un occhio, allora scaviamo. Il tempio di Ptol'a deve essere qua sotto”, disse Kebek afferrando la spada.

“No! Aspetta”, urlò Metchaf.

Ma era troppo tardi, il guerriero di Kapokek aveva già piantato la sua spada nel centro dell'occhio , facendo apparire il raggio di luce. Questo divenne più intenso che mai ed il tempio cominciò a tremare. Kebek venne sbalzato lontano e cadde privo di sensi.

“Chi osa? Chi osa mettere in dubbio l'autorità di Sol'ra?”

Dal raggio di luce apparve una forma umana che sembrava, con somma sorpresa di Metchaf, Shrikan, solo che questo aveva un occhio solo.

“Io sono il figlio del re, Metchaf principe del deserto, togliti e libera il passaggio.”

“Torna da dove sei venuto Principe Metchaf, non opporti alla volontà del dio”, rispose il solarian sguainando la spada conficcata a terra. “Andatevene e lasciate che questo profanatore venga punito con la morte.”

“Andrò via dopo che avrò avuto risposte. Sol'ra è in realtà Ra? Colui che ha assorbito Cheksathet ed annientato tutte le altre antiche divinità?”

“Non fare queste domande, principe Metchaf! Non curartene e vattene, oppure affronterai la morte.”

“Ha distrutto le antiche civiltà per la supremazia?” continuò il principe.

Il solarian si arrabbiò, una lancia di luce apparve tra le sue mani e in un attimo attaccò il principe. Urakia fu veloce e si lanciò nel proteggere il principe. La lancia la passò da parte a parte. Il sangue scorreva a fiumi ma la guardia reale restava ferma al suo posto. Il principe era sconvolto dal fatto che Sol'ra agisse in questo modo.

“Vai, io ti proteggerò, le ferite non potranno fermarti”, disse la voce di Ptol'a.

Ispirato dalla presenza della dea, il principe si lanciò con la spada in mano. Il solarian, pregno del potere di Sol'ra fece lo stesso. Con i suoi poteri theurgici pregò Sol'ra che l'infedele venisse arso vivo. Il principe urlò mentre la sua anima prendeva fuoco ma Ptol'a, soffiando un po' del suo potere, restituì le forze al principe.

“Riconosco la tua presenza Ptol'a. Così siamo di nuovo faccia a faccia.”

La dea rispose con la bocca del principe.

“Sì ma questa volta sarai tu a perdere, il tuo padrone non è qui.”

La benedizione di Ptol'a baciò anche Kebek ed Urakia. La guardia reale afferrò la lancia e la maneggiò contro il solarian. Kebek sguainò la sua spada e balzò alla carica.

“Focalizzatevi sull'occhio”, disse la voce di Ptol'a.

Come guidate da una mano amica, gli attacchi si focalizzarono sull'occhio. Nel frattempo Metchaf aveva disarmato il nemico.

“Raaaaah nooo! Traditori! Io...”

Non ebbe il tempo di finire la frase perché si ritrovo, sotto allo sguardo vigile dell'occhio, con il cranio spaccato da un colpo di lancia e da uno di spada. Immediatamente la creatura esplose in un bagno di luce. Tutto quello che successe dopo, avvenne in fretta. Il suolo venne infranto da crepe, la cupola di vetro si infranse facendo precipitare tonnellate di sabbia. Instaryam venne sommersa dalla sabbia. Metchaf ed i suoi compagni cercarono di fuggire ma erano intrappolati come topi.

Si svegliarono. Erano nell'oasi non lontana da Istaryam. Tre persone li stavano guardando. Erano riconoscibili perché identici alle statue di Kapokek, Naptys e Ptol'a. Fu Naptys a parlare.

“Avete la gratitudine di tutti gli altri dei e la nostra eterna gratitudine. Avete aperto il cammino per il rinnovamento, siatene ora gli strumenti di esso.”


L'Ammiraglia


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Capitolo 1 - L'Ammiraglia

L'Arc-Kadia tremava mentre si allontanava dalla foresta Eltarite. Al la Triste, guardava all'orizzonte mentre la sua nave si stava dirigendo verso una delle tante isole bianche. Dopo aver affrontato un gigante, il Capitan Palpeguese e le mille altre prove, finalmente era venuto il tempo di concedere un po' di riposo all'equipaggio. Con il ritorno di Occhio di Gemma, tutto l'equipaggio era a bordo; non c'erano così tanti pirati sulla nave dai tempi del Gigante Triste. Briscar venne rimosso dalla carica di vice, che occupava come sostituto e la guemelite dell'aria fu felice di potersene riappropriare. Al sostituì Bragan al timone, aveva sempre amato quel punto della nave. Con i capelli mossi dal vento, si lasciò cullare dal dolce suono dei motori. Al la Triste era così vicino a recuperare il tesoro che aveva sognato fin da piccola:il tesoro del Capitano Hic. Era giunto il momento di andare avanti ed aveva un'idea che le ronzava in testa. Quando era sfuggita alla Dama Nera, aveva leso il suo onore; per riscattarsi avrebbe dovuto trovare nuovamente il nemico ed affrontarlo. Ma questa volta l'Arc-Kadia ed il suo equipaggio sarebbero stati pronti a far mangiare la polvere a Palpeguese ed ai suoi scagnozzi. Due giorni dopo la nave arrivò in vista delle isole bianche e dell'oscuro vortice che aveva divorato l'antico regno. La nave venne indirizzata verso nord, in modo da avere una rotta sicura e da non venire intercettata dalla flotta di Bramamir.

“Capitano, possiamo fermarci a Dente di Squalo?” chiese Klemence. “Avrei bisogno di trovare alcuni componenti."

“Non dilapidare la tua parte del bottino, ragazza”, rispose Al.

“Anche altri vorrebbero fermarsi in quel posto”, intervenne Occhio di gemma. “Anche io, avrei bisogno di sbarcarci.”

“Va bene ma non ci staremo a lungo. Al massimo un paio d'ore e poi voglio tutti a bordo, chiaro?”

“Signor sì”, risposero in coro Klemence ed Occhio di Gemma.

Il Dente di Squalo era stata un'isola circondata dal mare. Il suo nome derivava da un grosso scoglio, che una volta un pirata ubriaco scambiò per un enorme dente di squalo. Era anche una delle tante isole sotto al giogo della pirateria. Quest'isola aveva svariate grotte sommerse che nel tempo erano state usate dai pirati. Sotto l'isola era stata creata una città. L'Arc-Kadia approdò facilmente tra mucchi di pirati, pronti a dilapidare le proprie ricchezze. Al la Triste, Bragan, Klemence, Occhio di gemma e Gamba di Legno sbarcarono, lasciando agli altri membri della ciurma il compito di proteggere la nave. Gamba di Legno percepì subito una presenza malvagia, oppressiva; anche gli altri la percepirono ma in maniera molto minore. Il vecchio pirata si voltò verso ambo le direzioni fin quando non vide una strana nave.

“Cosa? Sembra...”, disse con apprensione. “Non potrà mica essere... Nooo.”

Gamba di Legno afferrò il braccio di Al e le indicò la nave. Il capitano guardò la nave ma non la riconobbe.

“Vieni”, le disse Gamba Di Legno.

Avvicinandosi poterono vedere meglio la nave. Era più piccola dell'Arc-Kadia ma non per questo meno impressionante. Il legname era vecchio, nero e danneggiato. La polena era una sirena con una spada spezzata. Sul fianco sinistro c'era scritto, in metallo arrugginito, il nome della nave: l'Ammiraglia. Bragan afferrò immediatamente Al e Occhio di Gemma.

“L'ammiraglia! L'ammiraglia! L'ammiraglia! Faremo meglio ad andarcene subito.”

Al ricordava perfettamente la leggenda dell'ammiraglia. Quando le navi galleggiavano ancora sull'acqua, essa era la nave ammiraglia della flotta di Bramamir. Venne coinvolta in molte battaglie e questo portò molta gloria al suo comandante. In una guerra contro i pirati del Nord, ai tempi della guerra contro Nehant, scomparve nel nulla. Da allora, la leggenda voleva che apparisse nelle isole bianche per sottrarre le anime dei navigatori.

“Non fatevi prendere dal panico!” disse Occhio di gemma. “Se L'ammiraglia ruba le anime dei navigatori, come mai non vedo gente terrorizzata qui a Dente di Squalo?”

I dintorni del porto erano molto animati, come al solito, c'era un gran sciamare di gente, anche se nessuno si voleva avvicinare alla nave Ammiraglia.

“Al massimo ci renderà più veloci a trattare i nostri affari”, tagliò corto Al.

Il gruppetto lasciò il porto. Gamba di Legno stava diventando più paranoico del solito e Ti Mousse guardava ogni pirata come se si aspettasse di vedere spuntare fuori un fantasma. Il villaggio non era molto grande e ben presto raggiunsero il centro: una piazza disseminata di piloni, le quali sostenevano le assi che formavano il pavimento. Tutto intorno c'erano svariate abitazioni create con rottami. L'attenzione del gruppo venne attirata da un capannello di gente che circondava una delle case. Su di essa era recato il simbolo di uomo a testa in giù, la taverna.

“Hai visto”, disse un passante ad un altro. “Pazzesco eh?”

Al la Triste andò a vedere cosa stesse succedendo. Non poteva non cedere alla curiosità. Grazie alla sua statura, riuscì a fendere agevolmente la folla. L'interno della taverna era vuoto; c'era solo il barista che tentava di rendere “puliti” più boccali possibili. Quando si rese conto della presenza dei nuovi arrivati, si sentì sollevato.

“Ah venite dentro, accomodatevi”, disse tremando. “Sedetevi dove volete.”

Ma i pirati non lo ascoltarono, la loro attenzione era catalizzata verso una presenza in fondo alla sala. Gamba di Legno spalancò gli occhi e fece un passo indietro, come d'altronde fece Bragan. Al la Triste, seguita da Occhi di Gemma e Ti Mousse, invece si avvicinò per vedere meglio. Davanti a lei c'era una creatura che doveva essere stato un uomo, solo che ora era ridotto ad essere uno scheletro, indossava un vecchio cappello da pirata sulla testa. Le sue orbite vuote sondavano le anime dei vivi.

“Il Capitano dell'Ammiraglia immagino”, disse Al.

Lo scheletro si alzò, poggiò le mani ossute sul tavolo e le si avvicinò. Poi afferrò la mano metallica di lei e si produsse in un cortese baciamano.

“Signora, la prego di sedersi al mio tavolo e di bere con me.”

“Volentieri”, rispose avvicinando una sedia.

L'oste non osando avvicinarsi si nascose.

“Prendete pure quello che volete”, bisbigliò.

Lo scheletro prese una bottiglia e ne versò una generosa dose alla sua ospite.

“Capitano che ci fai qui? Spaventi i vivi?”

“Oh andiamo. Mi chiamo Jon e non sono qui per spaventare i vivi, sono in cerca di aiuto. Sembra però che incuta troppa paura per farmi ascoltare. “

“Aiuto per cosa?” chiese, non accorgendosi di avere un tono incuriosito.

“Aiuto per salvare un posto che tutti conoscono e di cui io sono il custode: Il Cimitero dei Pirati.”

Ogni pirata che potesse chiamarsi tale aveva sentito di quel posto, frutto di molte storie e leggende. Ogni volta che un capitano o una vecchia nave vogliono porre fine alla propria vita, si mettono in viaggio verso una certa isola, che è il cimitero. Si vocifera che molti vorrebbero mettere le mani sui tesori custoditi in tale isola ma nessuno sia riuscita a trovarla.

“Sei il guardiano? Spiegati meglio e perché me ne stai parlando?”

“Questa è una lunga storia, di cui mi piacerebbe parlartene a bordo. Sappi però che il governo di Bramamir ha deciso di agire. Non so come abbiano fatto a sapere l'esatta ubicazione del cimitero ma comunque sia ora lo sanno. Tuo padre vigila su di te, è stato lui a dirmi che ti avrei incontrato qui”, disse toccando un nervo scoperto.

“Mio padre”, disse balbettando. “È ancora vivo?”

“No mia cara, certo che no. Non volevo darti false speranze ma sappi che veglia su di te anche da morto.”

“Ma non riesco a capire, se sei il capitano dell'Ammiraglia, perché hai bisogno di me?”

“Non posso fronteggiare tutta la flotta di Bramamir, ho bisogno di te e dell'Arc-Kadia. Se accetti sarai ricompensata.”

“Ho già tutti i tesori che voglio.”

“Ti offro ben di più di qualsiasi tesoro. Che ne dici di aver l'opportunità di rivedere tuo padre?”

Al rise e poi sputò sulla propria mano per siglare l'accordo.

“Siamo d'accordo.”

Dietro di lei, la gente non poteva credere ai propri occhi: la famosa Al la Triste aveva appena fatto un accordo con il Capitano dell'Ammiraglia....

Capitolo 2 - Il Cimitero Pirata

Rapidamente L'Ammiraglia e l'Arc-Kadia lasciarono Dente di Squalo. L'equipaggio aveva avuto giusto il tempo di poter comprare quanto necessario per loro stessi e per la nave. Il cimitero, in realtà, non era molto lontano ma ciononostante nessuno riusciva a trovarlo. Grazie alla guida di Jon, il nostro gruppo poté accedere al cimitero dei pirati. Questa grotta, all'interno di un'isola più grande, era ricolma di navi affondate, navi inutilizzabili e vecchi relitti. Ce ne erano tantissime, per lo meno una trentina. Tutto era illuminato dalla luce proveniente dalle moltitudini di lanterne presenti. Questo spettacolo diede molte emozioni alla ciurma; Al la Triste per esempio era preoccupata: in questo luogo sarebbero stati come topi. L'Ammiraglia si avvicinò alla Arc-Kadia, in modo che i due capitani potessero stabilire un piano d'azione.

“Non preoccuparti, siamo in una posizione di vantaggio. Le loro navi non possono entrare più di una alla volta. Se mai dovessero arrivare, l'Ammiraglia e la Arc-Kadia sono entrambe dotate di eccezionali cannoni. Facciamo parlare la polvere, mi piacerebbe sentire di nuovo l'urlo belligerante dell'Ammiraglia.”

“Quanti pensi saranno?”

“Saranno una dozzina di quegli arroganti... Al massimo saranno una ventina.”

“Sono tantissimi.”

“Allora speriamo siano solo una decina.”

“Non so perché mi sia cacciata in questo pasticcio ma, ehi, anche per morire bisogna farlo con carattere”, disse tornando il timone. “Tutti ai posti di combattimento.”

A quel punto tutto l'equipaggio si mise ai posti di combattimento. Bragan, Mylad e Becca-tuono erano pronti a scagliare i loro fulmini per grigliare i nemici. Klemence stava regolando Ekrou ed Ica-Rusty. La squadra d'assalto era pronta; Armata era pronta ad usare i suoi nuovi “giocattoli” ed Occhio di gemma era intenta ad urlare ordini a tutti. Sull'altra nave, Jon era pronto. Unico uomo a bordo dell'Ammiraglia ma ciò nonostante la nave non era mai sembrata più viva. Una prima nave fece capolino nella grotta. L'ammiraglia si diresse verso la nave, ben più piccola, con una velocità sorprendente. Senza perdere tempo l'Ammiraglia la spezzò a metà come un panetto di burro. Immediatamente una seconda nave apparve, questa era ben più grande e virò subito a destra.

“Quella di prima era un diversivo. Questa è una nave FendiVento.”

“Farà la stessa fine di quella di prima", ed ordinò. “Fate ruggire i cannoni.”

L'Arc-Kadia si avvicinò alla nave nemica e le si posizionò alle spalle.

“Colpite i motori.”

Le armi spararono ferro e fuoco, annientando i motori della nave nemica. Senza possibilità di virare, questa non poté fare altro che schiantarsi contro gli altri relitti. Nel frattempo, l'Ammiraglia era intenta a speronare una nuova nave. Era una nave da guerra, sostanzialmente delle stesse dimensioni della Ammiraglia ma Jon, grazie alla sua abilità di manovratore riuscì nel romperle il timone e così facendo la rese innocua. In quel mentre apparve una vera minaccia. Nella grotta apparve un enorme galeone nero con un rosso vessillo recante il simbolo di Nehant. La stessa Ammiraglia si ritrovò in grandi difficoltà quando la nave nemica lo speronò. Briscar che stava analizzando la battaglia, corse da Al.

“Capitano! Quella è la Dama Nera.”

“Cosa?”

Afferrò il cannocchiale che il pirata aveva in mano.

“Ottimo. Questa volta sarai tu a dover darti alla fuga.”

La nave nera recava ancora i segni del loro ultimo incontro, Palegeouse non si era nemmeno preso la briga di far riparare la sua nave. Al pensò che tale condotta fosse vergognosa per un pirata. Guidò la sua nave in modo da portare la Dama Nera a distanza di cannone. Questa volta sarebbe stata Al a guidare l'assalto.

“All'arrembaggio”, urlò. “Armata vai con le bombe.”

La giovane donna, nella sua lucida follia, lanciò le bombe di sua creazione contro la nave nemica. Il danno fu considerevole. L'equipaggio della Dama Nera era ora diviso in due gruppi: quelli che difendevano la nave e chi tentava di abbordare l'Arc-Kadia. Klemence mandò Ekrou ed Ica-Rusty a difendere babordo e tribordo, mentre lei stessa si occupava del ponte. Nessun avversario avrebbe potuto passare inosservato a questi tre. La stessa Al prese parte ai combattimenti; prima affettò diversi nemici e poi abbordò la Dama Nera, là incontrò il Capitano della nave nemica, Palpegeouse, che le veniva incontro per affrontarla. Palpegeouse era un uomo formidabile: dall'aspetto massiccio, con lunghi e sporchi capelli. La sua barba nera era intrisa d'olio e il suo sguardo era quello di un pazzo.

“Ahh la figlia del Gigante, diverrai un mio trofeo per tutte le notti che verranno.”

“Preferisco la morte”, rispose Al dando inizio alle ostilità.

Al combatté con due pistolame sul braccio meccanico ma ciononostante non riusciva ad avere la meglio; Paplegeouse era un temibile avversario che aveva sconfitto frotte di pirati nella sua vita. Non molto lontano Gamba di Legno stava menando gran colpi di sciabola quando il suo braccio decise di muoversi come avesse vita propria. Come mosso da una forza invisibile, il braccio guidò Gamba di Legno e gli fece afferrare Al per i capelli. La giovane donna ne rimase sorpresa ed in quel mentre venne ferita da un colpo di spada. Immediatamente notò che il suo avversario era come cambiato, una lugubre aura nera lo avvolgeva.

“Molto bene”, disse una voce distorta. “Tu non capisci che non sono più Palpegeouse, il celebre pirata, bensì sono Morte-geouse, servitore di Nehant.”

Le parole di festeggiamento del demone non durarono a lungo. Jon si era lanciato dalla Ammiraglia e si buttò contro il demone. Approfittando della sorpresa, Al usò il massimo della forza che il suo braccio meccanico le concedeva e conficcò la spada nella testa di Morte-geouse.

“Mangiala”, disse conficcando la spada con tutta la forza che aveva.

La testa del pirata esplose come una zucca. Durante il combattimento una ragazza era entrata nella stiva approfittando del caos creatosi. Quello che vide la fece rabbrividire. C'erano cadaveri ovunque, sia di pirati che di civili. Era troppo per lei, abbandonò la posizione e si diede alla fuga.

“TORNIAMO A BORDO DELL'ARC-KADIA. TUTTI A BORDO”, urlò Armata.

Al la Triste montò a bordo solo dopo che l'ultimo dei suoi avesse abbandonato la nave nemica. L'Arc-Kadia si allontanò mentre la Dama Nera e l'Ammiraglia esplodevano in un turbinio di fiamme verdi e in un vortice di fumo nero. L'equipaggio era messo maluccio ma avevano appena vinto una battaglia di cui si sarebbe parlato per anni ed anni.

Giudizio e Pena


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Capitolo 1 - Giudizio

Come sono giunto qui? A volte mi chiedo perché il mio destino sia così orribile. Sembra che la morte sia la mia sorte, una compagna da cui evitare il dolce bacio. Commisi il mio primo omicidio alla nascita, prendendo la vita di mia madre. Il mio primo grido avvenne proprio nel mentre in cui lei moriva. Quando avevo sette anni, fu mio fratello a morire a causa mia. Scappai di casa, lasciando mio padre solo e rabbioso, ormai senza famiglia. Lungo la mia strada incontrai un amorevole e folle gruppo di persone, mi piacciono, devo dire che sto bene con un'arma in mano. Hanno deposto la loro fiducia in me ma non ne sono stato degno, sono stato sedotto dall'oscurità e manipolato dalle mie stesse paure ed incertezze. Ho servito la morte meglio di quanto avessi mai fatto, nella mia cecità ho ucciso persone che nemmeno conoscevo. Infine il buio che mi avviluppava se ne è andato, lasciandomi ad un fato ben peggiore della morte stessa. Ma sono sopravvissuto... ancora una volta... Il mio nome è Telendar, attendo che finalmente la sorte possa redimere me ed i peccati da me commessi. Attendo che il mio tempo giunga al termine in una cella di Noz'Dingard. Non c'è dubbio, la Draconia metterà fine alla mia follia.

La grande porta di legno che conduceva alle celle cigolò quando la guardia la aprì; un fascio di luce illuminò l'ex capo degli Zil. Il primo ad entrare fu Zahal, aveva la spada sguainata ed un volto cinereo, ben diverso dalla sua solita espressione gioviale. Dragone aveva insistito perché il Cavaliere Drago fosse presente durante l'interrogatorio. Dietro di lui c'era la Phytie. La giovane donna non portava il velo, canonico del suo ordine. Il volto di lei era impassibile ma i suoi occhi mostravano tutta la riluttanza che provava. Il carceriere aprì la porta sbarrata della cella, il cui abitante era il più importante dell'intera prigione. Telendar voltò loro le spalle, non aveva nulla da dire. Questo gesto venne male accettato da Zahal, il quale pur aspettandoselo non poté che infuriarsi. Il Cavaliere Drago diede un feroce calcio al prigioniero e una volta che questo era caduto a terra, lo immobilizzò con il piede e sguainò la spada.

“Ne ho abbastanza di te. Dammi solo una buona ragione per tagliarti la gola e lo farò.”

Telendar rimase sorpreso da tanto odio ma subito si ricompose.

“Cosa aspetti allora, pietà!!” disse alzando le braccia in segno di resa.

La Phytie mise un braccio attorno al cavaliere.

“Capisco le tue emozioni Zahal, ma la morte sarebbe una sorte troppo benevola e non siamo stati inviati per questo.”

Guardando i grandi occhi dolci e il viso delicato dell'Oracolo della Draconia, Zahal si calmò e mollò la presa, strofinandosi il petto per il dolore che provava dentro di se.

“Perché siete qui allora?” chiese.

“Ti interrogheremo su quanto da te commesso”, rispose La Phytie. “Ovviamente non lo faremo con le parole, tutto ciò che voglio sapere è già scritto. Ora bisogna solo andare oltre.”

Cosa intendeva con andare oltre? Telendar lo capì immediatamente.

La Phythie prese il viso di lui tra le sue mani e lo guardò dritto negli occhi. La volontà di Telendar venne meno. L'oracolo si mise a cercare qualcosa di specifico nella mente di lui, ma come temeva, quello che le interessava era stato nascosto. L'aspetto della Phytie cambiò, i suoi lineamenti divennero più serpenteschi, i suoi occhi divennero come quelli di una serpe. Il giovane si spaventò e scivolò in uno stato catatonico. Zahal osservò tutto con attenzione, pronto ad attaccare al primo segno di pericolo.

“Non è stato facile ma ora dovrei avere una visione completa”, disse La Phytie con voce squillante. “Finalmente potremo sapere come sono andate esattamente le cose.”

Ora La Phythie poteva vedere tutto della vita di Telendar, dal momento più felice a quello più triste. Si concentrò sui ricordi dell'anno precedente, quando il giovane era sotto il controllo del Nehantista. Anche i ricordi della sua sottomissione erano presenti e facilmente leggibili. Telendar uccise molti avversari senza essere in grado di poter agire di conto proprio. Ma la cose più importanti furono le immagini ed i suoni di coloro con cui aveva parlato. La Phytie ci impiegò diverso tempo per ricomporre i ricordi ma alla fine le fu chiaro che era il Nehantista ad aver mosso tutti i fili.

“Quindi dietro agli omicidi c'è lo stesso uomo che ha influenzato il Consiglio, Dimizar. Il presente non finirà come il passato, dobbiamo cambiarlo.”

La Phythie smise di sondare il giocane quando avvertì una presenza nella cella che non era di Telendar o di Zahal. Non sapeva il perché ma avvertì come una scossa.

“Stai bene?” le chiese Zahal.

La presenza svanì e la Phythie si trovò ad essere inquieta.

“Ho visto quello che volevo, ora il suo futuro è nelle mani del Profeta.”

Telendar si rannicchiò in un angolo, con il viso solcato dalle lacrime. La mattina seguente, Noz'Dingard era in fermento. Anche se quanto avvenuto il giorno prima era stato a porte chiuse, una parte della popolazione ne era a conoscenza ed ora era riunita fuori dal palazzo in cui Telendar aspettava di essere giudicato. Per le persone comuni, Telendar era colpevole ma il caso era ben più complicato di così. Il corpo di guardia era stato schierato al completo ed erano presenti perfino le stregaspada. La popolazione, solitamente disciplinata, intonava frasi lugubri come “morte all'assassino”, “impiccatelo” o “giustizia deve essere fatta”. All'interno del palazzo, il futuro del giovane sarebbe passato tra le mani di un folto numero di persone importanti, chiamate ad assistere Kounok nel promulgare la sentenza. Anryena era presente come Capo del Compendium, dell'Accademia di Magia e come madre del defunto Profeta. C'erano anche il Maestro Mago Marzhin, il figlio Pilkim, Aerouant, Marlok, Zahal, Valentin, Alishk, Eglantyne, Moira ed infine La Phythie. La maggior parte di queste persone aveva vissuto in prima persona gli eventi che portarono all'assassinio del Profeta. Ognuno di loro infatti testimoniò quanto aveva vissuto in questa terribile e grande vicenda. Un'ora più tardi, la Phythie intervenne facendo l'arringa finale. Si mise al centro della stanza, in modo che tutti potessero vederla.

“Il nostro nemico, nel sua arroganza, si crede al sicuro nel suo Maniero. Ha fatto però il grave errore di consegnarci qualcuno che ne conosce l'ubicazione e che inoltre ha lavorato per suo conto. Sappiamo tutti ciò che è accaduto al Profeta ma è veramente Telendar il responsabile? Come se un membro della gilda dei Guerrieri di Zil fosse divenuto da un giorno all'altro, nostro nemico. Il vero nemico si chiama Dimizar. Non lasciamoci accecare dall'odio verso colui che era solo uno strumento nella mani del Nehantista.”

Aerouant, tra il pubblico, era diviso tra differenti sentimenti. Davanti a se aveva l'assassino di suo padre ma era lui che avrebbe dovuto essere punito.

Anryena percepì le cose in maniera corretta, avrebbe avuto pace solo con la cattura di Dimizar.

Il trambusto finì in fretta. Tutti era d'accordo. La morte del Profeta era stata opera del Nehantista. Kounok prese il posto precedentemente occupato dalla Phythie e si mise vicino a Telendar, il quale era inginocchiato a terra.

“Tu non sei responsabile della morte del Profeta. Tuttavia secondo le leggi del Consiglio delle Gilde avevi il dovere di proteggere i membri della tua gilda dal controllo del Nehantista.”

Questa regola faceva sì parte del codice del consiglio delle gilde ma era in disuso, dal momento che non si era vista magia nehantica negli ultimi decenni.

“Verrai giudicato dal Consiglio e quindi la tua condanna servirà a riparare agli errori da te commessi. Sotto la nostra guida e quella del Consiglio ci aiuterai a dare la caccia al Nehantista. Questa dovrà essere la tua unica ragione di vita. Una volta che ciò sarà compiuto, sarai libero.”

La parola magica! Telendar aveva un obiettivo davanti a se, seppur difficile. La misericordia di cui aveva appena beneficiato a Noz'Dingard lo avrebbe aiutato ad andare avanti.

“Verrai condotto in cella mentre il Compendium stabilisce la sentenza.”

Kounok andò a sedersi al suo posto.

“Nel nome di Dragone, dichiaro questo caso chiuso. Ora guardie, riportatelo in cella.”

Zahal, Moira ed Eglantyne condussero il prigioniero in prigione. Nella grande sala, mentre Kounok parlava con il Maestro Mago Marzhin, apparve in forma umana Dragone. Il maestro-mago si inginocchiò subito in segno di rispetto.

“Maestro-Mago, per favore alzati.”

“Vuoi che me ne vada?” chiese Marzhin.

“No, è a te che devo parlare. Ho ricevuto una grande notizia, è tornata la spedizione con il Mangiapietra.”

“Ottimo”, tagliò corto Kounok.

“Sì, bisognerà mandare degli uomini in quel luogo.”

“E così sarà fatto.”

“Per quanto riguarda quanto detto dal Signor Galmara. Un passaggio è stato aperto tra il nostro mondo e quello dei morti. Arkalon d'Erpienne, caduto durante la guerra con Xzia, è tornato da noi. Avrei preferito che fossimo informati prima ma poco importa, alla fine è stato dato il consenso dall'Imperatore. Il ritorno di Arkalon è fondamentale. Accelererà il futuro. Ora coesistono 4 Cavalieri Drago, ci guideranno assieme agli eserciti della Draconia. Arkalon deve tornare qui e svolgere il ruolo che gli è consono. Dobbiamo essere pronti, Profeta, tutto ciò avverrà sarà nel futuro prossimo.”

Poi Dragone si rivolse a Marzhin.

“Ho una richiesta molto importante Maestro-mago, vorrei addestrare tuo figlio.”

“Siamo al tuo servizio Drag...”

Non fece in tempo a finire la frase, che Dragone gli toccò la spalla, scomparendo assieme nel nulla.

Capitolo 2 - Pena

La ragazzina attendeva da ore di fronte a quell'enorme pietra blu. Si stava annoiando tantissimo e cercava di passare il tempo come poteva. Fortunatamente per lei, il giardino ridosso al palazzo era splendido in quella stagione. Era un luogo di pace e serenità, ricolmo di migliaia di specie diverse di fiori. La ragazzina, che era stufa di aspettare, si mise a girovagare per il giardino. Lei proveniva dalla Draconia centrale ed aveva subito approfittato della possibilità di venire qui; si meravigliava delle gloriose statue degli eroi del passato ed era attratta dalla grande e splendida vasca in cui nuotavano in pace diversi pesci esotici. Si sedette a bordo vasca, piena di sogni e di speranze. Perché le era stato chiesto di venire in quel posto? Lei non lo sapeva ma le importava poco saperlo. Un rumore la destò dai suoi pensieri, una piccola creatura apparve da dietro un cespuglio.

“Un drago”, esclamò. ”Che bello.”

Tutte le caratteristiche dei draghi enunciate nelle leggende erano di fronte a lei: pelle squamosa, sguardo da serpente, un paio di ali ed occhi a fessura. Il drago, poco più grande di un cucciolo si avvicinò ad Ardrakar senza paura. Si strofinò contro di lei, facendosi accarezzare con gioia.

“Sei bellissimo, io sono Ardrakar e tu?”

“Si chiama Kounok”, disse una persona che si stava avvicinando.

All'ingresso del giardino apparvero due persone. Uno di loro sembrava un mago: aveva occhiali piccoli, lunghi capelli grigio-blu e anche il suo semplice vestito era magnifico per via di una spalla a forma di drago di cristallo. La seconda persona invece era più grande e massiccio. Sicuramente addestrato alla guerra secondo le arti di spada. Aveva lunghi capelli bianchi nonostante fosse ancora giovane.

“Lei chi è?” disse con un po' di delusione. “Lei sembra infelice.”

Il Profeta non stava però ascoltando. Era interessato a come Ardrakar e Kounok avessero immediatamente legato.

“Non ci sono più dubbi amico mio”, disse.

Il mago si accovacciò di fronte ad Ardrakar e Kounok.

“Vedo che hai fatto amicizia con Kounok. Io sono il Profeta. Lo sai chi è il Profeta?”

La ragazza annuì timidamente.

“Questo è il Cavaliere Drago Arkalon, ha bisogno di aiuto ed in cambio ti addestrerà.”

Si alzò con agilità tenendo in braccio il cucciolo.

“Potrei anche avere spada ed armatura? O è troppo?” chiese guardando Arkalon. Il Cavaliere Drago mise una mano sulla testa della ragazzina.

“Se ne sarai degna sì. Prima però avrai bisogno di una casa e di una buona istruzione.”

Ardrakar si svegliò con una strana sensazione. Perché aveva sognato questo momento della sua precedente vita? I suoi sentimenti l'avevano influenzata minimamente durante il suo passaggio al Nehantista. Non era tristezza ciò che provava, era più simile ad una brutta sensazione come il disagio. Sentì una vaga presenza, qualcosa allo stesso tempo di molto familiare e molto lontano. Quella mattina si era distanziata dagli altri per capire l'origine di tali sentimenti. Tali sensazioni umane non rappresentavano altro che una debolezza. Nel primo pomeriggio lasciò il Maniero di Zejabel senza farne parola con alcuno. Cominciò a camminare senza apparente direzione. Il tempo passava e lei era già entrata nei confini della Draconia. E i suoi sentimenti dicevano... La notte era inoltrata quando arrivò in luogo da lei ben conosciuto.

“La tomba di Exhien... Ho camminato fino a qui... per quanto tempo?”

Una leggera nebbia rendeva il luogo ancora più misterioso. La tomba del primo Cavaliere Drago di Noz'Dingard era un luogo sacro per l'ordine di cui lei una volta faceva parte. Avanzò fino a raggiungere un monumento dedicato agli eroi del passato. Una statua di cristallo blu era stata costruita su una collinetta, al centro della quale si trovava il corpo di Exhien. Lei rimase pietrificata mentre i suoi ricordi riprendevano vita in lei, ricordandole chi fosse stata e da dove provenisse.

“Onore!”

La parola risuonò come un eco nella sua testa. Si voltò e si trovò davanti ad una persona che avrebbe dovuto giacere in quel luogo. Era Arkalon d'Arpienne, indossava la sua armatura da Cavaliere Drago ed aveva un viso bianco come un fantasma. Ardrakar rimase di sasso. Arkalon stringeva un'arma ed era fermo, immobile. Lei riconobbe subito la spada di lui, Azzurro, la spada che una volta usava.

“Devozione! Fedeltà! Pragmatismo! Ricordi ancora i tuoi giuramenti Ardrakar?”

Il tono con cui aveva parlato Arkalon non lasciava alcun dubbio su quanto fosse infuriato.

“Come sei arrivata qui? Tu che una volta eri il mio orgoglio e la mia gioia.”

Poi si prese una breve pausa e riprese.

“Sono tornato dalla morte per te, per cambiare il tuo destino.”

Ardrakar non rispose. Lei che conviveva con demoni e gli orrori del Nehantista, aveva innanzi a se l'unica persona che le facesse provare paura. Conosceva bene il suo antico maestro, lo aveva visto combattere gli eserciti di Xzia. Il fato aveva voluto che riposasse proprio in quel luogo, tra i cavaliere drago. Ma come aveva fatto a scappare alla morte? Istintivamente portò entrambe la mani alla spada, la Chimera Nera. Arkalon vide immediatamente il legame tra quella lama e Nehant. Lei prese coraggio e finalmente parlò.

“Tu non sai alcunché su ciò che ho vissuto Arkalon.”

“So che eri debole e che hai tentato di controllare Chimera ma il suo potere ti ha fatto impazzire.”

“Tu sbagli, quello fu il momento in cui mi allontanai dal sentiero che era stato tracciato ma non ho alcun rimpianto. Guardami, oggi sono molto più potente di te.”

“Ti vedo ma non vedo altro che un imitazione”, esclamò il Cavaliere Drago con rabbia.

Arkalon piantò con rabbia Azzurro nel terreno e in quel mentre la vera Chimera apparve tra le sue mani. Ardrakar fu assalita dal terrore di trovarsi ancora una volta di fronte a quella lama. Mentre diversi sentimenti riaffioravano in lei, si trovò ad affrontare un paradosso. Arkalon la avrebbe attaccata per castigare quanto da lei commesso? Doveva essere lei a finire la discussione? In ogni caso, pensò, dovrò affrontare Arkalon. La battaglia fu combattuta a colpo di Chimera. Nella lotta non era più i due compagni d'armi, il maestro e l'allieva. Erano una rappresentazione della lotta tra Nehant e Dragone. La violenza dei colpi menati risuonava come lacrime nella notte. Ardrakar fece appello ad i suoi poteri di Guemelite di Nehant, mentre Arkalon fece utilizzo nel forte legame che aveva con Dragone. Il vecchio maestro era colpito dall'enorme abilità di Ardrakar; da un lato era orgoglioso di vedere quali fossero le sue capacità, dall'altro era triste nel vedere cosa le era accaduto. Purtroppo per Ardrakar, la vera Chimera era di gran lunga superiore al suo alter ego nehantico. Arkalon disarmò l'avversario e la colpì, facendola cadere a terra senza sensi. Chimera, soddisfatta dalla piega degli eventi, tornò da Kounok. Arkalon poi si inginocchiò davanti ad Ardrakar e con un gesto affettuoso le accarezzò la guancia.

“Ho sempre pensato a te come mia figlia. Come padre non posso lasciarti nelle mani del Nehantista.”

Tirò fuori da una borsa di velluto una pietra blu macchiata di nero e la mise tra le mani di Ardrakar.

“Dragone mi ha chiesto di darti questo. Cambierà la copia di Chimera in Azzurro. Ora toccherà a te dimostrare di essere forte, bisogna prima morire per poter rinascere.”

Arkalon le diede un bacio sulla guancia e poi se ne andò. Lei si svegliò tempo dopo con un forte mal di testa. Si sedette e notò che la pietra che aveva in mano emanava una tenue calore. Era la sua vecchia pietra cuore, che una volta era connessa a Dragone, prima che ottenesse una nuova pietra dal Nehantista. A quel punto qualcosa si ruppe in lei. Lacrime nere sgorgarono dai suoi occhi e si mise in posizione fetale. Azzurro brillava, come in attesa di essere chiamata da Ardrakar. La tentazione era forte, si ricordava dei tempi che aveva passato con Arkalon, l'uomo che le aveva insegnato tutto prima di essere ucciso. Poteva ancora tornare indietro e tornare ad essere un Cavaliere Drago della Draconia. Si alzò lentamente e nonostante i suoi sentimenti confusi tentò di chiamare Chimera Nera ma essa non apparve. Un altro motivo per chiamare Azzurro. Strinse l'impugnatura della spada e la sollevò da terra. Era leggera, molto più della Chimera Nehantica, la cui magia era aggressiva. Era un piacere maneggiare Azzurro, era leggera e sottile. Rimase ferma a pensare al suo futuro ed alla sua condizione. Doveva continuare a seguire Nehant di cui era stata amante ma che ora era interessato ad Ombrosa. In questo sacro luogo aveva indagato abbastanza su di se e sul suo cuore.


Dissidenza


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Capitolo 1 - Il legame invisibile

“Fatto! Il germe del dubbio crescerà lentamente ma vedrai che diverrà uno dei nostri più importanti alleati. Ora figlio mio, tocca a te recitare la tua parte e proteggerlo.”

Anryena guardava Exhien, il suo figlio più giovane, intento a giocare nei giardini di corte. Kounok era scosso dalle parole di sua madre ma in cuor suo, dubitava.

“Madre, percepisco di nuovo il legame. Ti lascio il comando in mia assenza.”

“Son abituata a ciò, stai tranquillo, la Draconia sarà in buone mani” rispose Anryena alzandosi dalla panchina su cui era seduta.

“Non ne dubito ma da quando son divenuto il Profeta, non avevo mai lasciato Noz'Dingard” disse lasciando trapelare un pizzico di senso di colpa

“Ruolo che adempi in maniera esemplare. So che pensi di non essere all'altezza di tuo fratello ma voi due siete diversi ma eccezionali entrambi.”

Per rispondere Kounok si alzò a sua volta e baciò Anryena sulla guancia.

“Spero di non fare tardi”

Anryena guardò Kounok andare via, come una madre vede il suo piccolo.

“Ed ecco un altro dei miei figli che parte, padre. I nostri avversari, aiutati dal Corruttore, sono pericolosi. Non sopporterei il dolore di perdere un altro figlio” disse a voce alta

“Disfattista. Sarà il Nehantista ad incorrere nella furia di Chimera e del Profeta, non il contrario” risuonò la voce di Dragone.

“Meglio essere disfattisti ed essere piacevolmente sorpresi che essere troppo fiduciosi. Sai dov'è lei?”

“Sarà dove mi aspetto che sia . Kounok ce la farà, vedrai”

Anryena era inquieta.

“Vieni figlia mia” disse tendendo la mano ad Exhien “Non dimenticare mai che io sono con lui”


Ogni passo era un pensiero, un peso nella grande bilancia che avrebbe determinato la sua fede. Valutava, nella mente, i pro ed i contro di ciascuna decisione. Aveva lasciato il suo Azzurro, prima di pentirsene e riandarlo a cercare.

La pietra cuore che aveva innanzi indicava una direzione mentre l'altra, quella datale da Arkalon, indicava un altra via, verso Dragone. Che fare?

Che crudele dilemma. Questo dilemma la tormentava ma ciononostante, senza rendersene conto, si stava dirigendo verso una direzione, verso Nehant. Nehant era nella sua prigione di cristallo e la sua magia indebolita ma colui che era appena giunto tra le fila, il suo antico e potente luogotenente Amidaraxar, la stava attirando verso se.


Il sole era celato, dietro la linea dell'orizzonte. Kounok decise che era giunto il momento di riposare. Accese un fuoco da campo mentre il suo cuore batteva lontano.

Vide apparire la nebbia dei Confini, la quale celava la prigione di Nehant. Un pensiero lo sorprese:” Quando la Draconia sarà libera da quella piaga purulenta?” Per il Profeta, la prigione di Nehant, era come una macchia d'inchiostro su una pergamena intonsa.

Il suo viaggio alla ricerca di Ardrakar sarebbe servito ad estirpare Nehant? Il giorno successivo avrebbe incontrato colei per cui stava rischiando tanto. Rimembrò di quando era un ragazzo, i duri addestramenti e la speranza, un giorno di prendere il posto di Arkalon. Il legame si fece più forte.

Rimembrava ancora quando in forma di dragone, era libero di svolazzare dove gli pareva e di giocare con la sua compagna di avventure. Non aveva mai capito perché si fosse creato un legame tra di loro, in quel momento. Era un amore inespresso? O era stata l'intercessione di Dragone a crearlo?


Nel mezzo della nebbia dei Confini, la prigione di Nehant era animata come non mai, dopo la fine della guerra. Il nehantista diligentemente preparava la liberazione del suo maestro.

La magia di incarcerazione era infrangibile, almeno fin quando Amidaraxar non avesse scoperto la ragione della potente magia di Eredan. Ciononostante Nehant poté proiettare un immagine di se, fuori dalla pietra in cui era rinchiuso.

Degli schiavi avevano reso più confortevole il luogo, erigendo un trono su cui ora sedeva l'immagine di Nehant; Ombrosa vigilava attenta sullo stato dei lavori e sul fatto che nessuno venisse a conoscenza di quanto stesse avvenendo.


Nehant sul suo trono, era furioso. “Così lei è dubbiosa. Come può resistere alla mia magia?”

Amidaraxar, in ginocchio e con lo sguardo a terra, rispose “Rinchiuso nella prigione, la tua magia è più debole oh Maestro, lascia fare a me”

Non si poteva vedere il volto di Nehant, occultato da un cappuccio ma non c'era dubbio che stesse riflettendo sul da farsi. Ombrosa aveva preso il posto di Ardrakar al fianco di Nehant, per ovvie ragioni: la sua antica compagna era un incredibile combattente. Non poteva però lasciare che Ardrakar irrobustisse le fila di dragone.

La decisione da prendere era radicale.

“Ci sbarazzeremo di lei”

Amidaraxar aveva un idea di come svolgere il compito e pertanto chiese un umano, lì presente, di accompagnarlo fuori dalla nebbia dei Confini. La notte stava scendendo velocemente.

Il nehantista si inginocchiò innanzi all'umano, soggiogato dai suoi poteri, brandendo un libro. Disegnò antichi riti magici. Un alone di luce vermiglia comparve attorno all'umano, il quale cominciò a piangere di dolore.

Il suo corpo stava mutando, diveniva enorme e per nulla umano.

“Chi ha invocato Fornace?”

“Ogni volta dici la stessa frase?” chiese ironicamente

“Tu?”

Fornace fece due passi indietro, vedendo chi fosse l'invocatore.

“Sono ai tuoi ordini, Maestro” rispose riprendendosi.

“Ignorerò il fatto che tu non abbia riconosciuto subito il tuo antico maestro. Ora però ho bisogno dei tuoi seguaci”

Fornace annuì e poggiò una mano a terra. Il terreno eruppe per il calore, infrangendosi e squagliandosi. Apparvero una dozzina di piccoli demoni, simili a Fornace. Si misero in fila.

“Eccoci Maestro, ai tuoi ordini”

“Attraversate montagne e pianure. Portatemi Ardrakar.”

Capitolo 2 - Strappo

Finalmente Ardrakar era riuscita ad addormentarsi, vinta dalla stanchezza. Anche in sogno, però, la sua vecchia vita faceva capolino.

La guerra infuriava da diversi mesi. Le forze di Nehant guadagnavano velocemente terreno e i 7 Regni si stavano riempiendo di tombe, mentre da ovest incombeva la minaccia di popoli barbari. Ardrakar era stata incaricata di fronteggiare tali barbari, i quali avevano la nomea di bere sangue umano. Le sue truppe erano composte sia da veterani della guerra contro Xzia che da giovani della sua stessa età.

“Quei vigliacchi. Dobbiamo essere forti per Dragone” Chimera parlava al Cavaliere Drago, che era però debole, da giorni dormiva male e si sentiva sfiancata.

“Portami a combattere Ardrakar, non ti deluderò”

Lei guidò i suoi uomini ai confini della Draconia per fronteggiare i barbari. La battaglia infuriò selvaggia ma alla fine, con il costo di molte vite, la vittoria arrise alla Draconia.

Un rumore infranse il sogno, o per meglio dire l'incubo di Ardrakar. La sua vista da demone le permise di vedere chiaramente, anche se non c'era la minima luce. Vide il momento in cui venne attaccata dai Tirapiedi Demoniaci. Cercò di afferrare Azzurro ma venne sopraffatta e sconfitta.


Kounok si svegliò di soprassalto, come se qualcuno avesse urlato nelle sue orecchie. Si passò inutilmente le mani sulla testa, cercando di attutire il rumore. Il legame era vicino, ne era sicuro ma era in pericolo. Doveva fare in fretta.

Attraversò la pianura veloce come il vento, individuando istintivamente la direzione giusta. Per terra notò diverse impronte di esseri dotati di artigli.

“Azzurro”

La spada giaceva a terra, ricoperta di una sostanza rossa viscosa. In quel mentre una creatura demoniaca, attardatasi, cercò di svignarsela ma Kounok fu più veloce, sguainò Chimera e con essa perforò il nemico, uccidendolo.

Poi rivolse nuovamente la sua attenzione ad Azzurro. Afferrò la spada e ciò rafforzò il legame, facendogli capire che Ardrakar fosse in pericolo.

Kounok aveva ragione perché in quel mentre, i Tirapiedi Demoniaci erano arrivati a destinazione con il loro prezioso carico. La portarono non lontano dal corpo umano che Fornace possedeva.

Ardrakar aveva male dappertutto ma ciononostante i Tirapiedi la scagliarono contro delle rocce, prima di sistemarsi tutti attorno a lei. Vicino a lei, Amidaraxar camminava in cerchio come un avvoltoio.

“Cara Ardrakar, sei stata portata molto sotto terra”

“Ami...daraxar? Cos'è questa sceneggiata?”

“Sceneggiata? Questa non è una sceneggiata, questa è la fine del Cavaliere di Nehant. Dopo tutto questo tempo hai dimostrato di essere solo un fallimento” rispose deliziato “ma prima, voglio recuperare ciò che è celato dentro di te. Oh, sarà molto doloroso e morirai”

“Dimizar non lo permetterà” replicò

“Dimi...ma per piacere. Quello sciocco serve il padrone quanto me, se non vuole incorrere nell'ira del Maestro farà come gli verrà detto di fare. Ricordo ancora quando feci parte della guerra che scosse il mondo. Sacrificai il mio miglior elemento per fare di te il miglior servo di Nehant. E invece guardati, sei patetica.”

Amidaraxar si allontanò da lei e guardò i Tirapiedi.

“Tenetela per gambe e braccia” ordinò sguainando una lama di cristallo.

Fece poi un taglio nel braccio di lei, irrorando la lama di sangue. I Tirapiedi andarono in trance e cominciarono all'unisono a cantare antichi rituali, in una lingua che pochi osano parlare a Guem. Amidaraxar posò la mano libera sul corpo di lei, mormorando altri incantesimi. Poi poggiò la pianta della mano sul ventre di Ardrakar, la quale urlò sconvolta dal dolore. La sua armatura e i suoi vestiti scomparvero, lasciando esposta solo la pelle nuda. Apparve magicamente il simbolo di Nehant. Il dolore era incommensurabile e pertanto svenne.

“Ho reciso le catene che ti imprigionavano demone, ora sei libera di tornare da me”

Dal simbolo, apparso sul ventre di Ardrakar, apparve una mano e poi un altra. Poi in un colpo solo, dal corpo di lei sgusciò l'intero corpo di un demone. Lucida pelle, capelli infuocati, corna sopra un viso inespressivo e senza bocca. Le forme del demone facevano intuire fosse femmina e delle stesse dimensioni di Ardrakar.

Felice di rivedere Amidaraxar, si inchinò.

“Altri tempi, altro nome. Ti chiamerai Strappo”

Il demone evocò dal nulla una falce dalla forma particolare.

“Sì, ti permetto di finirla, anche perché ormai non ci serve più”


Kounok sopraggiunse, proprio nel mentre il demone brandendo la sua arma stava per recidere la gola di Ardrakar. Il Cavaliere Drago balzò per parare il colpo del demone.

L'impatto fu tremendo ed entrambi capitolarono a terra. Entrambi però, si rialzarono immediatamente. Kounok evocò Chimera facendo scappare i Tirapiedi.

Il Profeta guardò i suoi nemici, c'era il demone certo ma anche un nehantista sconosciuto. Inoltre la sua priorità non era fronteggiarli ma mettere al sicuro Ardrakar.

Lentamente si mise tra Ardrakar ed il demone.

Amidaraxar capì subito la gravità di quanto accaduto. Sapeva che un nuovo Profeta era stato nominato e la descrizione collimava con colui che aveva innanzi. Conosceva l'antico Profeta, ci aveva combattuto contro, ai tempi della guerra e conosceva i suoi poteri. Questo era differente, sembrava un combattente agguerrito ed imbracciava Chimera. Ciò lo rendeva indubbiamente pericoloso.

Così si limitò a saggiarne le forze, scagliando qualche maleficio.

Chimera vibrava, per la prima volta stava parlando a Kounok.

“Vendicati Kounok. Hanno ucciso tuo fratello e sei giunto appena in tempo per salvare un Cavaliere Drago. Colpisci!”

Il Profeta si concentrò e facendo appello al legame con Dragone, attaccò Strappo. Il demone però, grazie ad un agilità incredibile, evitò il colpo. Ogni demone ha le sue peculiarità, questo diventava più forte grazie all'aiuto dei Tirapiedi. Infatti aprì un portale demoniaco facendone uscire a frotte .

La situazione stava diventando rovente per Kounok, soverchiato in numero. Certo, con un paio di colpi, riusciva ad annientare i Tirapiedi ma erano troppi e fungevano da diversivo. In quel mentre Strappo attaccò e andò a bersaglio. Il colpo del demone si infranse però contro l'armatura del Profeta.

“Ora o mai più” pensò arretrando. Il Profeta piantò Chimera nel terreno. Una luce blu, illuminò tutta l'area. In quel mentre Kounok sollevò Ardrakar sulle spalle.

“Ferma Strappo” Amidaraxar percepì la magia di Dragone e fermò Strappo, lasciando così scomparire nel nulla il Profeta ed Ardrakar.

Aveva fatto bene a fermare il demone, perché quando la spada scomparve, deflagrò una potente esplosione.

“Tutto ciò è molto interessante. Il Profeta ci causerà sicuramente problemi. Dovremo muoverci a liberare il Maestro. Quanto a te demone, hai un messaggio da consegnare a Dimizar”

Capitolo 3 - Nuove rivelazioni

Da molti giorni ormai, la pioggia batteva sul Maniero di Zejabel. Dimizar sapeva che Ardrakar se ne era andata da giorni, senza dire niente a nessuno. La rabbia aveva lasciato ormai il posto alla riflessione.

Aveva dato ordini precisi, non avrebbe dovuto essere disturbato in alcun caso.

“Che stai facendo Dimizar?” chiese la voce dallo specchio

Non rispose

“Che stai facendo?” chiese nuovamente con più vigore

“Sto cercando qualcosa ma grazie per avermelo chiesto” disse continuando a leggere una pagina specifica del giornale. Finalmente trovò quanto cercato. D'un tratto decise di attraversare la caverna e guardare il proprio riflesso distorto. Respirò più volte e mormorò molte volte una frase di un'antica lingua.

“Che stai facendo?”

L'immagine distorta scomparve lasciando il posto ad un'altra immagine. L'incantesimo che aveva lanciato serviva per mostrare dove fossero le altre truppe nehantiste. Lo aveva appreso dagli incantesimi di Zejabel, il quale era molto paranoico e lo usava per sapere cosa stessero facendo gli altri nehantisti.

“Perché non ci ho pensato subito”

Ora Dimizar poteva vedere chiaramente Ardrakar. La visione mostrava ben più di quanto avesse immaginato, c'era anche Amidaraxar. Con sua sorpresa, si accorse, che si trovavano non lontano dalla prigione di Nehant. Così spiò il luogotenente di Nehant per ore, fin quando una frase in particolare non lo colpì più delle altre.

“Dimi...ma per piacere. Quello sciocco serve il padrone quanto me, se non vuole incorrere nell'ira del Maestro farà come gli verrà detto di fare. Ricordo ancora quando feci parte della guerra che scosse il mondo. Sacrificai il mio miglior elemento per fare di te il miglior servo di Nehant. E invece guardati, sei patetica.”

La rabbia eruppe in lui.

“Ah, non ho alcun potere? Io ti ho fatto evadere dalla tua prigione, la stessa prigione dalla quale tu non eri in grado di uscire. Perché mi chiami pazzo?”

Continuò a guardare fino all'arrivo del Profeta e l'impotenza di Amidaraxar contro di lui.

“Puzzi di tradimento”

La visione mutò mostrando Maschera di Ferro, dietro alla porta del laboratorio, in ascolto. “Mh. Ora capisco perché Zejabel fosse così sospettoso. Farò bene a proteggermi le spalle”

La sua immagine nello specchio si distorse nuovamente.

“Sei ben informato ora, Dimizar?”

“Maestro cosa significa tutto ciò? Sei insoddisfatto di me se il tuo luogotenente si schiera contro di me”

“Penso tu sia pronto per conoscere la verità”

“Di che parli?”

“Ti sei mai chiesto perché tu sei l'unico a potermi vedere e sentire?”

“Perché questa è la tua volontà?”

“No, non lo è e non lo sarà mai. Tu mi hai scambiato all'inizio per Nehant ma non hai sbagliato di molto, una volta lo servivo”

“Zejabel” rispose Dimizar

“Esatto. Hai la mia pietra cuore. Tu ora sei me ed io sono te”

“Ma io credevo tu fossi Nehant. Mi hai ingannato”

“Era necessario. Non sono stato io a fartelo credere, hai fatto tutto tu. Ma grazie a ciò ora tu sei potente quanto lo ero io. Non ho finito. La liberazione di Nehant, in attesa di ciò, ho dovuto pensare alla mia vita ed alle mie conoscenze. Grazie a te ed alle mie scoperte ho potuto conservarle e tramandarle. Inoltre tu hai permesso a Nehant di recuperare un poco del suo potere”

“E quindi?”

“Per Nehant non sei altro che un servo, proprio come lo ero io e pertanto sacrificabile. Quello che sto cercando di dirti è che tutti poteri che hai, li avrai anche senza essere al soldo di nehant. grazie a me. Diventa pure quello che intendi essere, non sarà difficile, hai già la mia pietra-cuore”

Lo specchio brillò di una luce verdastra. Quando smise, Dimizar percepì dei cambiamenti. Lo specchio mostrava ancora un'immagine distorta ma stavolta sapeva che era la sua.

“Ora ci prenderemo cura del ficcanaso” disse aprendo la porta. Maschera di ferro, sorpreso, scese dalle scale.

“Questa è la tua pietra-cuore” disse mostrando in effetti una pietra-cuore.

Maschera di ferro si tastò nel cappotto e constatò che la sua pietra-cuore era assente.

“Cosa vuoi fare Dimizar”

“Ciò che avrei dovuto fare nello stesso momento in cui ci siamo incontrati”

La pietra divenne nera come la notte.


L'offensiva Zil


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Capitolo 1 - I venti del cambiamento

Kaketsu, il più anziano tra i consiglieri, si guardò attraverso lo specchio del bagno. Quel giorno sarebbe stato uno dei più importanti della sua vita, pertanto avrebbe dovuto indossare il suo abito migliore. La sua servitù lo aveva vestito con l'abituale abito cerimoniale del Consiglio, il quale andava indossato solamente in rare occasioni.

“Sono vecchio” disse ai suoi servi

“Tutti siamo schiavi del tempo, Decano, ma è grazie alla vecchiaia che si può avere saggezza”

“Lusinghiero” disse ridendo il Decano “venite qui amici miei”

I tre servitori abbandonarono le loro mansioni per avvicinarsi al Decano.

“Sono orgoglioso di avervi avuto al mio servizio. Alcuni per molti anni, altri da tutta la vita. Voi siete i miei confidenti, consiglieri e spero continuerete ad esserlo anche quando assumerò il mio nuovo incarico. So che vi sto chiedendo molto ma sarebbe un onore avervi al mio fianco.”

I tre servitori erano stupiti. Il più anziano dei tre, nativo dell'Impero Xzia, sorrise.

“Sai benissimo che ti seguirò anche nel nuovo incarico” disse inchinandosi con rispetto

Gli altri due fecero lo stesso.

“In questo caso, siate pronti, partiremo tra due giorni. Per quanto mi riguarda, ora devo fare ciò che deve essere fatto.”

Quel giorno il Consiglio delle Gilde era riunito al completo, meno pochi membri assenti per incarichi, per una riunione dall'importanza eccezionale. Cosa che ultimamente stava avvenendo assai di frequente. Il Decano entrò in sala, accolto dagli applausi degli altri Consiglieri. Il vecchio Kaketsu era talmente commosso che parlò con voce rotta e soffocata.

“Grazie amici miei. Prima che si apra il dibattito lasciatemi dire una cosa. Ho ottanta anni. Avevo dieci anni quando Nehant venne sconfitto da Eredan, chiudendo un'era ed aprendone un'altra. Ebbi anche il privilegio di poter parlare con lui. Ricordo ancora cosa mi disse: Un epoca di pace sta aprendosi per la gente di Guem. Degli Eroi hanno affrontato le avversità sconfiggendole. Altri Eroi nasceranno per preservare quanto duramente ottenuto”

Kaketsu fece una pausa per riprendere fiato.

“Ho visto creare il Consiglio delle Gilde e sapevo che il mio posto sarebbe stato qua, per poter proteggere il mondo. Quello che ho cercato di fare fin ad ora. Ora è nato un nuovo conflitto in queste terre ed io sono troppo vecchio, incapace di poter vedere le sottili macchinazioni del male. Ci sono stati dei Consiglieri che hanno fallito, altri che sono caduti sotto l'influenza del male e senza l'intervento di Noz'Dingard e degli Zil, la situazione sarebbe molto peggiore. La torcia deve essere passata ad una nuova generazione di Consiglieri. Deve esserci un nuovo Consigliere Decano.”

L'emozione era forte in sala.

“Il più anziano tra voi diventerà il nuovo Decano”

Kaketsu lasciò il suo scranno per avvicinarsi al centro della sala.

“Avvicinatevi, Consigliere Verace”

Verace sapeva di essere il più anziano, in assenza di Edrianne. Avanzò con orgoglio.

“Tocca a te guidare gli altri Consiglieri. Il ruolo di Decano non è un facile compito da assolvere, serve molta pazienza e compostezza per risolvere le questioni più spinose. La determinazione con cui lavori per porre fine alla tempesta in cui ci troviamo, mi ha tuttavia convinto che tu sia la persona adatta al compito. Grazie al potere conferitomi dal Consiglio e dal mio ruolo, ti nomino nuovo Consigliere Decano” disse tendendo la mano al nuovo Consigliere Decano.

Ognuno dei presenti salutò la nomina con un applauso, convalidando formalmente l'assunzione del ruolo da parte di Verace.

“Ora Decano, Consiglieri tutti, vi lascio. Le mie stanze saranno libere in pochi giorni. Buon viaggio a tutti” disse Kaketsu “Non vi dirò addio perché ci rivedremo”

Il vecchio lasciò la sala in cui aveva preso molte decisioni per tanti anni. Toccava a Verace, ora, prendere rapide decisioni. Quest'ultimo si sistemò allo scranno appartenente al Decano del Consiglio e parlò.

“Cari consiglieri, abbiamo molto lavoro da fare per migliorare la situazione. In primis è necessario nominare nuovi consiglieri. Il regolamento recita che si hanno due giorni per nominare le proprie preferenze. Queste ultime saranno discusse in una sessione speciale, tra due giorni”

I Consiglieri cominciarono a confabulare tra di loro, facendo già emergere qualche nome. Verace annotò quanto accaduto nella sessione, come le regole imponevano, aiutato da una lunga pergamena di istruzioni lasciatagli da Kakestu. Batté infine il bastone da cerimonia per terra e quindi s'alzò.

“Come Decano del Consiglio, io sono responsabile dell'attuazione e della validità delle norme approvate dal Consiglio. I recenti avvenimenti invalidano la pratica dell'utilizzo dei sortilegi di Nehant. Anche il membro della gilda, chiamato Dimizar è dichiarato fuorilegge.”

Nessun suono era presente in sala, solo un deciso annuire da parte di tutti.

“Sappiamo da fonti affidabili e da prove certe del lavoro Dimizar per manovrare il Consiglio. Chiedo che venga messa una taglia sulla sua testa. Ne dibatteremo nella seduta di domani”


Una settimana dopo....


Il Consiglio aveva affrontato diversi argomenti spinosi negli ultimi giorni. Kaketsu aveva lasciato il castello di Kaes per tornare nell'Impero di Xzia con un importante compito da eseguire. Marlok ed Abyssien erano stati ambedue convocati al Castello; non erano stati informati del perché ma sicuramente doveva essere stato il Consiglio a richiedere la loro presenza.

Fu Verace a riceverli in una stanza appartata.

“Grazie per aver accettato” disse versando una bevanda in due bicchieri, per gli ospiti

“Non ho ancora detto di sì” ironizzò Abyssien

Marlok bevve un sorso e si sedette su un divano

“Vieni Abyssien, amico mio, non è bene rifiutare un ritorno nel Consiglio”

Abyssien si sedette su una sedia

“Certo che no, ho fatto tanto per far tornare i Guerrieri di Zil al loro posto”

“Voi onorate il Consiglio, con voi sono sicuro che avremo successo. I dettagli amministrativi ne discuterete con il Consigliere incaricato, io voglio parlare della situazione attuale”

“Stai parlando di Dimizar, non è vero?” chiese Marlok con tono serio.

“Con quel demone infiltrato abbiamo rischiato il peggio. Pertanto è estremamente importante che si sia noi ad attaccare per primi, prima che il nemico possa mettere mano a contromisure.”

“Hai ragione Decano” intervenne Abyssien “Più passa il tempo e più la corruzione si rafforza. Dai carta bianca agli Zil e sradicheremo Dimizar ed i suoi amici”

“Il demone catturato ha detto che Dimizar non resterà fermo in quel luogo, quindi appoggio la linea di Abyssien” disse Marlok

“Questo Nehantista è stato messo fuorilegge, c'è una taglia sulla sua testa. I Guerrieri di Zil sono liberi di agire.” disse Verace” Ma tutto questo ci porta ad un secondo problema, direttamente connesso. Anche i Nomadi del Deserto sono un problema serio. Non possiamo però sciogliere la loro gilda senza che loro abbiano infranto delle regole. Da quanto ne sappiamo, o per meglio dire, quanto sostengono, si sono difesi ed hanno attaccato”

“Ti sei dimenticato di dire che il loro avanzare provoca una sorta di corruzione alla terra, distruggendo tutto ciò che è intorno”

“Hai ragione Marlok, anche se hai evidentemente ragione, non c'è alcuna nostra legge che impedisca ciò o lo regolamenti, sopratutto su un terreno non reclamato da alcuno”

“Stai dicendo che fin quando non avranno raggiunto i territori di Xzia, Draconia o la foresta Eltarite, non potremo fare nulla?”

“Ahime, è proprio così”

“Ottimo! Io vado a parlare a Selvaggia di quanto da fare....lascio a voi pensare al futuro” disse Abyssien molto divertito.

Capitolo 2 - Attacco Diretto

Grazie a diverse indicazioni, i Guerrieri di Zil , avevano più o meno localizzato il luogo in cui il Maniero di Zejabel era collocato. Selvaggia guidava le truppe contro colui che tanti danni aveva causato loro, il precedente anno.

Infiltrarsi per loro era stato un gioco da bambini ma il problema era sorto nel momento in cui dovettero trovare tra le ombre, il tunnel che conduceva al Maniero. Questo non fu più un problema grazie all'esperienza di Salem.

“Ora dovremo applicare il piano alla lettera, nessuna improvvisazione o giochi di fantasia. Voglio Ombra, SpadaInsanguinata e Granderabbia come esploratori, voglio sapere cosa ci aspetta nel punto d'arrivo. Quando avremo maggior informazioni, attaccheremo con forza. Il nostro obiettivo è il loro capo, non è difficile capire chi sia: da gli ordini e sarà sicuramente circondato da guardie” sbuffò Selvaggia

Tutti gli Zil erano in ascolto con attenzione ed entusiasmo. Ovviamente quello che stavano per fare era estremamente pericoloso ma poco importava, vista l'importanza di ciò.

“Salem, Kuraying, vi lascio mettere in pratica la vostra arte. Ergue tu sai cosa fare. Capoccia tu farai il coordinatore, okay?

“Non chiamarmi capoccia” rispose Lo Psichiatra con enorme pazienza “Lo farò”

“Benissimo”

Selvaggia fece un gran respiro

“Partiamo” disse a Kuraying

L'uomo sconosciuto si alzò e si inchinò alla giovane donna. Il viso di lui non lasciava alcun dubbio sulle sue origini Xzia. Il suo compito infatti era quello di identificare i migliori luoghi dell'Impero per il Circo, in cui gli abitanti fossero più ospitali con gli artisti.

“Maestro Salem, posso avere l'onore di occultare con le ombre i nostri amici?”

Lo spaventapasseri annuì.

“Venite a me Guerrieri nominati da Selvaggia, vi celerò alla vista degli ignoranti”

Kuraying li condusse nell'ombra creata da una roccia enorme.

“State fermi, con le braccia stese lungo i fianchi”

Cominciò quindi una danza attorno all'ombra della roccia. Serpi d'ombra sgusciarono dalle maniche di lui e cominciarono ad attorcigliarsi sulle ragazze. E via via avvolsero del tutto, come un boa con la preda, il corpo delle tre avanguardie. “Lasciate che l'ombra s'impadronisca di voi e che diventi un tutt'uno con il vostro corpo”

La morda delle serpi si fece più pressante fin quando non rimase più nulla, le ragazze erano scomparse. Erano mutate in serpi d'ombra, talmente poco visibili da passare completamente inosservate. Cominciarono a scivolare tra le rocce ed entrarono nella parete della montagna.

Selvaggia andò al suo posto. Ergue cantava una canzone esotica dal ritmo inquietante. Soriek teneva il ritmo della canzone, battendo le mani su un piccolo tamburo dalla forma particolare. Gli altri Zil si guardavano attorno, pronti ad intervenire se qualcuno li avesse visti.

“Ombra, SpadaInsanguinata, Granderabbia, cosa vedete?”

“Sssssono nei giardini, ci sssssono tanti umani e altrettanti sssschiavi. Ah c'è una creatura fatta di crissssstallo rossssso a guardia del tunnel” sibilò Granderabbia

“Sono nel palazzo, c'è un demone che fa la ronda e un demone con delle ali” disse SpadaInsanguinata

“Io ho fatto bingo. Ho trovato una sorta di laboratorio in una grotta, c'è gente all'interno”

In quel mentre, Ergue e Soriek furono circondati da una nube vorticosa. Salem aveva visto più volte maschere tribali simili, tra le elfine, ma ciò era più impressionante. Il fumo si stava solidificando dando luogo ad una creatura grande quanto Soriek, solo che in essa c'era anche Ergue. Quando il fumo si diradò del tutto, Salem capì che Ergue e Soriek erano diventati tutt'uno. Una cosa molto impressionante.

“Dobbiamo far uscire i sorci dalla tana, come fare?” chiese Selvaggia

“Con il fuoco” rispose Ombra “SpadaInsanguinata dammi una mano”

“Arrivo”

“Aspettate il mio ordine prima di incominciare. Granderabbia, penso che i tuoi amici ti stiano aspettando. Dirò loro di andare all'ingresso del tunnel, aspettali lì”

“Va bene, ssssto arrivando”

“Ora che siamo diventati Mashtok, possiamo andare a distruggere” disse la creatura con la voce di Ergue e Soriek.

“In questo caso vai e divertiti. Ragazze, date inizio alle fiamme” disse Selvaggia con voce ferma

Dalla loro parte, Ombra e SpadaInsanguinata erano nel laboratorio di Dimizar. Il Nehantista era lì con alcuni dei suoi compari. Ombra fece un cenno a SpadaInsanguinata e lanciò una bottiglia fiammeggiante. Insieme cominciarono a dare fuoco al laboratorio.

Il Nehantista fu preso di sorpresa e sia lui che Maschera di Ferro, alla vista delle fiamme, si diedero alla macchia come conigli. Solo Anagramma rimase, visibilmente irata, dal momento che aveva notato le due piromani tra le ombre. Ombra e SpadaInsaguinata si stavano dirigendo verso l'uscita, Ombra era già salita sulle scale quando Anagramma attaccò SpadaInsaguinata. La elfine divenne nuovamente visibile e cominciò una furiosa lotta contro la nehantista, tra le fiamme divampanti.

Appena il segnale era stato dato da Selvaggia, Mashtok si era precipitato nel tunnel. Il suo obiettivo era semplice, abbattere qualsiasi cosa lungo la sua strada come una roccia che cade da un pendio scosceso. Gli altri Zil seguivano con decisione, pronti a sradicare qualsiasi creatura nehantista lungo il cammino.

Granderabbia attendeva Mashtok all'inizio del tunnel, pronta ad attaccare Carkasse. Proprio in quel mentre Carkasse venne placcato dalla creatura mezza Ergue e mezza Soriek, consentendo a tutti gli altri Zil di passare.

Dimizar ordinò a Maschera di Ferro di difendere il Maniero, mentre lui si dirigeva verso le sue stanze. L'apprendista di Dimizar invocò Mortlame in modo da sacrificare la sua energia per rinvigorire Carkasse. La creatura infatti prese il sopravvento sull'assalitore.

Mangia-Anima stava lottando furiosamente contro Rabbioso e Senzavolto, mentre Saphyra e Salem stavano per raggiungere Maschera di Ferro. Manipolati dai disgustosi poteri di Dimizar e Maschera di ferro, gli umani, resi schiavi, si lanciarono per combattere i Guerrieri di Zil.

Una tempesta s'abbatté sul Maniero, rovesciando copiosi scrosci di pioggia.

Granderabbia aveva cominciato lo stesso rituale eseguito prima da Ergue e Soriek.

Mashtok diede un gran colpo a mani giunte contro Carkasse, in modo da far guadagnare tempo a Granderabbia. Il clown Terrifik e lo Psichiatra fecero intercessione nel rituale, che stava compiendo Granderabbia, in modo da farlo durare estremamente di meno.

D'un tratto venne udito un boato, no, un urlo. Un urlo proveniente da un mostro nato dall'unione di Granderabbia, Ergue e Soriek. L'Abominio era tornato.

Subito la creatura si lanciò contro Carkasse e lo sommerse di pugni. Carkasse non poteva avere speranze contro un avversario così forte ed infatti venne atterrato da un pugno al mento. I pugni seguenti scheggiarono il rosso cristallo di Carkasse.

Abominio convogliò tutta la sua forza in un unico colpo e devastò Carkasse, mandando in frantumi la vermiglia armatura di cristallo del povero esperimento di Dimizar. All'interno dell'armatura un cuore umano smise di battere per sempre...

Nel seminterrato Anagramma stava combattendo furiosamente contro Ombra e SpadaInsanguinata. Le fiamme però le avevano spinte a lottare nelle scale, dove lo spazio ridotto stava avvantaggiando no poco la creatura simile ad un ragno. Gli Zil erano però forti ed Anagramma sapeva che quello era il momento di fuggire. Grazie alla sua moltitudine di arti si arrampicò sul muro e si diede alla fuga.

Al secondo piano Dimizar, insieme al Decaduto, aveva recuperato qualche prezioso oggetto. Il fumo stava lambendo il soffitto. L'unica via di fuga era stata chiusa dagli Zil, non aveva altra scelta. Non doveva perdere tempo. Mandò all'aria la scrivania e cominciò a tracciare segni magici.

“Quanto ci vuole a completarlo” mormorò inquieto

Nel corridoio il Decaduto era innanzi ad un problema inaspettato. Telendar, che aveva seguito gli Zil in silenzio per giorni, aveva approfittato del fatto che il Decaduto gli stesse volgendo le spalle per piantargli un pugnale tra le scapole. Il demone urlò e per evitare un secondo fendente, saltò dalla finestra.

Per via della ferita e delle sferzate del vento, ebbe gran difficoltà nello sbattere le ali e volare via.

Telendar entrò nella stanza per saldare il suo debito con la Draconia e per la propria vendetta. Scagliò un pugnale contro Dimizar proprio nel mentre questo scompariva nel portale.

La battaglia del Maniero finì qualche minuto più tardi. Il bilancio aveva arriso alla gilda degli Zil. La pioggia scomparve presto, lasciando campo alle fiamme, le quali, pur lentamente, bruciavano il Maniero inesorabilmente.

Telendar andò in contro ai suoi vecchi amici, sorpresi di vederlo in quel luogo.

“Anche se Dimizar è fuggito, sono riuscito a mandare a segno un colpo che non dimenticherà. Spero muoia”

Infine liberarono gli esseri umani, schiavizzati da Dimizar ed imprigionarono i restanti nehantisti, rendendo il mondo un pochino più libero.


Dimizar riapparve in un altra parte del mondo. Era un luogo buio.

Si trovava a quattro zampe. Dalla sua bocca sgorgava sangue e il suo polmone sinistro era lacerato dal pugnale.


La vita lo stava abbandonando....


La Tomba degli antenati – Parte Seconda


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Faceva talmente caldo quel giorno d'autunno che il trucco di Kyoshiro si era tutto macchiato per via del sudore. Le strade di Okia brulicavano di soldati dell'esercito Imperiale. Malgrado ciò non veniva intralciato da nessuno e questo perché insieme al lui vi era una creatura enorme. Molto rapidamente infatti si diffuse la voce della presenza del celeberrimo campione di lotta dell'Impero di Xzia.

“La voce è corretta, ho fatto bene a venire, amico mio” disse ad Okooni.

Il guemelite della guerra aveva una sola cosa in mente: mangiare. Era rimasto in silenzio fino alla piazza, nella quale un delizioso odorino di cibo, giunse finalmente alle narici del colosso. Afferrò con forza il suo amico, che pur essendo discretamente grosso, sembrava un microbo al confronto.

“Che c'è?” disse Kyoshiro, scosso dall'amico

“Mangiare” rispose con forza

Il profumino giungeva da un celebre ristorante itinerante, che seguiva l'avanzare dell'armata Kotoba e il cui capo-cuoco era uno dei più rinomati chef del mondo: Ramen. Il piccolo uomo dalle guance paffute vide arrivare la celebre coppia e ne fu molto felice. I soldati presenti erano più intenti ai loro affari che a mangiare.

Okooni spinse via diverse sedie e si sedette per terra, arrivando così alla giusta altezza per poggiare i gomiti sul bancone.

“Perdona il mio amico, ha una fame incredibile” disse Kyoshiro ma Ramen già lo sapeva

“Non scusarti.” rispose e poi si rivolse al Guemelite “ Onorevole Okooni le porterò qualcosa degno...della sua stazza”

Il pasto procedette ad un ritmo incessante. Okooni affrontava le pietanze come fossero avversari. Il rumore delle sue mandibole all'opera aveva attirato un capannello di curiosi.

D'un tratto giunse un enorme lupo, correndo come un ossesso e seminando il panico. Era Ryouken, il feroce lupo da guerra dei Kotoba. Sembrava turbato, continuava ad annusare l'aria.

“Che succede?” chiese Kyoshiro “qualche problema?”

Kyoshiro sapeva molte storie su Ryouken. Si diceva che apparisse solo per avvisare di una guerra, combattimento o lotta. Il lupo continuò nella sua corsa, dirigendosi verso l'uscita dalla città.

“Seguiamolo!” urlò

Okooni ingurgitò il resto dell'enorme scodella preparatagli da Ramen, lasciò sul bancone una saccoccia colma di pezzi di cristalli e dopo essersi alzato, si decise a seguire la fragile figura di Kyoshiro. Ryouken li aveva seminati, correva troppo veloce, grazie alla magia dell'aria che lo permeava, pertanto decise di rallentare per farsi raggiungere. Cosa che avvenne dopo un intera giornata.


La Pietra caduta dal cielo brillava di mille luci ed era circondata da nubi di sassi volanti. Il lupo guardò alle proprie spalle e finalmente vide arrivare Kyoshiro ed Okooni.

L'esercito di non-morti capitanato dall'ex generale Zatochi Kage era accompagnato da alcuni uomini Kotoba. Insieme avevano deciso di accamparsi in zona.

La Tomba degli Antenati prometteva di divenire luogo di una battaglia memorabile. Zatochi e Yu Ling stavano esaminando con disgusto la terra. Dove prima c'erano fiori ed alberi, ora c'era solo sabbia. Anche il buio della notte era infranto dal brillio della Pietra Caduta dal cielo. Non erano però queste considerazioni a tenere sveglio Iro; si struggeva al pensiero di quanto fossero numerose le forze del nemico e di quanto forti potessero ancora essere le loro abilità magiche, così diverse da quelle della Draconia.

Yu Ling, che era poco distante, non aveva brutti pensieri. L'anziana signora era un deposito di rimedi di un antico ordine, quello dei Cacciatori di Demini, e il caso aveva voluto che anche Zatochi una volta ne facesse parte.

“Malyss!” urlò per svegliare il mago Corvo

“Sì? Che succede?” rispose rintronato dal sonno

“Avremo a che fare con la magia di un dio, avremo bisogno di rinforzi. Avvisa i Bracconieri di essere pronti. E già che ci sei, avvisa Gakyusha e l'Imperatore di essere pronti alla battaglia.”

Malyss imprecò per l'essere usato come un qualsiasi galoppino ma, tuttavia, fece quanto gli era stato richiesto. Fece apparire diversi corvi, ai quali affidò messaggi da consegnare, in quella notte così luminosa.


Quanto ad Arkalon, antico cavaliere drago; lui rimaneva al suo posto, evitando così di mescolarsi con coloro che una volta erano stati suoi nemici. Da quando era tornato in “questo mondo” , aveva percepito nuovamente il legame con Dragone. Nel cuore della notte era stato nuovamente capace di comunicare con lui.

“Quindi sei tornato” disse Dragone “Cosa stai cercando Arkalon?”

“Ho visto quello che è successo ad Ardrakar e ne sono rimasto ferito. Permettimi di reindirizzarla sulla strada giusta, non turberò l'equilibrio tra i mondi. Ho giurato di aiutare Zatochi Kage e la donna chiamata Yu Ling ad affrontare qualcosa”

“L'equilibrio su Guem si è infranto con l'arrivo della Pietra caduta dal cielo”

Dragone si fermò “Mi dispiace tu non abbia avuto la sepoltura che meritavi di avere. Quando sarà tutto finito,sarai onorato come si deve”

“Grazie Dragone. Forse ho giudicato male i nostri avversari, sento la mia magia vacillare in questo luogo”

“I miei occhi sono ciechi, non riesco a vedere oltre la Tomba degli antenati”

“Mio Signore, è una mia sensazione, ma non è per nulla certo che l'Impero vinca questa battaglia”

“Lo hai riferito al generale Zatochi? L'antico maestro dei Cacciatori di Demoni? La battaglia promette di essere leggendaria. Vi invierò qualcuno ad aiutarvi, in modo l'obiettivo che ti ha mosso a tornare venga concretizzato”

“Ti ringrazio profondamente, Dragone”


Iolmarek , seduto su una roccia che volava in alto, vide l'esercito di fantasmi.

“Eksoun! Aramak Zar”

Aveva sentito prima questa voce, era il canto del Cristallo. Era una lingua incomprensibile ma che capiva, pur senza averla mai parlata.

“Io sono il tuo devoto servitore” assicurò il vecchio Nomade

“Io sarò libero a breve, servo. Allora questo mondo sarà ridotto a cenere. Difendete la Pietra, LUI sarà in ascolto”

Iolmarek sapeva già che fare ed aveva un piano per difendere la Pietra. Chiamò Soraya per riferirle quanto gli era stato appena detto.

“Sì capo sacerdote?”

“Sarai in grado di compiere il miracolo che ti ho richiesto?”

“Con un po' di pazienza dovrei farcela”

“La mia pazienza ha già superato il limite”


Il sole puntava l'accampamento con i suoi raggi, quando un urlo lacerò il silenzio. Iro era stanco ma vigile e si diresse a vedere dove provenisse tale rumore. Così facendo vide arrivare Ryouken inseguito da due uomini stremati dalla fatica. Il lupo da guerra attraversò le fila di fantasmi per andare a fermarsi davanti a Zatochi, il quale fu sorpreso di trovarselo innanzi. Ryouken salutò il generale strofinandosi sulla di lui corazza e sul corpo marcescente. Zatochi ricambiò passando una mano tra la folta peluria del cane.

“Lo conosci?” chiese stupito Iro

“Abbiamo lo stesso fato in comune. Ryouken ha combattuto al mio fianco, a quei tempi c'era un battaglione di suoi simili. Li ho visti dilaniare le carni dei nemici, trattando i loro arti come quelli di bambole di pezza. Hai fiutato l'odore di Ushikami, il tuo antico capo-branco, non è vero? Resta con me ed avrai la possibilità di rivederlo all'opera”

“Ushikami. Ora che me lo fai notare, a Meragi c'è una statua di una creatura enorme con quel nome”

Kyoshiro ed Okooni giunsero finalmente alla fine della loro strada. Erano impressionati dall'esercito lì presente. Come uomo di teatro, Kyoshiro, era stupefatto dal trovarsi davanti alcuni tra gli uomini più importanti mai esistiti, alcuni di loro li aveva addirittura interpretati in varie situazioni. S'inchinò rispettosamente ad Iro e Zatochi.

“Per noi, modeste persone, è un gran privilegio incontrarvi. Speriamo di poter essere utili in questa vostra...battaglia?”

“Benvenuti” li accolse Yu Ling con fervore “Tutte le gesta da parte di uomini di buona volontà sono apprezzati” disse mostrando uno strano tatuaggio sull'avanbraccio

Kyoshiro ed Okooni riconobbero quel simbolo stilizzato di testa di samurai: il simbolo dei Cacciatori di Demoni. Questo ordine segreto era nato verso la fine della guerra contro la Draconia e sembrava essere scomparso tra le pieghe del tempo. In realtà, i pochi membri del gruppo, si muovevano in silenzio, invisibili a chiunque non facesse parte dell'ordine.

Kyoshiro si fece serio in volto, alzò la manica rivelando il medesimo simbolo.

“Trovo strana questa coincidenza” disse con voce più seria del solito.

“Sono la Grande Cacciatrice dell'ordine ma ne parleremo in un'altra situazione. Ora vi chiedo solo di mettere in pratica quanto vi è stato insegnato” ordinò con voce decisa “Generale, ci mettiamo al tuo comando”


Soraya, in ginocchio, affondava nella sabbia calda che si trovava ai piedi della Pietra. Stava implorando la divinità che aveva sempre servito di concederle quanto richiesto. La sua preghiera era quasi terminata, affondò le mani sotto la sabbia, cantando ad alta voce un'antica orazione che Kehper, antico sommo sacerdote, le aveva insegnato.

Improvvisamente, il deserto venne scosso da minuscole onde e la stessa Soraya cadde terra, scossa da spasmi incontrollati. Il suo respiro si fece sottile e il cuore cominciò a battere forte.

“Ho udito la tua preghiera, sacerdotessa, e la esaudirò. Giunto per me, è il momento di camminare nuovamente su questa terra”

Soraya percepì l'estasi della presenza divina, il dio che aveva invocato si era incarnato. La sua pelle stava divenendo nera, con riflessi dorati e dura come la roccia. Sulla fronte spuntavano due antenne e gli occhi divennero opachi e del color dell'oro. Le convulsioni si fermarono, ora Soraya era Kehper. Fece un profondo respiro e si guardò le mani, ora divenute zampe.

I Nomadi che avevano assistito alla scena, ne rimasero stupiti. Iolmarek, che aveva percepito la presenza di un dio, si tranquillizzò.

“Venite con me, miei fedeli guerrieri” urlò l'incarnazione di Kehper, immergendo le zampe nella sabbia.

La terra sussultò e da essa fuoriuscirono enormi scarabei, il cui morso poteva tranciare il metallo. Dalla terra giunse quindi un intero esercito.

“Sol'ra non dovrà neppure intervenire, il mio esercito sterminerà chiunque, umani e non”

“Pregherò per il vostro successo” disse Iolmarek galvanizzato


Il sole era nel punto dello zenit, quando i due eserciti si confrontarono. Non ci furono tempi morti, esitazioni o analisi delle forze del nemico.

Con furia,l'incarnazione di Kehper, il suo esercito di coleotteri e buona parte dell'esercito nomade si riversò contro l'armata avversaria di Zatochi, i fantasmi degli antenati, i Cacciatori di Demoni ed Iro.

I rossi abiti imperiali, ben preso si mischiarono al nero degli scarabei. Immediatamente, i Cacciatori di Demoni sparsero il caos tra le fila dei nemici, facendo echeggiare antichi sortilegi con cui spezzarono zampe, chele e carapaci. Non molto lontano c'erano i Nomadi. Kararine, Ahmid, Lodir e Malika, grazie all'intercessione di Sol'ra, stavano respingendo facilmente ii non-morti degli antenati.

In mezzo a quel marasma, l'incarnazione di Kehper stava mostrando di possedere un potere tremendo. Capendo che le sue truppe stavano incontrando difficoltà contro i Kotoba, decise di intervenire personalmente. Si trovò faccia faccia con Zatochi, il quale piantò nel terreno la sua spada a doppio taglio e posò la mano a terra, facendo apparire antichi simboli Xziarite. Dal nulla apparve Ushikami. L'enorme lupo era simile in tutto e per tutto a Ryouken ma era molto più grande, delle stesse dimensioni di un bue. Con le potenti mascelle dilaniò diversi coleotteri e liberò la strada al generale, che quindi poté montargli in groppa.

Iro nel frattempo stava recitando il ruolo di stratega, dal momento che il lato sinistro era stato conquistato, ordinò di far fluire le truppe sul alto opposto. Questa mossa non era a suo vantaggio ma restando fermo in posizione con Okooni e Kyoshiro, mostrò alle truppe che nessuno aveva superato quel punto, infondendo così coraggio.

I minuti passavano lenti come anni.

Kehper stava affrontando Zatochi. Yu Ling e Malyss cercavano di aiutarlo come meglio potevano.

Quello che vide in quel mentre fermò il cuore ad Iro. Kehper, sapendo che le orde di fantasmi erano soldati minori, fece convergere le sue truppe contro Zatochi e gli altri, sommergendoli. Una volta sconfitti quei pochi validi avversari, il resto sarebbe stato spazzato via.

Il Campione dell'Imperatore ordinò a Kyoshiro e agli altri di attaccare i Nomadi al centro ed immediatamente. Okooni sconfiggeva un avversario dopo l'altro. Iro cominciò a correre ma il tempo sembrava cristallizzato, vedeva tutto al rallentatore. Toccò Kusanagi e il contatto con la spada sembrò rinfrancarlo. La lama brillava intensamente e il suo tagliò seminò distruzione e morte sui coleotteri.

Yu Ling era ferita, come Malyss. Zatochi era indebolito dalla theurgia di Kehper. La battaglia stava per essere persa. L'incarnazione di Kehper troneggiò su Zatochi e lo afferrò alla gola. Anche se i non-morti sono insensibili al dolore, la presa della donna insetto sconvolse il suo spirito.

“Povero te, è ora di scomparire per sempre” dichiarò Kehper

Zatochi sentì che la sua ora era giunta, la sua anima stava per abbandonare il corpo quando sopraggiunse Iro. L'eroe dei Kotoba grazie alla sua abilità spadaccina recise il braccio che teneva la gola del generale.

“Come hai osato toccare un dio. Infima creatura” ruggì

Iro rispose con un affondo di spada. Yu Ling e Malyss rimessi in piedi, lo aiutavano ai lati e Ryouken gli proteggeva le spalle. A quel punto si giocava tutto. Iro contro Kehper, tutti sapevano che chi avrebbe vinto avrebbe concluso la battaglia a favore del proprio schieramento.

Il Campione capì di non essere solo. Oltre ai suoi compagni però c'era qualcun altro, che non però non esisteva realmente. Tutti gli altri Xziarite lo videro e Zatochi lo riconobbe immediatamente. Nella stessa posa marziale di Iro c'era un uomo. La sua armatura era meravigliosa, la maschera che gli celava il volto era allo stesso tempo temibile e triste. Sguainata aveva la stessa spada di Iro, Kusanagi. Non c'erano dubbi sull'entità dell'apparizione. Era Xzia. Primo Signore della Guerra e fondatore dell'Impero!

Iro corse all'attacco all'unisono con Xzia. Kehper fece appello ai proprio poteri divini e creò un muro di coleotteri davanti a se.

Iro e Xzia, incuranti del pericolo, si fiondarono in avanti, attraverso il muro di insetti.

Iro sentì la sua pelle dilaniarsi dal morso di moltitudini di insetti ma continuò il suo slancio e convogliò tutta la sua forza in un singolo colpo, trattenendo Kusanagi come fosse parte del suo corpo. Kehper cercò di schivare ma non poté evitare di essere decapitato.

La testa di Soraya rotolò tra gli sciami di insetti.


Arriva l'inverno


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Il calore se ne andrà....

Ma è ancora presente nelle profondità della terra...

Non può essere, sento l'eco di una lenta agonia....

Quanto tempo ho trascorso a dormire?

Il terreno ricoperto di foglie ormai morte si sollevò, rivelando il ricco humus della foresta eltarite. Qualcosa era venuto in quel luogo, simile ad una mano ma fatta di radici. Poi, attorno a loro, lo spazio aumentò e con esso anche il soffio del vento tra i rami spogli.

Rari animali, che si apprestavano a passare la fredda stagione nascosti in una tana o nel foro di un albero, osservavano con attenzione quanto stava avvenendo. Zolle di terra assieme a piante morte, ruzzolarono dalla schiena di quella strana creatura, le cui dita era protese verso il basso, come a non voler perdere il contatto con il terreno. Aveva due braccia e due gambe ma la schiena era arcuata e l'aspetto era fragile come di una creatura morta, anche se non era sicuramente il caso. Scosse la testa a destra e a sinistra, poi si incamminò in una direzione.

I suoi passi imprecisi e goffi, rischiavano di farlo cadere, da tanto non si muoveva. Con dolore, il suo corpo intorpidito si stava pian piano svegliando.

Lentamente i suoi occhi si stavano abituando alla tenue luce che precede la catastrofe.

Era autunno, autunno inoltrato. Tuttavia, essendo frutto dell'Albero-Mondo, ogni suo risveglio nasceva da un torpore più profondo dell'inverno stesso. Disorientato, senza alcun punto di riferimento, la creatura finalmente si diresse alla ricerca dei suoi pari.


Parlaspirito notò il movimento degli spiriti della foresta era turbato. Seguivano un percorso che solo loro conoscevano ma privo di logica. Passavano attorno ad un albero, sotto ad una radice, a volte tornavano indietro.

Pensò che i suoi amici spiriti si stessero divertendo un poco.

Gli spiriti a forma di fiammella si fermarono attorno ad una buca, nella quale pochi lombrichi cercavano di combattere contro dei ricci, desiderosi di mangiarseli.

Parlaspirito percepì la presenza della magia della natura in quel luogo e finalmente il dais venne a contatto con la creatura. Gli spiriti la circondarono, come per salutarla calorosamente.

La creatura non si mosse, limitandosi a guardare il dais.

Non c'erano dubbi sulla sua identità. La creatura si avvicinò.

“Frutto del grande albero, figlio della natura, aiuterai questo vecchio?” comunicò mentalmente

Parlaspirito annuì.

“Lo scorrere del tempo ha turbato la mia mente, portami da Quercus, mio fratello, e primogenito di tutti i Dais”

Quercus? Sì, il nome era leggendario. Il primo Dais, primo frutto dell'Albero-Mondo. Colui che insegnò la voce della natura a Key'zan.

“Quercus? È morto tanto tempo fa, come fai ad averlo conosciuto?”

“Quercus, così sei tornato alla terra. Eykitan è il nome datomi dal Grande Albero. Chi governa gli Eltariti?”

Anche questo nome era famoso, l'aveva sentito nominare da Key'zan più volte. Eikytan, guardiano dell'inverno, pregato durante la stagione fredda di concedere a tutti un luogo in cui trascorrere l'inverno. Comunque non si aspettava fosse una creatura esistente.

I dais raramente erano colpiti da qualcosa ma questa volta Parlaspirito era onorato di poter parlare ad un essere così illustre.

“Vieni Eikytan, ti condurrò da Key'zan”

“Key'zan? Uhm....bene. Per piacere sostienimi , le mie gambe sono ancora intorpidite.

Il contatto raggelò Parlaspirito.

A nord della foresta, Key'zan e Il Sachem si stavano prendendo cura di Mangiapietra. Nel frattempo L'Intrappolato era giunto, accompagnato da due ospiti:Pilkim e suo padre, Il Maestro-Mago Marzhin. I due erano stati inviati da Dragone per incontrare Mangiapietra e valutare la sua possibile utilità del conflitto con i Nomadi del Deserto.

“Inviati di Dragone, la mia casa è la vostra” proferì solennemente Key'zan

Non aveva fatto in tempo a finire la frase, che Pilkim, si fermò dietro a suo padre. Cominciò a fissare Mangiapietra e Il Sachem. Era la piccola creatura ad incuriosirlo. Pilkim strattonò il mantello del padre per dirgli di guardare.

“Ti prego di perdonare mio figlio” disse Marzhin imbarazzato “è un piccolo genio per quanto concerne alla magia ma non conosce le buone maniere”

“Non fa nulla. Sei venuto per il Mangiapietra, non perdiamo altro tempo” aggiunse il Dais, invitandoli ad entrare nel villaggio.

Il vento soffiò un pochino più forte, facendo cadere alcune foglie color d'arancio. Pilkim corse attraverso tutta la piazza per arrivare dal Sachem, il quale stava porgendo alcuni cristalli di vari colori al suo protetto.

“Allora è vero che mangia le pietre” disse con entusiasmo il giovane mago “Mangia tanto? È cresciuto da quando è uscito dall'uovo? Ma è vero che poi ritorna nel suo uovo? Quante ore dorme? E se dorme...”

Per una volta il ragazzino era più loquace del solito, normalmente non avrebbe parlato così tanto in presenza di stranieri.

“Pilkim, finiscila di infastidire quell'uomo. Limitati a guardare per il momento”

L'insegnante che era Marzhin aveva preso il sopravvento e Pilkim era in quel momento solo uno degli studenti. D'altronde era veramente un suo studente, da due anni, anche se per il Guemelite sembrava strano.

Pilkim fece quanto detto, si mise in silenzio a percepire la magia della natura.

“Vedendo la magia che emana, si potrebbe pensare che anche questa creatura è un guemelite. All'esterno non c'è traccia di alcuna pietra cuore, quindi è lecito pensare sia al suo interno”

Pilkim esitò, poi si fece coraggio e toccò la pelle grigiastra della cretaura. Strani tatuaggi bianchi comparvero sul suo corpo.

“Percepisco un potere fortissimo ed incredibile. Padre, di che elemento si tratta?”

Il Maestro-mago era uno specialista di guemelite, lui stesso era divenuto tale di vari elementi. C'erano diversi elementi ma nel caso del Mangiapietra non era fuoco, aria, acqua, vento o elementi più strani come ombra e luce. Questa volta era un potere diverso ma familiare al draconiano.

“Non ti viene in mente nulla, figlio mio?”

Pilkim aggrottò la fronte, poi poggiò entrambe le mani sulla testa del Mangiapietra. Immediatamente il legame tra lui e Dragone divenne visibile.

“Si tratta di un Guemelite....di Guem?”

“La stessa cosa che ho pensato io. Dragone doveva conoscere la natura della creatura per averci condotto qui”

Gli eltariti presenti ascoltavano la conversazione ma i termini usati dai due draconiani, non erano familiari, e pertanto faticavano a capire.

“Ciò che sorprende maggiormente è la sua attitudine. Sembra un bambino, è difficile conoscere i suoi poteri.” aggiunse Marzhin “ha detto che era un uovo?”

“Sì” rispose il Sachem “ In quella forma c'è stato molto tempo”

“Ma cosa può aver mai covato?” chiese Pilkim

“Anche in questo caso ho solo una teoria. La magia viene da Guem. I guemelite possono usare la magia dell'elemento a cui sono connessi. Un guemelite del fuoco potrà usare magia del fuoco. Dragone è connesso a Guem, per questo motivo la sua chiaroveggenza è così' precisa. La stessa cosa deve essere con il Mangiapietra” “Vuoi dire che Guem ha chiesto al Mangiapietra di intervenire?”

“Esatto. Ma non direttamente. Credo che ciò sia intervenuto grazie al nostro intervento. Detto ciò, mi chiedo quali siano i suoi effettivi poteri”

Mentre Marzhin parlava con Pilkim ed assieme analizzavano il Mangiapietra, l'attenzione di Key'zan fu attratta dall'arrivo di due persone. Parlaspirito giunse al villaggio d'Akem accompagnato da Eikytan, la cui presenza raggelò immediatamente l'Intrappolato.

Key'zan ammonì il fratello

“Non fare nulla che ti faccia tornare nella tua prigione d'ambra”

Eikytan non aveva riconosciuto Key'zan e si fermò quando poté vederli distintamente, cioè ad un passo.

“Eccoci Eikitan” disse Parlaspirito

Non sappiamo come si sentì l'Intrappolato a ritrovarsi innanzi al vecchio dais.

“Non starò qui a lungo” disse Parlaspirito, imbarazzato da come si fosse raffreddata la situazione

“Rimani amico mio, In quanto a te Eikytan, sono scettico riguardo al motivo del tuo risveglio”

Il vecchio dais cercò di raddrizzare la schiena ma il dolore lo fece desistere.

“Quindi giovane dais, tu hai preso il posto di Quercus”

“Alla morte del venerabile, ha preso l'incarico di guidare il popolo eltarite” brontolò l'Intrappolato

“Non osare rivolgermi la parola. Io e te non abbiamo nulla di cui discutere” intimò Eikitan

Percependo che il fratello stava per sfogarsi, Key'zan si intromise.

“Fratello, per piacere, va dai nostri esploratori, così che si possa apprendere quanto avviene”

Il Dais, furioso, diede un calcio ad un sasso e se ne andò con rapidità.

Key'zan invitò Eikitan a riposare nel villaggio, lasciando momentaneamente i due draconiani a fare congetture su Mangiapietra.

“La Natura piange Key'zan, senti urlare il suo dolore?” chiese Eikytan

“Hai notizie da riferirmi? Qualcosa che non so? Il motivo del tuo risveglio?”

“Qualcosa erode la terra, fa troppo caldo, l'inverno sta arrivando ma non sarà come al solito. Ricorda che io sono il guardiano dell'inverno e come tale sono dovuto intervenire, visto il cambiamento”

“Ciò di cui stai parlando è dovuto ad una pietra caduta qualche tempo fa. Con i nostri alleati stiamo cercando di sbarazzarcene ma essa è ben protetta da gente dotata di poteri magici, differenti dai nostri”

“Mi unirò a voi nella battaglia, Key'zan. Una volta che mi sarò ripreso andrò risvegliare le creature dell'inverno”

Il guardiano dei Cuor Di Linfa, aveva dimenticato quel particolare. I guardiani delle stagioni, in casi particolari, potevano svegliare spiriti associati alle rispettive stagioni. Eikytan poteva chiamare spiriti gelidi ed implacabili come la stagione di cui facevano parte.

Visto che oramai da settimane la Mangiapietra non dava segnali di utilità e che la situazione stava sempre più divenendo critica, la natura era in pericolo. Che fare? Agire senza Mangiapietra oppure aspettare un segnale da essa?

“In questi tempi di conflitti, ogni aiuto è il benvenuto”


Marzhin e Pilkim trascorsero la sera con Mangiapietra. L'adolescente non perse occasione di annotare tutto quanto vedesse, in modo da preparare una relazione da esibire davanti al Compendium, organizzazione della quale avrebbe voluto fare parte una volta maggiorenne.

Aveva descritto forma, dimensioni, i suoi movimenti e l'uovo. Anche il suo strano metabolismo. Infatti il nome che aveva era corretto, mangiava una gran quantità di pietre, con una preferenza per i cristalli. Eikytan si avvicinò a cominciò a girare attorno alla creatura. Ascoltò i pareri dei due umani e li trovò saggi ed intelligenti. Sapeva anche della leggenda della Mangiapietra e dopo aver frugato bene nella memoria, ne fece parola.

“Quando nacqui, ero uno dei primi frutti dell'Albero-Mondo, c'erano diversi Mangiapietra. Li chiamavamo Cristalliani. A quei tempi la popolazione umana era solo composta da un paio di tribù. D'un tratto i Cristalliani scomparvero nel nulla. Solo un paio di uova, compresa questa, rimasero”

Key'zan era stupito da questa storia, dal momento che era nato molto dopo la scomparsa dei Mangiapietra. Si sedette per ascoltare anche lui la storia dell'anziano dais.

“Ne hai visti di adulti?” chiese Pilkim

“Sì. Quando un giovane Cristalliano comincia a produrre troppo potere, si isola e muta in qualcos'altro”

“Come un bruco ed una farfalla?” chiese Marzhin, affascinato

“Ma come si fa a...” Pilkim smise di scrivere, stava avendo un'idea “Padre, le pietre-cuore sono fonti di grande potere magico, vero?”

Non lasciò che fosse il padre a rispondere, sapeva già la risposta “Penso che il Mangiapietra possa ottenere un gran potere mangiando le pietre-cuore”


“Dubito però che un guemelite voglia concedere la propria, non potrebbe sopravvivere”

Marzhin stava testando il figlio, per vedere se con il ragionamento, poteva arrivare alla soluzione.

“La pietra-cuore dell'Albero-Mondo” disse Key'zan, evitando così di far rispondere Pilkim

Se Eikytan avesse avuto una bocca, avrebbe sorriso

“L'Albero-Mondo ha una pietra-cuore? Oggi è sicuramente una giornata piena di sorprese” disse Marzhin

“Ne aveva una ma esplose in mille pezzi. Ce ne sono molti ma solo uno ha ancora potere ed è fuori discussione che il Mangiapietra si mangi quello” tagliò corto Key'zan

La gioia se ne andò via in fretta.

“Frammenti di dragone? Li usiamo nei nostri rituali più potenti, potrebbero funzionare?” chiese Pilkim al padre


Marzhin fece un profondo respiro, ponderando bene la questione, poi annuì.

“Per quanto ne sappia, questo è il modo migliore. Potremmo contattare i venditori di pietre-cuore ma il risultato sarebbe incerto. Dobbiamo contattare Dragone” disse entusiasmato

Pilkim si chiese se quanto datogli da Marlok prima di partire, potesse essere utile.

Molto lontano da lì, Marlok era intento a lavorare nel suo laboratorio quando percepì dell'energia da uno dei suoi cristalli. Corse verso di esso, toccandolo con la mano sinistra, perché per attivarsi doveva entrare in contatto con la carne. Immediatamente lo spirito di Marlok e quello di Marzhin entrarono in contatto. Fu una strana esperienza per entrambi i draconiani. Riuscirono a parlare ma non come se fossero faccia a faccia, quanto piuttosto come uno scambio di pensiero ed informazioni. Durò solo un attimo. Marlok poggiò il cristallo sulla scrivania ma questo si ruppe in due pezzi.

“Sarà bene che la prossima volta non si spacchi, mi è costato una fortuna. Bhe devo far arrivare a Dragone quanto chiestomi da Marzhin”

Marlok andò quindi a a palazzo, a conferire con Anryena, incaricata di regnare in assenza di Kounok. Ottenere quanto richiesto fu più facile del previsto. Rimaneva solo di portare quanto richiesto da Marzhin. La distanza tra la Draconia e la foresta Eltarire era molta ma grazie ai maghi del Compendium, la cui abilità era fenomenale, venne trasportato a destinazione nel tempo di un lampo.

Venne dato a Pilkim l'onore di dare alla Mangiapietra il pezzo di luce di Dragone. Gli occhi del ragazzo brillavano di gioia quando il mago gli affidò il compito. Il cristallo di Dragone non poté resistere alle mandibole del Mangiapietra, le quali si muovevano freneticamente ed instancabilmente. Una volta finito il pasto, la creatura si alzò e si diresse fuori dal villaggio.

Tutto il gruppo la seguì.

Si diresse il un luogo confortevole, nascosto da alberi e radici. In quel punto svenne.

Gli eltarite non ne furono sorpresi, Eikytan si avvicinò a Marzhin.

“Aspetta che la natura faccia il suo corso”

La Mangiapietra si raggomitolò in posizione fetale e un nuovo guscio si formò attorno ad essa.

“Lasciamola tranquilla” disse Key'zan “Draconiani, se volete potrete restare a guardare, sembrate averne molta voglia”

Pilkim non aspettava altro e cominciò immediatamente a prendere appunti.

“Sì, grazie Key'zan. Vorremmo assistere alla schiusura. Tu non vuoi assistere?”

“Non saremo lontani, non preoccuparti”


Passarono due giorni e i draconiani, che avevano finito da tempo di prendere appunti, attendevano con trepidazione. Aspettavano quella che sarebbe stata una rinascita.

L'uovo cominciava a frammentarsi. CRACK

Pilkim era agitatissimo, era il momento più bello della sua vita. Ad uno ad uno i pezzi del guscio caddero a terra.

“È appiccicoso, posso prenderne un pezzo?”

“Certo, il Compendium avrà bisogno per analizzarlo”

Marzhin aiutò la Mangiapietra ad emergere dal guscio e ciò che vide lo sorprese. Mangiapietra aveva le forme di una donna e le stesse dimensioni di Pilkim. Aveva corti capelli bianchi.

“È una ragazza” disse imbarazzato Pilkim “Il suo potere magico è pero enorme”

“Sì, ben più di quanto sembri”

La Mangiapietra si stiracchiò dopo aver sbadigliato a lungo. Poi sorrise ai presenti.

Rimase qualche attimo nel liquido che permeava l'uovo e poi con un passo deciso si alzò. Marzhin le offrì la giacca per coprirla.

“Grazie Maestro-mago Marzhin” disse poggiando una mano sulla fronte del mago “Siete vicini a Guem, continuate così”

“Io...io sono al suo servizio” balbettò

Pilkim non poteva astenersi dal fare domande

“Parli la nostra lingua? Come fai a conoscerci? Che poteri hai? E poi...”

La Guemelite di Guem poggiò la mano sulla guancia del ragazzo, facendolo arrossire violentemente.

“Avrai le tue risposte Pilkim ma per ora permettimi di riposare. La trasformazione è stata veloce grazie al potere di Dragone ma ugualmente sfiancante”


Nel villaggio L'intrappolato era tornato con Melissandre al suo fianco, l'Elfine era inquieta.

“Key'zan la gente dei Kotoba è pronta all'attacco. Forse è il momento giusto per unirci loro e sradicare gli invasori”

Il Dais pensò a quanto dire prima di prendere una delle decisioni più importanti di tutta la sua vita

“Melissandra, che la tua tribù sia pronta. Eikytan va a destare gli spiriti invernali, quanto a me, mi preparerò all'Appello. Ora che con noi c'è la Mangiapietra possiamo vincere”

I due draconiani giunsero al villaggio con la nuova alleata.

“Per quanto io sappia, Dragone invierà rinforzi alle truppe Kotoba. Ora che la mia missione è compiuta vorrei unirmi a loro” disse Marzhin

“Come posso ringraziarvi per il vostro aiuto?” chiese Eikytan

“Averti al nostro fianco nella battaglia sarà abbastanza”

L'Epopea


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Capitolo 1 - Ritorno

Il ritorno di Aez a Camlahan fu trionfante. In groppa al suo cavallo, e brandendo la spada dei 5 ancestri, fece ritorno a casa come un eroe.

La servitù del castello era tutta intenta a rendere tutto meraviglioso, in onore del ritorno del re da oriente. Per salutare il suo ritorno, grandi stendardi recanti la testa di un leone, sventolavano orgogliosi nel vento. La notizia si era diffusa in città e tutto il popolo si era riversato per le strade. La madre di Aez, la dolce regina Isabella, aveva il cuore traboccante di gioia mentre teneva contro il petto la corona del defunto marito. Per via del suo status, doveva rimanere distaccata, ma la gioia che provava internamente era incontenibile.

Le guardie di Camlahan dispersero la folla per far passare il cavaliere. Questo giunse lesto alla porta del castello, saltò giù da cavallo e percorse un breve tratto a piedi, prima di giungere al bastione. A metà strada sguainò la Spada dei 5 Ancestri, in modo che tutti potessero vederla e che capissero che Avalonia aveva nuovamente un Re.

Il giovane raggiunse la madre e si inginocchiò innanzi a lei.

“Madre, questa è la Spada dei 5 Ancestri, forgiata dal primo re di Avalonia e simbolo del mio rango. Questa spada mi è affidata come custode del regno!” disse in modo chiaro, da farsi sentire da tutti.

La regina sorrise e prese un bel respiro, prima di rispondere

“In linea con la tradizione di Avalonia, devi brandire la Spada dei 5 Ancestri. Hai salvato l'onore della tua famiglia, l'onore del tuo popolo. È tempo che tu sia riconosciuto come legittimo re”

A quel punto, mise con dolcezza la corona sulla testa del figlio. Pochi attimi dopo, si era immersi nella folla. Nobili, Cortigiani, gente comune, tutti s'inchinavano in silenzio. Gli uomini levarono i cappelli, le dame si chinarono tenendo un lembo del vestito.

Avalonia aveva un re.

Dal balcone, situato sulla sommità della torre più alta, Aez guardò il cielo preoccupato. Non un solo pezzo di cielo era visibile, tutto era permeato da spesse nubi. Il colore non prometteva nulla di buono, l'atmosfera era greve.

“Che diamine. É per caso la fine del mondo?” si chiese

Non aspettò però la risposta, decise di agire. In città, tutte le strade erano vuote. Tutte le persone erano in caso per superstizione. Attraversò la città a cavallo, fino a giungere ad un vecchio casolare in pietra.

Un uomo lo stava aspettando. Non appena vide Aez, l'uomo, si inchinò con rispetto. Indossava un ampio mantello viola, aveva una barba curata ed era anziano.

Il re guardò a destra e a sinistra in cerca di qualcosa.

“Signore, sono lieto di vedervi” disse il vecchio “Ho poco tempo da passare con lei, pertanto sarò breve”

“Tempus? Sei tu, amico mio?” disse scendendo da cavallo “Cosa ti è successo?”

“Sono io. Quando sei partito per le terre lontane, ero giovane, ora mi trovi vecchio. È una lunga storia ma non ha nulla da fare con te.”

“Come hai fatto a sapere che ero qui?”

“A causa dell'Equinozio, amico mio”

“Equinozio...COSA? Un Equinozio”

“Sì, sire, hai sentito bene. L'ultima volta che si è verificato, è stato 20 anni fa, al torneo di Yses. Ora è di nuovo il tempo. Questa volta sarà però diverso. Ascoltami perché dovrai agire ora L'equinozio sarà il momento in cui una creatura verrà a riprendersi le sue uova. Ciò avverrà su tutta Guem. La tua responsabilità sarà quella di bonificare Avalonia”

Aez stava già pensando a varie strategie ed a convocare baroni, conti, duchi. Che duro scherzo del destino.

“Cosa sta per accadere? Cos'è che devo bonificare?” chiese preoccupato

“Guarda tu stesso maestà” rispose invitandolo a seguirlo

Dietro la casa, nascosto accanto ad un albero c'era una sorta d'uovo dal guscio duro e ruvido. L'odore che emanava era orribile, quanto il suo aspetto.

“Bruciali con il fuoco” disse il mago, ardendo con la magia l'orrendo uovo.

“Come posso ringraziarti?” chiese il Re

“Bhe, ci penseremo la prossima volta” rispose sorridendo “Ora devo proprio andare. Arrivederci Maestà”

“Arrivederci messer Tempus”

L'Equinozio sarebbe durato solamente un paio di giorni, nei quali la differenza tra giorno e notte sarebbe stata minima. Avalonia non aveva mia dovuto affrontare qualcosa del genere. La popolazione venne edotta di quanto sarebbe successo ed invitata ad unirsi all'esercito per fronteggiare la minaccia. Tutto il territorio del regno venne rastrellato. Migliaia di uova vennero trovate e poi distrutte. Per via della mancanza di vento, l'odore della putrefazione era stomachevole.

Grazie alle precauzioni, ci furono solamente un paio di piccoli incendi.

Il come il tutto venne affrontato, confortò Aez. Seguendo il piano di Tempus, si riuscì a prendere le necessarie contromisure e il popolo apprezzò molto lo svolgersi delle operazioni. La storia però non si ferma qui.

Avalonia aveva un eroe.

Capitolo 2 - La creatura

Il giovane Firmino aveva solo sette anni. Figlio del mugnaio del villaggio, trascorreva il tempo immaginando le avventure di Re Aez, come quando aveva salvato damigelle in pericolo, distruggendo le creature uscite dalle uova dell'Equinozio. Questa volta però, l'avventura non era immaginaria bensì reale. Non sentiva più le gambe e i piedi erano lividi.

Era sorretto dalla sua solo volontà.

Nella mano teneva un sudicio pezzo di stoffa. Doveva mostrarlo al Re. Camminò fino a castello, tra gli sguardi curiosi della gente e quelli sospettosi delle guardie.

Le forze lo abbandonarono proprio mente giungeva nella coorte del castello ma, per puro caso, in quel luogo di trovava anche il Re, intento a parlare con alcuni consiglieri.

La voce del ragazzo echeggiò nella coorte, una voce colma di tristezza.

“Sire, Re d'Avalonia”

Firmino non poté avanzare, bloccato dalle guardie, quindi urlò ancora.

“Aiuto Maestà. Una grande sventura si è abbattuta su Lodec”

Le guardie respinsero il ragazzo, il quale cadde a terra tra le lacrime. Continuava a farfugliare”Aiutami...aiutami”.

Aez guardò quello che stava accadendo e vide la violenza con cui venne respinto il ragazzo. Non poteva accettare ciò e si diresse in quel punto.

“Soldato, è così pericoloso questo ragazzino per buttarlo a terra?”

Il tono della frase fu abbastanza per mettere sull'attenti la guardia.

“Maestà, sono desolato ma questo mendicante voleva entrare a palazzo”

“Sì ma ci sono modi che non siano così brutali. Sparisci dalla mia vista”

La guardia non se lo fece ripetere e se ne andò via. Aez spostò le ciocche di capelli dagli occhi socchiusi del ragazzo. Respirava a fatica. Quando si rese conto di essere tra le braccia del re, si destò, agitando il pezzo di stoffa.

“Maestà, Lodec è stata attaccata...creatura...aiuto”

Poi svenne. Aez consegnò il ragazzo ad una seconda guardia.

“Portalo in una stanza, che sia curato e nutrito” disse guardando il pezzo di tessuto

Era un pezzo di arazzo, lo voltò in un senso e poi in un altro.

“Un pezzo del grande arazzo del Castello di Lodec. Sta succedendo qualcosa di grave”

Dopo una notte di sonno ed un buon pasto, il ragazzo sarebbe stato in grado di raccontare la sua storia. Aez entrò nella stanza del ragazzo, mentre un servitore usciva.

Firmino sembrava piccolissimo nell'enorme letto di pelliccia. Era intimorito dal trovarsi davanti all'uomo che tanto ammirava. Per timidezza aspettò che fosse il re ad iniziare la conversazione.

“Ti senti meglio, ragazzo?”

Il ragazzo rispose con un cenno del capo.

“Come ti chiami?”

“Io..sono Firmino, figlio del mugnaio di Lodec”

“Firmino, raccontami quanto successo”

Il ragazzo si raggomitolò sul letto.

“Una creatura, grande come il Castello di Camlahan ha attaccato il mio villaggio, distruggendo tutto lungo il suo cammino. Ci siamo rifugiati nel Castello di Lodec ma...” Il ragazzo cominciò a piangere.

“Sono morti tutti, signore. Ci sono solo io”

“Firmino, raccontami tutto”

“Il Signore di Lodec e i suoi soldati hanno cercato di fermare la creatura ma questa era troppo forte. Ha distrutto un muro che ci è cascato addosso. Sono scappato e sono venuto ad informarLa”

“Hai fatto bene. Lodec è vicina. Non lascerò che ci sia una creatura così terrificante qui vicino. Starai qui fin quando non ti sentirai meglio, poi prenderai servizio nelle cucine del palazzo. Io invece andrò a vedere quanto successo”

Aez e le sue guardie erano pronti. Il re indossava la sua armatura verde e oro ed era a cavallo. Lodec non era lontana, due ore di viaggio al massimo.

Alla regina madre non piaceva che il figlio se ne andasse.

“Perché devi andare tu stesso?”

“Mamma, questa creatura ha raso al suolo un villaggio e distrutto un forte, chi altri potrebbe fronteggiarlo?”

“Il tuo esercito”

“Non sarà necessario”

“Prenditi cura di te stesso, sii prudente e torna a casa vivo. Tieni a mente che se dovessi scomparire senza un legittimo erede, Avalonia sarà messa in palio in un Grande Torneo. Questa è la legge dei Sette Regni”

Aez ascoltò gli avvertimenti della madre ma decise lo stesso di partire, con un piccolo manipolo di uomini, suscitando l'ammirazione del popolo.

Ben presto si ritrovarono a percorrere la strada principale del regno.

Lodec era una piccola signoria, in mezzo tra le terre del Re, la contea di Barkaram e il Gran Ducato di Salan. Non c'era niente d'importante in quelle terre, tranne un'antica e splendida foresta.

C'erano diversi piccoli borghi ma l'unica città importante, era quella in cui risiedeva il signore di Lodec.

Il gruppo arrivò mentre una colonna di fumo incombeva poco lontano. Davanti ai loro occhi, la scena era desolante, Le abitazioni erano distrutte dalle fiamme. Il forte, che dominava la città al di sopra della sua collina, era ridotto ad un mucchio di pietre.

Gli Avaloniani non potevano credere ai loro occhi.

“Battete a tappeto il paese, spegnete gli incendi e cercate dei sopravvissuti. Una volta fatto ciò, costruiremo un accampamento fuori dal villaggio. Voi due!” disse indicando due soldati “tenete gli occhi aperti”

Aez conosceva dall'infanzia Leodran di Lodec, nobile e valoroso ma troppo temerario ed avventato. Aveva paura che avesse attaccato senza curarsi della forza del nemico.

Il suo cavallo era nervoso, così scese a terra e lo tenne per le redini, conducendolo al forte. Tutto ciò che incontravano era in macerie. Qua e la, una mano o un volto, ormai inanimato.

“Che disastro! Quante vite spezzate!”

Raggiunto il forte, andò al portone ma era sbarrato per colpa delle pietre cadute dal soffitto. Era lì dentro che probabilmente si erano rifugiati.

Girò attorno all'edificio, cercando di immaginare la testa della creatura. Il mostro probabilmente si era diretto da lì fin nella foresta. Infatti molti alberi erano a terra, sradicati, come spighe di grano.

Senza alcun timore, il re seguì quella scia. Lungo la sua strada, trovò diversi soldati morti di Lodec, alcuni orrendamente sfigurati.

“La mascella di questo essere, deve essere enorme” disse a voce alta

Percorse un miglio a nord. Poi lo vide. Enorme, mostruoso, incredibile furono le prime parole. Quella creatura aveva più teste e un aspetto degno dei mostri cantati nelle leggende. Aez deglutì e sperando di prendere la creatura di sorpresa, si lanciò alla carica.


Johan e Aelide, stavano cavalcando fa quattro giorni. Erano stati inviati dai loro genitori, il Duca e la Duchessa di Alto Abisso, a rendere omaggio a Re Aez. Il duca aveva avuto quest'idea per cercare di sbarazzarsi della figlia, che più che una damigella sembrava un ragazzo. Johan la seguiva a cavallo come scorta ma questo non pesava ad Aelide, amava suo fratello.

Quello che avrebbe dovuto essere solo un viaggio cerimoniale si trasformò in una grande avventura. Era ora di pranzo. Si acciambellarono attorno al fuoco, come succede nelle storie più belle. In quel mentre, un rumore frantumò il silenzio. Poco dopo un albero si sfracellò a terra.

Infine la creatura fu visibile. Sembrava furiosa, arrabbiata e ferita. Inoltre si stava dirigendo verso di loro.

Johan afferrò la sua grande spada e si mise davanti ad Aelide.

“Fatti da parte o preparati a mangiare la polvere” urlò per darsi coraggio

Aelide sguainò la sua arma, pronta a dare manforte al fratello. Il terreno era loro sfavorevole ma Johan era un cavaliere formidabile. La creatura attaccò.

Una delle sue fauci scattò vicino al viso dell'avaloniano mentre un altra cozzò contro il baluardo a forma di leone, simbolo del regno. Un colpo di spada di Johan mancò una testa ma favorì Aelide, la quale trattenendo la spada a due mani, perforò un occhio dl mostro.

La creatura doveva essere molto forte ma avendo molte teste, non poteva che farle attaccare una alla volta. Aelide e Johan lo avevano compreso e si stavano difendendo con sagacia. Cionostante se la stavano passando male. Una mascella si chiuse sul braccio di Aelide, per fortuna lei lo ritrasse in tempo, subendo solo una leggera ferita. Emise però un urlo che ebbe l'effetto di distrarre Johan. Una delle fauci si stava per chiudere su Johan quando emerse dal nulla Aez, il quale piantò la sua spada in uno dei colli della bestia, salvando la situazione.

L'odore che scaturì fu fortissimo ma gli ricordò una cosa: “Equinozio”. Era questa la creatura che aveva covato le uova? Aez notò che altre due persone stavano fronteggiando il mostro.

La creatura in inferiorità numerica cominciò ad indietreggiare mentre Johan ed Aelide cominciavano a covare un po' di speranza. Insieme i tre attaccarono all'unisono. Tagliarono una testa, poi due e tre...

La creatura era stata sconfitta!

O almeno questo fu quello che credettero. L'illusione della vittoria svanì quando le teste recise, crebbero nuovamente.

“Questa creatura non può essere uccisa” urlò Johan, disperato

“Tagliamole ancora” disse Aez

Con senso dell'onore i tre avaloniani, applicarono il piano, facile a dirsi ma difficile a farsi. Le nuove teste caddero a terra.

Aez, Johan ed Aelide, stanchi morti, si fissarono negli occhi. Gli occhi verdi di Aelide fissarono gli occhi di Aez e se ne innamorò. Aveva sentito dire che il re fosse un bell'uomo ma le voci non gli rendevano giustizia. Il cuore le batteva all'impazzata ma non era per il colpo di fulmine, ne per la stanchezza. Un veleno insidioso si era insidiato nel corpo della ragazza. Svenne a terra.

“Aelide” urlò Joahn lanciando a terra la spada “Aerlide!”

Alzò delicatamente la sorella, scoprendo una brutta ferita sul braccio. Lungo esso scorreva un liquido scuro.

“Veleno, no no no. Ti prego, non morire”

Aez si stava per dirigere verso la ragazza quando la creatura si alzò nuovamente.

“Attento.” urlò “ Non è morta”

Johan afferrò la spada ma non poteva lasciare la sorella. Il re quindi si ritrovò da solo contro la bestia. Nel torace della creatura, c'era una sfera grigia.

Il re attaccò quella strana sfera con la Spada dei 5 Ancestri. Ci fu un esplosione che gettò a terra gli avaloniani. Erano ricoperti di una strana sostanza viscosa, uguale a quella che era avviluppata al braccio di Aelide.

Una cosa però era certa, L'idra della Nebbia dell'Equinozio, non esisteva più. Johan si alzò per curare la sorella. “Come sta lei, cavaliere?” chiese Aez

“È solo incosciente”

“Seguitemi. Il mio accampamento è dall'altra parte della collina”

“Grazie maestà”

Avalonia era sta vendicata.

Capitolo 3 - La quiete

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La bianca fronte di Aelide era imperlata di sudore. Da ormai due giorni le sue condizioni erano stabili, così Aez aveva potuto portarla fino al castello di Camlahan.

Il vecchio guaritore della famiglia reale non conosceva il veleno e il fatto che la creatura che lo aveva prodotto fosse andata in mille pezzi, non aiutava. Aez si sedette sul bordo del letto. Aveva i capelli legati e la barba lunga ma non era più vecchio di Aelide e Johan.

Nei rari momenti in cui la giovane si destava, Aez cercava di rassicurarla prendendole la mano. Johan era angosciato mortalmente. Lasciava la sorella alle cure del Re mentre si arrovellava per una soluzione. Era in piedi, davanti alla porta, a guardare la sorella, senza saper che fare. Si avvicinò ad Aez.

“Mio Signore, non posso più rimanere a far nulla. Mio padre, il duca di Alto Abisso è in marcia, sarà qui domani mattina, nel frattempo devo affidarvi mia sorella”

Aez i cui occhi trasmettevano preoccupazione non poteva far a meno di pensare alla bellezza di Aelide.

“Tua sorella sarà sorvegliata, cavaliere. Va e di a chiunque ti sbarri il cammino che tu sei la mia mano e spada”

Johan si inchinò e diede un bacio sulla guancia della sorella.

“Resisti fino al mio ritorno”

Il cavaliere lasciò la stanza con il cuore gonfio di preoccupazione. Sarebbe stata ancora viva al suo ritorno? Cercò di schiarirsi le idee mentre correva giù per le scale.

Dove cominciare? Dove avrebbe potuto trovare un mago capace di curare tali malignità? Ad Avalonia non esisteva gente del genere.

C'erano tanti luoghi sacri nel regno ma non potenti come ad Yses, forse lì avrebbe avuto successo. Montò in sella e partì al galoppo.

Quando venne la notte, Johan non aveva incontrato anima viva. Arrivò a Siemhar, in tarda notte, la strada non era nemmeno illuminata dalla luna.

Il villaggio era stato costruito a mezzaluna su di un colle, la cui sommità era stata appiattita per essere pavimentata. Nel suo centro, erano state collocate diverse pietre, le quali dominavano la scena ed erano visibili per molte miglia. Nel mezzo del paese, stava avvenendo qualcosa di singolare: un capannello di persone era riunito ad ascoltare un bardo, il quale cantava la storia di Aez e dell'Equinozio. Una storia impreziosita e riveduta per renderla più poetica.

La gente applaudì quando la ballata fu terminata e fu bel lieta di lasciare al bardo diversi cristalli.

La piazza si svuotò velocemente, in breve rimasero solo il bardo e Johan.

“non ho mai sentito queste storie”

Il bardò si alzò in piedi e in pochi attimi riconobbe la persona che gli aveva rivolto la parola.

“La ringrazio Johan di Alto Abisso, hai apprezzato la parte che ho cantato su tuo padre?”

“Devo essere arrivato dopo. Qual'è il tuo nome, amico mio?”

“Psaume, bardo itinerante e vagabondo” disse inchinandosi

“Dove dormirai stanotte Psaume?”

“Ho visto un bellissimo albero sotto al paese, sembrava comodo e mi proteggerà dalla rugiada”

“Conosci storie su luoghi sacri di Avalonia?”

Il bardo si concentrò.

“Sì, dovrei essere in grado di soddisfare la tua curiosità”

“Seguimi, secondo le regole della cavalleria, il capo-villaggio deve offrirmi ospitalità”

La prospettiva di passare una notte al caldo bastò a convincerlo. I due uomini andarono dal capo-villaggio, il quale li invitò ad entrare in casa a passare la nottata. La maggior parte del tempo la spesero a parlare del tema voluto da Johan: i luoghi sacri. Psaume disse che non era come cantavano i bardi ma che comunque c'era un fondo di verità in quelle leggende.

“I primi che vennero a vivere qui e che poi fondarono Avalonia e i sette regni, veneravano antichi dei. Erano popoli molto religiosi. Sappiamo che ci sono ancora sacerdoti ad officiare certi riti ma ad un certo punto nella storia, queste religioni scomparvero. Probabilmente l'orgoglio degli uomini, spinse gli dei a tagliare i legami”

Johan ascoltava con attenzione.

“Pensi che queste divinità permettessero agli uomini di curare malattie?”

Il Capo-villaggio che non aveva aperto bocca si avvicinò.

“C'è la leggenda della Coppa della vita” disse

Queste parole suscitarono interesse nel cavaliere e nello stesso Psaume.

“La coppa della vita. Certo” disse il bardo

“Parlamene” disse Johan speranzoso

Psaume afferrò il Sitar e cantò del Serpente di nebbia

“Mio dio, i miei occhio piangono. In questa sacra notte in cui splende la luce e non si ode al cun rumore.

La tristezza squarcia il velo ed il mio cuore si ferma, gonfiato dal dolore.

Dalla coppa e dalle mie lacrime nasce un'arma santa. Se sei di mano reale e fino alla fine dei tuoi giorni”

La musica si fermò, lasciando Johan e il capo-villaggio ai loro pensieri.

“Alcune di queste frasi sono scritte su una pietra non lontana da qui, se vuole posso accompagnarla” disse il capo-villaggio

“Le sono molto grato” rispose il cavaliere

Psaume posò il suo strumento e si avvicinò al fuoco del camino.

“Signori devo mettervi però in guardia. Gli dei si premunirono per celare tutto agli occhi degli uomini. Molto avventurieri, bramosi di fama e gloria, si misero alla ricerca della coppa e non furono più rivisti”

“Non ho scelta, se questa coppa potesse salvare mia sorella, devo almeno tentare”

“In questo caso, ti auguro buona fortuna”

Il giorno seguente, il capo-villaggio, come promesso, accompagnò Johan ad ovest. Il paesaggio collinare mutò ben presto in montano. La stra si snodava su una scogliera e l'atmosfera del luogo era opprimente.

L'incedere lento e pericoloso cominciava a fiaccare il capo-villaggio, pur abituato alle escursioni. Finalmente raggiunsero uno spiazzo, in cui tra le rocce ricoperte di muschio si trovava la pietra.

“La pietra è lì, sul lato opposto. Ti condurrò e poi tornerò in paese”

Johan scese da cavallo, il quale era innervosito per via della nebbia. Dall'altro lato c'era una pietra, incisa. Il cavaliere consegnò le redini al compagno di viaggio, prima di andare a toccare la pietra. C'era scritta la stessa storia cantata da Psaume.

“Bhe, aspetta un secondo”

“Sta attento”

“Non ti preoccupare” disse seguendo il sentiero che si snodava dalla pietra fin nella nebbia. Non sapendo che aspettarsi, afferrò la spada. Poi tutto divenne più chiaro, come se fosse in una nuvola.

“C'è qualcuno?” Un uomo anziano, magrissimo e vestito di stracci, gli sbarrava la strada. Si teneva in piedi sul suo bastone e ostruiva completamente il ponte di corde sui cui si trovava.

“Come ti chiami ragazzo?” chiese con voce tremante

“Sono Johan di Alto Abisso”

“Qual'è la tua missione?”

“Ehm...sono alla ricerca di una cura per mia sorella, è avvelenata”

“E qual'è il colore del peluche di Zahal, il cavaliere-drago”

“Non capisco. Posso passare?”

“Poi provare... sì...sì...prova” disse scostandosi

Johan corse in avanti. Le doghe di legno erano deformate ma tenevano il peso. Dall'altra parte vide che qualcuno lo stava fissando. Era il vecchio.

“Com'è possiible?”


Guardò alle sue spalle e vide che si era mosso nella direzione sbagliata. Com'era possibile?

“che magia è mai questa”

“Hai letto le parole?”

“Parole? Intendi la poesia? L'ho letta”

“Però non l'hai capita”

Johan tornò indietro di corsa, fino al capo-villaggio ma non andò da lui, si diresse invece alla pietra.

“Se sei di mano reale”

Anche se nobile non aveva sangue reale

“Aez”

“Il Re?”

“E chi altrimenti?” disse Johan infastidito “Non ho scelta, dovrò farlo venire fino a qui” disse prendendo carta e penna dalla sua bisaccia

Scrisse frettolosamente un messaggio in cui spiegava al re quanto successo . Poi appose il simbolo di famiglia.

“Ho visto un piccione viaggiatore nel tuo villaggio. Puoi tornare indietro ed inviare questo messaggio a Camlahan? È importante”

“Sì. Sì” disse prendendo il messaggio

Capitolo 4 - Reliquie

Aez arrivò la sera seguente. Camlahan non era molto lontana da Siemhar, non capiva come un luogo magico potesse essere celato in Avalonia. Il re apparve esausto e con lo sguardo annebbiato ma ciononostante emanava lo stesso un aura di regalità.

“Vi ringrazio Maestà per essere venuto”

“Tua sorella è sotto la tutela dei vostri genitori, dovevo venire lo stesso a far parte di questa spedizione. Mostrami cosa hai scoperto”

“Dovremo lasciare qui i cavalli, ci sarebbero solo d'intralcio”

“Va bene, facciamo come dici tu” disse smontando da cavallo “Ah, penso che...”

Aez sfoderò la Spada dei 5 Ancestri ed assunse un'aria solenne.

“Johan di Alto Abisso, inginocchiati”

Il cavaliere eseguì quanto ordinatogli senza alcun fiato. Aez poggiò la spada sulla spalla di Johan.

“Hai dimostrato il tuo valore grazie alle tue gesta. Avalonia ha bisogno di un protettore, un uomo di cui fidarsi e di un cavaliere senza macchia.”

Aez rinfoderò la spada e prese un oggetto celato in un verde panno.

“Tieni e porta con orgoglio questa spada” disse rivelando l'oggetto “Ho detto a tuo padre di come hai affrontato la creatura, ne è rimasto così colpito che mi ha detto di darti questa spada”

Johan ammirò la lama. Tante volte l'aveva guardata estasiata, nel castello dei suoi genitori. Gli era stato detto che era appartenuta al primo signore di Alto Abisso e che il tempo non aveva intaccato il suo taglio.

“Ora torniamo a noi. Mostrami il ponte”

I due uomini si incamminarono nella nebbia. Il vecchio era ancora al suo posto. Da quando era giunto Johan non si era mosso di un millimetro. I suoi occhi vitrei guardavano il nulla ma quando Aez si avvicinò, si scosse.

“Come ti chiami giovanotto?” chiese con voce tremante

“Sono Aez, Re di Avalonia”

“Qual'è la tua missione?”

“Salvare la mia amata dalla morte”

Davanti allo sguardo omicida di Johan, il vecchio si fece da parte.

“Allora passate e morite per volontà degli dei”

Johan ed Aez si scambiarono uno sguardo preoccupato, la prospettiva di subire una punizione divina non gli allettava ma non per questo si sarebbero fermati.

Aez s'incamminò. Le doghe scricchiolarono pericolosamente sotto al peso dell'uomo in armatura.

“Volontà degli dei? Sarà questo legno marcio a farci uccidere, se vuoi la mia opinione” disse Aez, raggiunta la metà strada “Cosa ci attende dall'altra parte?”

“Non lo so altezza, ma non ci fermerà”

Questa volta nessuna magia fermò la loro avanzata, così superarono il ponte e si trovarono su un sentiero che costeggiava la montagna. Camminarono a lungo, fin quando, al calar delle tenebre, la strada sin interruppe contro la montagna. Non si poteva andare da nessuna parte, non c'era un'altra via.

“Qui la strada finisce. Abbiamo dimenticato di prendere un bivio?” s'infuriò il Re

Johan esaminò la roccia e ben presto, andando a tentoni, si accorse che la pietra era troppo levigata per essere così di natura. Batté la mano guantata contro il muro e si accorse di due cose: che il muro era cavo e che c'erano tracce di scrittura. Aez decifrò quanto scritto.

Metallo contro pietra. Chiave dei tempi che furono, non disturbare. Questa è la preghiera

“Allontanati Johan” disse brandendo la Spada dei 5 Ancestri

Aez schiantò con forza la spada contro la roccia, come se stesse affrontando un temibile nemico. Nel punto di impatto c'erano crepe. Tirò fuori la spada dal muro e con un calcio abbatté una parte di parete, rivelando così una via nascosta.

“Credi che sia stata una buona idea?” chiese Johan

“Vuoi salvare tua sorella?”

“È ovvio”

“Allora è stata una buona idea. Basta chiacchiere” disse tagliando corto

All'interno c'era un passaggio nella roccia. Alcuni cristalli baluginavo nel buio, rischiarando di un poco l'ambiente e rendendo minimamente visibile il tragitto ai due Avaloniani. Spuntarono fuori dalla scogliera, in lontananza di vedeva Camlahan e sotto Siemhar. Che vista mozzafiato!

La strada era a strapiombo sul nulla e i due avventurieri si rassicurarono quando il passaggio si allargò di un poco. Ora sopra le nuvole. C'erano diverse luci e pochi alberi. Infine giunsero in una sorta di piazza, con vari edifici, disposti in maniera speculare alla città di Siemhar. Una piccola cascata scendeva da un dolmen e baciava un altare bianco. Su cui era poggiato un oggetto.

“È il calice” pianse di gioia Johan

Infatti lo era ma mentre i due avanzarono, dal nulla apparve una donna fatta non di carne ma di fumo. Una creatura spettrale.

“Un tempo gli dei ci diedero queste meraviglie ma ben presto fummo troppo arroganti. Gli dei ci punirono per questo. I vostri cuori, Aez Re di Avalonia e Johan di Alto Abisso, sono privi di quell'arroganza. Potete avere quel che volevate ottenere. Colei che berrà da questo calice potrà iniziare una nuova vita ma dovrà farlo qui”

Il Fantasma si allontanò, consentendo ad Aez di prendere il calice

“Ricordate le mie parole, non oltraggiate gli dei”

Pochi giorni dopo, Aelide era stata condotta al luogo sacro da Camlahan e dopo aver bevuto dal calice, si era ripresa.

“Siete uomini d'onore e gli dei vi guardano benevoli. Potrete portare Avalonia verso un era di benessere. I vostri cuori batteranno all'unisono”

Aez guardò Aelide come solo un innamorato può fare.

Il viaggio di ritorno fu l'occasione perché i due rivelassero all'altro i rispettivi sentimenti. Giunto a Camlahan, Aez chiese la mano di Aelide al padre di lei, il quale non avendo nulla da obiettare, benedì l'unione. La Regina Madre era altrettanto soddisfatta.

Il re ordinò che venisse costruita una strada che rendesse più semplice l'arrivo al luogo sacro e lì, alcuni mesi dopo, si celebrò il matrimonio tra Aez ed Aelide. Matrimonio celebrato con la coppa sacra agli dei.

Avalonia aveva una regina.

Società Segreta


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Capitolo 1 - Chantelain

Le fiamme della candele , mosse da un leggero vento notturno, facevano danzare delle ombre silenti vicino al Consigliere Chantelain. Seduta alla sua vecchia scrivania, osservava attento alcuni documenti, conservati alla rinfusa tra varie scartoffie. Stava vergando con velocità, molte utili informazioni, attento a divulgare LA verità. Intinse nuovamente la penna nel calamaio, d'un tratto sospirò guardando la pesante porta d'ingresso sbarrata con un passante di metallo.

L'uomo delle terre dell'ovest aveva guadagnato i suoi gradi di consigliere grazie alla bontà del suo lavoro come investigatore; in quasi 30 anni era stato un pilastro del Consiglio. Questa volta aveva però scoperchiato un vero vaso di Pandora. Una goccia d'inchiostro cadde a terra, sulle consunte assi di legno.

Stava per ricominciare a scrivere quando le candele si spensero all'unisono. Il suono del vento era l'unico rumore percettibile. Chantelain si alzò lentamente in piedi, con un pugnale pronto ad essere estratto. Lo sapeva, LUI era lì.

“Fatti vedere Braccamago, facilitami il lavoro” disse come se stessa colloquiando con qualcuno davanti a se.

Chantelain era in un angolo, con le spalle coperte ed alla ricerca di abituarsi all'oscurità. Forse era stata una folata di vento a spegnere le candele? Non era impossibile.

D'un tratto un lampo nel cielo, illuminò la stanza. Lo vide! Era in piedi nella stanza.

Iniziò il combattimento, Chantelain non attese oltre, anche perché se lo aspettava e non ne aveva paura. I colpi da entrambe la parti erano veloci, come i lampi che squarciavano il cielo.

La lente che il cacciatore aveva sul volto, gli permetteva di vedere nel buio e ciò lo avveantaggiava non poco. Il combattimento era violento ma il Braccamago aveva commesso un grave errore: aveva sottovalutato la forza del suo avversario.

Nessuno dei due riusciva a prevalere sull'altro. Un susseguirsi di clangori e colpi produsse rumore.

Quel trambusto attirò le guardie, le quali si affrettarono a battere sulla porta al grido di “Signore, cosa succede?”. Il cacciatore aveva un altro piano d'azione, diede un calcio a Chantelain facendolo arretrare nel suo ufficio e poi con gesto rapido e fulmineo estrasse una pistola, con la quale fece immediatamente fuoco.

Manco però il bersaglio.

Chantelain, reagì balzando addosso al nemico, spingendolo contro la finestra. La manovra funzionò, il Consigliere sapeva che per uscire incolume da quella situazione aveva bisogno delle guardie. Grazie alla spinta, il braccamago cadde dalla finestra, atterrando con grazia a terra. Chantelain si tuffò al suolo, per mantenere pressione sull'avversario.

“Così Braccamago, è tutto quello che sai fare?” gridò Chantelain per schernire il famoso assassino. “So chi sei”

Si tolse la maschera per vedere meglio. Il volto era quello di un uomo dai corti capelli castani. Aveva molte cicatrici. I due uomini si squadrarono. Chantelain cercò di memorizzare tutto, in modo da non dimenticare alcun particolare.

Se fosse fuggito, il Braccamago sarebbe tornato ad uccidere, doveva stargli addosso. La pistola gli era caduta durante la colluttazione, quindi doveva solo temere il corpo a corpo.

Chantelain attaccò con furia ma il suo avversario evitò i colpi senza troppi problemi. In quel mentre, quando il Braccamago cercava di ritrarsi, Chantelain colpì un ulteriore attacco con il pugnale. Il suo colpo andò a segno, trafiggendo il polmone sinistro, mentre la disperata difesa dell'assassino si limitò a trafiggere la gamba del Consigliere.

Il braccamago cadde a terra. Il Consigliere tremante per il dolore, estrasse il pugnale dalla sua gamba. Il sangue scorreva copioso ma non era in pericolo di vita.

Il braccamago si muoveva ancora ma lo avrebbe fatto ancora per poco.

Poi un colpo raggiunse Chantelain alla testa, facendolo cadere al suolo. La vista si offuscò. Un'ombra si avvicinò. Un altro Braccamago. Con un uniforme diversa.

“Se sai i nostri segreti saprai anche che siamo in tanti ….e di gradi diversi. Non preoccuparti Chantelain, non farò l'errore di ucciderti. So cosa stai facendo”

“Cosa...cosa..mi hai fatto” disse il Consigliere con difficoltà

Il Braccamago si avvicinò al suo collega, prima di parlare nuovamente.

“Non vedrai mai più la luce del sole”

“Quella voce...tu sei...”

Il dolore divenne insostenibile e il Consigliere svenne.


Capitolo 2 - Ombra

Due mesi prima, Verace aveva assunto il ruolo di Consigliere Decano, in modo che l'istituzione che rappresentava diventasse più moderna e meno lenta. Come tutti gli altri Consiglieri era stato chiamato ad eleggere nuovi Consiglieri.

Chanteliain era un fiero oppositore ad Edrianne ed un buon alleato di Verace., tutto questo prima che venisse fatto repulisti dei nehantisti.

Sotto alla guida di Verace, ne era sicuro, il consiglio avrebbe potuto affrontare con più risoluzione determinati problemi. L'incontro si svolse nei giardini dove, nonostante la stagione fredda, i fiori crescevano rigogliosi.

“Complimenti per la tua nomina Consigliere Decano”

“Grazie Chantelain” rispose stringendogli la mano “In parte lo devo a te e non lo dimenticherò” continuò invitandolo a fare due passi.

“Quali sono i miei nuovi incarichi?” chiese Chantelain

“bhe caro amico, ho una questione importante, anzi importantissima” rispose con serietà assoluta “Questa sera verrà una persona. Uno degli Zil. Secondo il Consigliere Abyssien, questa persona ha importanti informazioni sul Braccamago”

Gli occhi di Chantelain brillarono al sentire quel nome.

“Vuoi indagare sul Braccamago? Se non ricordo male, l'ultima persona ad averlo fatto è stato assassinato dieci anni fa”

“So che è pericoloso e la tua vita è preziosa per me ma non credo esista nessun altro abbastanza valido per una missione così ardua”

Chantelian soppesò mentalmente la situazione.

“È pericoloso ma la prospettiva di poter catturare il Braccamago è uno stimolo più grande. Accetto”

La sera stessa Chantelain ricevette il testimone segreto di cui gli aveva parlato il Decano. Non era altri che la giovane Ombra. Il colloquio si svolse in una piccola stanzetta, normalmente usata per gli interrogatori. La stanza era spoglia, c'era una scrivania e due sole sedie.

Chantelain accese tre candele ed invitò la ragazza a sedersi. La giovane scrutò ben bene la stanza e la giudicò abbastanza protetta da occhi indiscreti.

Il Consigliere aprì la sua borsa per recuperare penna e fogli. Cominciò con domande generiche.

“Il nome Ombra è un soprannome, vero? Come ti chiami?”

Una domanda così banale richiese alla giovane un tempo incredibile per rispondere ed un sacco di fatica.

“Penso che mi chiamassi Yasma. Non sono sicura. Mi hanno chiamato così perché era appena passato il tramonto”

“Hai perso la memoria?”

“Perso è la parola sbagliata. Mi hanno preso da piccola e cresciuta come una dei tanti, senza coltivare alcun individualismo”

“Loro? Sono più di uno?”

“Sì, è un organizzazione. Sono molti”

“Voglio maggiori dettagli. Hai qualche numero da dirmi? Luoghi? Nomi? Qualcosa?”

Chantelain era visibilmente soddisfatto di questo incontro, finalmente stava avendo le prime informazioni.


“Ahime, hanno fatto in modo che ricordassi un gran poco. Ricordo che vivevo in un piccolo villaggio. Venni venduta ad un mercante dai miei genitori, perché non potevano mantenermi. Non ricordo i volti dei miei genitori, infatti il mio primo ricordo è quello dell'uomo che mi comprò e che mi portò in un posto pieno di bambini come me. Non so dove fosse quel posto ma ci addestrarono a diventare assassini perfetti. I più fragilini venivano eliminati così che alla fine fummo in pochi a poter conseguire il rito di passaggio”

“Cos'è il rito di passaggio?”

“Uccidere qualcuno senza lasciar alcuna traccia”

“È una follia!”

“Ora lo penso anche io ma quando era nell'organizzazione la pensavo diversamente”

“Continua a raccontarmi altro”

“Ricordo di aver ucciso un mago novizio della Draconia. Ho ancora l'odore del suo sangue nelle narici.” disse con una smorfia “Ci riuscì e quindi mi diedero la tuta che mi qualificava come Braccamago. Le regole e la disciplina nell'organizzazione sono tutto, da esse dipendeva la nostra sopravvivenza”

“Sembra che questa organizzazione sia tentacolare”

“Hanno un rete enorme di contatti e sono molto informati. Non ho alcun dubbio che la nostra conversazione non rimarrà privata a lungo. Ho trovato persone che mi proteggeranno in cambio dei miei servizi ma tu?”

“Non aver paura, ho le miei risorse. Ti prego, continua”

Ombra respirò a lungo mentre faceva mente locale su avvenimenti che avrebbe preferito dimenticare.

“Una volta divenuti Braccamago si viene messi ai comandi di un Braccamago anziano, il quale ti darà incarichi da completare. Il mio era un bersaglio semplice, una sacerdotessa da uccidere. Ma il destino aveva altri piani per me. Alla fine mi son ritrovata moribonda lungo il fiume, il Braccamago che mi accompagnava nella missione pensò che fossi morta. Fece un grave errore perché avrebbe dovuto rimuovere il mio corpo. Non lo fece però”

“E in questo caso che succede?”

“Ci son due possibilità. Una è rimediare al fallimento e l'altra è la morte. Dal momento che non l'ho rivisto penso sia morto. Ma se così non fosse so già che mi sta aspettando”

“Capisco” disse Chantelain mettendo le mani sul tavolo “Ora puoi dirmi un luogo?”

Ombra scosse la testa.

“I Braccamago hanno conoscenze sorprendenti di magia e tecnologia. Così se la missione non va a buon fine non c'è un punto di ritorno. Generalmente non si può cercare un Braccamago, sarà a lui a trovare te. Ho ben poco altro da dire”

“Hai già fatto molto, la tua testimonianza mi sarà molto utile. Hai avuto coraggio”

“Non è il coraggio, è che non riuscivo più a stare in silenzio” disse Ombra alzandosi dalla sedia.


Capitolo 3 - Braccare il Braccamago

Gli archivi del Consiglio, da soli, occupavano un'intera area dell'imponente Castello di Kaes, cioè la fu dimora del celebre protettore. In circa cento anni, l'edificio aveva subito diverse modifiche e dell'aspetto originario, oramai, rimaneva ben poco.

Chantelain aveva dovuto percorrere un interminabile dedalo prima di giungere a destinazione, c'erano poche persone presenti. Tuttavia, secondo il suo parere, gli archivi era un luogo strategico, una fonte di ricchezza di informazioni ed un luogo di conoscenza. Era un luogo attiguo alla biblioteca ma molto meno ordinata e il pensiero del Consigliere era che avrebbe impiegato molte ore prima di trovare quanto di cui aveva bisogno.

Non appena arrivato, venne immediatamente intercettato dal responsabile del luogo, Capharmaum.

“Cosa posso fare per aiutarla, Chantelain?” chiese il giovane

Dispiegò un rotolo e ne fece leggere il contenuto al giovane archivista.

“Ho bisogno di leggere le relazioni del Consigliere Egoberto. Poi devo accedere ai dossier il cui numero è scritto sul rotolo” disse con severità

L'archivista nel leggere quel numero ne rimase scioccato, balbettò un “mi segua”, il cui eco rimbombò nella sala.

L'interno degli archivi era veramente singolare. C'erano diverse scale che si inerpicavano lungo la torre. I muri erano costruiti senza alcuna trave o sostegno, dando l'idea di poter collassare su se stessi da un momento all'altro. Cosa che non sarebbe mai accaduta, ovviamente. Nel bel mezzo della torre, c'era un enorme pilastro di pietra, sul quale si stagliava una scala che permetteva di raggiungerne la cima. E ovunque c'erano scaffali ricolmi di pergamene ed oggetti di ogni sorta.

Il giovane archivista condusse Chantelain nella sommità della torre, in una zona estremamente riservata. Questa zona, riservata a ben poche persone, era incredibilmente ordinata. Ogni mensola aveva un buon numero di documenti ma qui, c'era della magia che impediva a mani indiscrete di afferrare documenti di rara importanza.

“Eccoci, la prego di firmare il registro, una volta terminato”

Ogni sezione dell'archivio era ben visibile in modo che si potesse tracciare chi consultava i testi. Chantelain diede una rapida occhiata, senza fare troppa attenzione ai dettagli. Poi firmò il registro, che venne poi riposto in una robusta scatola di legno e armeggiò con la borsa che portava a tracolla.

Una volta usciti dalla stanza, l'archivista condusse Chantelain ad un intero scaffale

“Ecco gli appunti del Consigliere Egoberto. Non era noto per essere sintetico”

“Lo vedo”rispose alzando un sopracciglio “Bhe, ti ringrazio. Mi ci vorrà del tempo”


Infatti il Consigliere ci rimase quasi un ora. Egoberto era rimasto in carica per una decina d'anni ed aveva vergato numerosi rapporti. Dopo aver dato uno sguardo sommario, Chantelain era stupefatto. Ogni Consigliere doveva tenere rapporti frequenti sulle proprie attività ma in questo caso mancavano molte pagine. Il fatto che erano state sottratte delle pagine era palese.

“Non avrei dovuto esserne sorpreso”

Grazie alla sua capacità deduttiva e ad un analisi attenta trovò comunque qualcosa di interessante. Il giorno seguente il suo ufficio era diventato un cantiere. Chantelain aveva sparso ovunque pergamene, rotoli e libri.

“Dai vecchio mio, concentrati”

“L'uomo era in nero e massiccio”...”rapido come un fulmine, con un piccolo mantello e qualcosa di vitreo sul volto”...”Organizzazione”.

“Ho già appurato che abbiamo a che fare con una Società Segreta. Se i rapporti sui loro omicidi sono veri, i dettagli sono preoccupanti. Hanno sempre violato qualunque protezione magica. Sono troppo bravi per essere non avere un cervello, un qualcuno che li guidi nell'ombra. Devo stare attento”

Afferrò un campanello, lo fece tintinnare chiamando uno dei suoi servi. Poi dopo aver vergato alcune parole, scambiò alcune parole con il servo.

“Dallo al Decano Verace, solo a lui. Nessun altro deve nemmeno saperne l'esistenza, intesi?”

L'uomo, con i corti capelli castani prese la pergamena con deferenza e se ne andò. Mezz'ora dopo comparve nel luogo in cui gli era stato ordinato di andare,

Verace lesse la lettera e ringraziò il fidato maggiordomo.

Poco dopo il Consigliere si presentò alla porta dell'ufficio di Chantelain. Bussò.

“Chi è?” chiese l'investigatore

“Sono io, Verace”

“Ah, aspetta” rispose rimuovendo la pesante sbarra che chiudeva ermeticamente la porta

“Ti sei rinchiuso dentro?” chiese il Decano

“Sì, ascoltami. Abbiamo a che fare con un Organizzazione potente come il Consiglio o come alcune gilde. Quello che ho scoperto mi fa paura, ho bisogno tu mi accordi un piacere”

“Dimmi pure”

“Devi lanciare il sortilegio del Messaggero Fantasma. Se mai verrò ucciso voglio che tu venga a saperlo”

Verace soppesò la richiesta dell'amico ma diede la riposta che ci aspettava.

“Certamente, mi pare che Edrios sia in grado di farlo”

“No, dobbiamo farlo in segreto. Più aumentano le persone che lo sanno, più aumentano i rischi”

“In questo caso, me ne occuperò io”

Capitolo 4 - Origini

Siamo alla fine del trentaseiesimo anno del calendario imperiale, settanta anni prima che la terra di Guem venisse incendiata dalla pietra caduta dal cielo.

Nehant era stato rinchiuso nella sua prigione, la gente solo ora cominciava a riemergere dalla devastazione. Sulle ceneri di un mondo distrutto, un manipolo di Eroi e leader delle grandi civiltà, s'incontrò per discutere del futuro del mondo. I Kotoba e gli Inviati di Noz'Dingard costruirono i loro accampamenti ai piedi delle rovine del Castello di Kaes.

Per questo sul luogo erano presenti almeno 10000 persone, uomini, donne, semplici avventurieri e grandi eroi. Fu un momento molto importante perché di fatto sancì la nascita delle Gilde.

In un gran tendone, si trovavano i grandi Eroi, che stavano assaporando la vittoria e discutendo sul futuro,

“Dov'è Eredan?” chiese il Profeta, esaminando le facce intorno a lui.

“Sta rafforzando la prigione di Nehant, il nostro compito invece è quello di imbastire le Gilde” disse Artrezil.

“In questo caso è tempo di agire e di lasciare che i nostri uomini possano tornare a casa” disse una giovane donna vestita come i Kotoba di appena vent'anni “L'Impero deve prepararsi a dire addio al suo primo Imperatore”

“La Signora Imperiale Ayako ha ragione. Se mi accordate il sostegno vorrei presiedere la riunione”

L'uomo che aveva parlato sembrava uno della gente di Tantad. I suoi lunghi capelli corvini non erano mai stati recisi, li portava con monili d'argento. Era vestito con una rigida armatura di cuoio e brache di tela, portava anche bracciali d'argento ormai ossidatisi per via del tempo. Aveva profondi occhi azzurri e trucco sul volto che lo faceva rassomigliare ad un teschio. Il tutto gli conferiva un carisma eccezionale.

La sua voce era forte e tranquilla. Il silenzio in sala conferì forza alla richiesta di questo strano personaggio.

“Ascoltiamo il Signore d'Orgos” decretò Profeta, dando così il via alla riunione

L'uomo salì su di uno scranno di legno e si beccò qualche sguardo di sfida da alcuni dei presenti.

“La guerra è finita, è un dato di fatto. Impariamo dagli errori commessi. Coloro che chiamiamo Eroi si sono coalizzati per fronteggiare un male comune. Ciò ha portato alla creazione dei Kotoba, Nox'Dingard, Thanotosien e altre ancora. Credo che questo sia l'unico modo per prevenire qualunque futura minaccia. Abbiamo avuto tutti perdite pesanti, gli eserciti delle grandi potenze son stati spazzati via dalla forze di Nehant. Penso sia necessario riconoscere le gilde legalmente cosicché si conosca il loro fine e ruolo”

“Hmm questo non potrebbe portare alcuni opportunisti ad entrare nelle Gilde per avere una sorta di protezione e muoversi liberamente?” chiese Artrezil.

“Per questo motivo, avrei un'idea in merito. Oltre ai vari dettagli di cui discuteremo credo sia necessario creare una sorta di istituzione centrale, il cui ruolo sia quello di far osservare regole stabilite e di prendere l'incarico di situazioni spinose. Una sorta di Consiglio delle Gilde, i cui membri verrebbero scelti tramite trattato. Durante la guerra ho pensato che potesse esserci un membro per ogni Gilda”

Due giorni dopo il Trattato delle Gilde era pronto. Venne ratificata da tutte le grandi potenze del mondo e così facendo si diede inizio al Consiglio delle Gilde ed alle Gilde stesse. In omaggio ad un così importante evento, il re di Lokta'ch offrì al Consiglio il Castello di Kaes. Il signore d'Orgos e capo dei Thanotesiens diede appuntamento a tutti tre mesi dopo, alla prima sessione del Consiglio.

Venne nominato come primo Consigliere Decano.

Nella sala del Castello di kaes, nella quale poi si sarebbero prese importanti decisioni, i Thanotesien ascoltavano il loro leader.

“Amici, fratelli, come me avete perduto la vostra famiglia ed i vostri cari. Mi conoscete come io conosco voi. Il vostro odio per Nehant è assoluto e implacabile. Per questo non c'è altra via che la spada. Sapete che il trattato non punisce con la morte chi era attratto dalla magia nehantica”

Orgos si trattenne, il dolore per la perdita della sua famiglia era troppo grande.

“Il nostro piano andrà come pensato. Ebhoki arriverà domani o il giorno dopo. Se siete in dubbio su quanto dovremo fare, questo è il momento adatto per tirarsi indietro. Nessuno si arrabbierà”

Nessuno delle tre persone presenti però fiatò, accettarono di fatto il passaggio ad una nuova vita.

Ebohki arrivò tre giorni dopo visibilmente stanco. Il geniale artigiano era venuto direttamente dalla regione di Thano, dove era stato trattenuto più a lungo del previsto. Venne accolto a Castello dal signore d'Orgos.

“Maestro di Kref'ga, benvenuto al Castello di Kaes, sede del Consiglio delle Gilde”

Ebohki era un uomo dalla massiccia costituzione e di acuta intelligenza. Si mise a scrutare il castello, immaginando come era stato e come avrebbe potuto diventare. Dalla carrozza fece emergere la sua personale cassetta, enorme, ed una carriola.

“Dovremo rimuovere tutti i detriti e riporli nel punto giusto” disse l'artigiano

“Sarà fatto, non preoccuparti. Prima di iniziare a lavorare, potresti rilassarti. Com'è andato il viaggio da Thano?”

“In realtà ho passato il tempo a lavorare al progetto, senza prestare attenzione al tempo. Ti ho portato un paio di cose che spero di piaceranno” disse indicando la sua borsa

Una volta entrati nella sala grande del Castello, Ebohki si sedette a terra, invitando gli altri a farlo.

“Non sono il migliore per quanto riguarda le armi ma ho cercato venire incontro ai tuoi desideri e sopratutto alle tue origini” Iniziò quindi a estrarre vari oggetti: pistole, pugnali, spade, scudi, monili ed altri oggetti ancora. Gli occhi dei Thanotesien brillavano.

“Come mi hai chiesto, signore d'Orgos, lo stile di questi oggetti è differente da quello delle tue terre”

“Lo vedo ma lascia che siano i miei compagni ad occuparsi di questo. Seguimi, voglio mostrarti il luogo di cui ti parlavo”

Con queste parole indicò il Castello, antca dimora di Kaes, uno dei protettori dei Sette Regni, scomparso dal giorno alla notte. La leggenda voleva che il Castello rimanesse vuoto fino al ritorno del suo padrone ma lui non tornò mai e quindi era divenuto sede del Consiglio delle Gilde.

Kaes era un guerriero ma anche uno studioso. Era un uomo misterioso che nulla lasciava al caso. Pertanto aveva costruito il suo castello su di un luogo magico. Ebohki ed Orgos visitarono i sotterranei, un vero labirinto.

Il leader dei Thanotesien aveva già visitato quei luoghi quando si era rifugiato lì con la famiglia, durante la guerra. A quei tempi, una parte del muro era crollato, rivelando una grotta, pervasa di potere magico e là aveva avuto l'idea di mettere in atto un piano.

La grotta era colma di centinaia di cristalli azzurri. Ebohki che aveva un'affinità per la magia ne rimase stupefatto.

“Voglio che questo posto, possa divenire un punto di riferimento. Ci vuole una sala riunioni e varie stanze per accogliere persone. Ci vorranno anche delle segrete in cui celare oggetti nehantici, in modo da celarli alla tentazione della gente. Inoltre se il mio senso dell'orientamento non mi inganna, posso creare anche un accesso segreto, in fondo alla grotta”

Le idee scorrevano come un fiume in piena, nella mente di Ebohki.

“Per quanto riguarda la segretezza non c' problema. Posso rendere le vie d'accesso invisibili” continuò a parlare quasi tra se e se.

Dalla sua bisaccia tirò fuori un cristallo viola, della dimensione di un dito, e lo avvicinò ai cristalli azzurri. Immediatamente ci fu una reazione. La luce proveniente dai due cristalli si fuse, in un fumo variopinto.

“Questi cristalli sono colmi di magia. Questo posto è favoloso e unico. Potrò sviluppare una tecnologia senza pari.....ma sarà molto costoso perché saranno necessari materiali rari”

“Tieni a mente che ho un budget illimitato”

Il sorriso dell'artigiano bastò come risposta.

“Mi metto al lavoro”


Passarono tre anni. I Thanotesien e l'artigiano avevano lavorato instancabilmente per l'obiettivo del Signore d'Orgos. Ora la caverna aveva una forma non naturale. Ovunque nelle pareti erano incisi simboli e scanalature che convogliavano energia magica. Erano stati costruiti grandi pilastri, con incise rune, che servivano per attirare l'energia magica dei cristalli.

L'artigiano era soddisfatto del suo lavoro.

È finita. Vieni che ti mostro come funziona”

Orgos e i suoi compagni avevano mollato il vecchio vestiario in pelle e il trucco facciale per qualcosa di più leggero ed adatto a muoversi in velocità. Ebohki aveva creato per loro una maschera con un grande occhio vitreo.

“È incredibile, non diminuisce la visibilità” disse uno del gruppo

“Non troverete nulla di simile nella terra di Guem. Ho creato questi oggetti con materiali che non provengono dal nostro mondo. Ogni fibra, ogni filo, ogni cristallo, ogni parte delle vostre armi è impregnata di magia. Sarete in grado di prodezze incredibili e conoscendo la vostra nomea di guerrieri, ne ho quasi paura”

Orgos esaminò una delle lame, la cui superficie era incisa con rune. Conosceva il significato di esse perché anche a Tantad c'era la magia.

“Vieni, seguimi” ordinò l'artigiano

Lo condusse dalla parte opposta della grotta, in una zona molto particolare. Sul soffitto diversi canali erano scavati, convergevano tutti in un unico punto, dietro ad una porta.

“Questa è quella che chiamo la stanza della guarigione. Ci sono dei macchinari che convogliano energia magica. Non sovraccaricate la macchina, ha un rumore indistinguibile. Per attivare la guarigione bisogna mettersi al centro della stanza”

I Thanotesien ammiravano stupefatti le apparecchiature.

“Devo avvertirvi. Non abusate della guarigione, danneggerebbe i macchinari. Sono tutte tecniche sperimentali, inoltre l'eccesso di abuso di magia potrebbe produrre in effetti collaterali.”

Orgos rimosse la sua maschera e si congratulò con Ebohki per il mirabolante lavoro svolto.

“Mi fermerò ancora un po'. Vi insegnerò ad usare i vostri strumenti e poi me ne andrò” disse l'artigiano

La formazione durò diversi giorni, il tempo necessario perché i Thanotesien imparassero a padroneggiare le loro nuove abilità e le armi a distanza. Ma non era per nulla complicato per loro, tutto sembrava loro familiare. Una sera Ebohki disse che erano pronti.

“Non ho più nulla da insegnarvi, siete pronti per affrontare le missioni che il Consiglio di affiderà”

Orgos si avvicinò all'artigiano, fissandolo attraverso l'occhio-obiettivo. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato e che per avere successo avrebbe dovuto sacrificare degli innocenti.

“Il Consiglio non sa quello che facciamo e mai lo saprà”

Alla fine della frase, Orgos piantò la lama nel petto di Ebohki e poi la estrasse con un gesto secco. L'uomo cadde a terra morto, senza capire il gesto dell'uomo che aveva aiutato.

“Non esistono più i Thanotesien, noi siamo i Braccamago. Noi siamo tanti e nessuno. Nessuno saprà mai il nostro segreto o la morte lo colpirà. Spero che questo punto sia chiaro. Ora è tempo di spiegare al Consiglio che la nostra Gilda verrà sciolta e attendere il nostro primo obiettivo. Visto il numero di nehantisti ancora in giro, non dovremo aspettare per molto.”

Capitolo 5 - Affari interni

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Bam Bam Bam

La guardia del Consiglio sbatteva con forza il pugno sulla porta del Consigliere Verace.

“Consigliere Decano, Consigliere Decano, si svegli”

Verace aveva il sonno leggero, pertanto si era già alzato al primo battito. Afferrò il mantello, se lo mise sulle spalle ed aprì la porta.

“Cosa succede?”

“È per il Consigliere Chantelain...”

“Cosa gli è successo?” tagliò corto Verace

“È scomparso”

“Conducimi ai suoi appartamenti per favore. Svegliate i Consiglieri Marlok e Abyssien. Siate discreti, non voglio gettare nel panico tutto il castello”

Ancora abbigliato da notte, Verace sfrecciava tra i corridoi in preda alla furia per via dell'inquietudine che provava per il suo amico. Sul posto trovo solo caos.

La porta era sfondata, i vetri rotti, la mobilia ribaltata e carte ovunque. Verace si sporse alla finestra, la fioca luce non bastava per vedere abbastanza bene. Si comprendeva però benissimo cosa fosse accaduto. Fece attendere le guardie alla porta. Fece una magia per rendere immobile tutto ciò che era presente nella stanza.

“Avete toccato qualcosa?” chiese infastidito

“No, Consigliere Decano”

“Bene così. Devo chiedervi di riferire alla servitù di non toccare nulla e di non parlare di quanto accaduto con nessuno”

Poco dopo giunse Marlok, seguito da un ancora addormentato Abyssien.

“Consigliere Decano, ci hai fatto chiamare?”

“Sì Consigliere Marlok, entrate entrambi” disse indicando l'ufficio

“Un sortilegio di stasi?”

“Scusate se vi ho fatto svegliare durante la notte ma la situazione è grave. Il Consigliere Chantelain è scomparso, probabilmente a causa del Braccamago. Il suo compito era indagare proprio su quella persona”

“È palese che non ci sia riuscito” disse Abyssien strozzando uno sbadiglio.

“Sì e no. Ieri era venuto da me a chiedermi di stregarlo con il Sortilegio del Messaggero Fantasma. Avevo capito che aveva ottimi motivi per volerlo e così oltre a lanciare quell'incantesimo ne ho scagliati altri. Con se ha un Segno d'Ombra, sperando che sia ancora attivo”

“È curioso che il Braccamago non abbia ucciso direttamente Chantelain. Non ho mai assistito ad un assassinio del Braccamago ma me ne hanno raccontati di spettacolari” notò Marlok

“Un Segno d'Ombra? In questo caso posso rintracciarlo” disse Abyssien

“Sì, per questo ti ho voluto. Trovate Chantelain e portate avanti l'indagine prima che gli accada qualcosa di malvagio. Io invece ho alcune cose da fare, ed alla svelta. Se Chantelain non è morto è solo perché il Braccamago sapeva del sortilegio del Messaggero Fantasma”

“Mettiamoci all'opera” annunciò Marlok


Chantelain aveva un terribile mal di testa. Gli ci era voluto molto tempo per riprendersi dal colpo. Una mano lo scosse e gli diede uno schiaffo per svegliarlo istantaneamente. La luce profusa dalla lampade, probabilmente magiche, non era aggressiva, anzi era soffusa.

“Il dolore passerà presto Chantelain, non preoccuparti”

Il Consigliere indirizzò lo sguardo verso il punto da cui proveniva la voce, era della stessa persona che prima lo aveva steso. Davanti a lui, un Braccamago lo guardava; non aveva lo stesso costume di colui che aveva affrontato.

Il luogo in cui si trovava era una grande stanza, senza finestre o porte. Era arredata lussuosamente e i muri erano scavati per permettere a flussi di magia di scorrere.

“Cosa devo fare con te? Aspettare che svanisca l'influsso del Messaggero Fantasma ed ucciderti?”

Ora Chantelain era sicuro dell'identità del Braccamago.

“Edrios. Togliti la maschera, il tuo accento di Tantad ti ha tradito”

Il Braccamago sollevò la maschera, mostrandosi con il volto del Consigliere Edrios. Prese una sedia ed andò a sedersi davanti al prigioniero.

“Sei sempre stato un segugio Chantelain e ho potuto notare che sei formidabile con un'arma in mano. Hai ucciso un'apprendista ma questo poco importa”

“Liberami Edrios, non guadagnerai nulla dal tenermi prigioniero o dall'uccidermi. Stavo solo facendo il mio lavoro”

“Ed io il mio. Devo proteggere l'Organizzazione”

“Non proteggerai nulla invece. Il Consiglio farà qualunque sforzo per trovarmi non appena il Messaggero Fantasma sarà attivo”

“Il Consiglio?” disse Edrios con un sospiro “Il Consiglio venne creato dalla medesima persona che creò questa Organizzazione, quella dei Braccamago. Siamo sotto il Castello di Kaes. Per farla breve, non ti troveranno mai”

“Come posso crederti? Potremmo benissimo essere dalla parte opposta del mondo”

“Certo, potrei averti mentito. Ma perché farlo? Io, grazie a questa organizzazione, combatto contro Nehant”

Chantelain fece mente locale sulle varie relazioni che aveva letto.

“Uccidere innocenti per te è onorevole?”

Edrios aggrottò la fronte, il suo sguardo si fece duro. Si alzò di scatto, con l'arma in pugno.

“Zitto. Cosa ne sai tu della fatica e della pena che ci costa combattere contro quel cancro chiamato Nehant?”

Chantelain non si lasciò impressionare, aveva già avuto molti scambi violenti di opinione nella sala del Consiglio.

“Davvero? Davvero dici ciò dopo quanto successo? Un demone che controlla il Consiglio. Se qualcuno ha fallito quelli siete voi” urlò


Nel frattempo Marlok ed Abyssien vagavano per le vie del Castello, seguendo una buffa creatura d'ombra che annusava per terra.

“Ma quindi, Chantelain sarebbe ancora nel Castello secondo te?” chiese Marlok

“Questo non lo so, sto solo riducendo la zona di ricerca”

Abyssien non finì la frase perché il segugio era partito.

“Oh bene, andiamo”

Entrambi i Consiglieri si misero ad inseguire la creatura magica attraverso scale e corridoi. A volte giravano a destra, altre a sinistra, su e giù per piani, fin quando non trovarono un corridoio che conduceva nelle viscere dell'abitazione. Non c'era alcun motivo per cui la creatura d'ombra puntasse in un corridoio che nessuno aveva mai visto, eppure il suo muso puntava n quella direzione.

“A quanto pare il tuo braccatore ha perso la strada” scherzò il draconiano

“Niente affatto, amico mio. È solo che Chantelain deve essere da qualche parte dietro a quel muro”

Marlok toccò con la sua mano di cristallo la superficie del muro mentre Abvyssien esaminava i paraggi della zona. Il Draconiano concentrò sulla mano la sua magia.

“C'è veramente qualcosa” disse seriamente

“Anche secondo me, penso che sia possibile oltrepassarlo”

“Hai ragione Abyssien, c'è un passaggio che si apre con una certa magia”

La mano di Marlok si tinse di una luce bluastra, facendo apparire sul muro un cerchio magico. Poi d'un tratto il passaggio divenne visibile come acqua limpida. Marlok tirò fuori dal suo vestito un tubo di cristallo e ne mise un estremità attraverso la porta magica.

“Ben fatto” disse Abyssien “andiamo?”

“Sì ma attenzione, nella magia di prima ho visto le rune di tantad. Nei miei viaggi ho visto alcune capacità incredibili in loro. Cosa centrano con il Braccamago?”

“Starà a noi scoprirlo” disse Abyssien invocando un velo di oscurità per nasconderli.

“Passati attraverso la porta, i due Consiglieri si trovarono dall'altra parte. Scoprirono ben presto la presenza di Braccamgo, nella sala principale ce ne erano almeno una dozzina. Continuarono la loro ricerca in silezio.


Chantelain stava continuando a provocare Edrios per guadagnare tempo in modo che passasse il suo dolore alla testa e per cercare di svicolarsi dalle corde che lo immobilizzavano. Un piano era nato nella sua mente. Non lontano, era stato conficcato in un tavolo, un pugnale da Braccamago. Probabilmente era lì solo per impressionare. Se avesse potuto prenderlo avrebbe potuto sciogliere le corde che lo legavano. Edrios si era lanciato in un infervorato monologo sul fatto che Chantelain fosse in errore e che stava ostacolando l'unica vera resistenza a Nehant.

Chantelain aveva visto la stanza: c'erano oggetti di possesso di un re, oggetti d'arte ed alcuni estremamente preziosi. Bastava insomma guardare la mobilia per sbugiardare Edrios, le sue parole non era vere.

Marlok ed Abyssein raggiunsero la stanza in cui era rinchiuso Chantelain, il quale in quel momento si lanciò contro Edrios. Con la mano destra afferrò il braccio dell'avversario e con l'altra prese il pugnale conficcato nel tavolo. Sfortunatamente Chantelain non fu abbastanza veloce, Edrios si liberò subito della presa e scalciò lontano l'investigatore.

I due maghi, nascosti nell'ombra, riconobbero i due protagonisti. Ripresero le loro vere sembianze togliendosi il velo d'ombra; ombra che Abyssein usò per creare tentacoli che si avvilupparono attorno alle gambe di Edrios. Marlok modificò la struttura dei suoi cristalli, trasformandoli in una lama che conficcò nel petto del nemico. Edrios, sorpreso, non riuscì a colpire Chantelain e ritrovatosi in inferiorità numerica decise nella sua follia di suicidarsi.

Chantelain era stanchissimo e stava per capitolare a terra ma venne afferrato dai due salvatori.

“Come avete fatto a trovarmi?” chiese Chantelain

“Te ne parlerà il Decano” rispose un po' imbarazzato Marlok

“Bene, che si fa ora?” s'intromise Abysssien “Potremmo uscire da dove siamo entrati, ci prenderemo cura dei Braccamago solo dopo”

“Aspetta, voglio ispezionare questa stanza, inoltre dobbiamo celare il corpo di Edrios, per impedire che si noti la sua morte”

Chantelain, in qualche modo, riuscì ad alzarsi e cominciò a rovistare nella stanza. La sua ricerca ebbe successo perché riuscì a dare alle luce alcuni tomi su cui c'erano appunti del Signore d'Orgos e dei suoi successori, altri oggetti e un costume di Maestro Braccamago.

“Fatto, possiamo andare. Ho un favore da chiedervi però, dobbiamo togliere il costume ad Edrios e fare in modo che non passi ad altri”

“Hai un piano in mente” affermò Marlok

“È più un'idea. Ne parleremo con Verace in un incontro privato, non appena avrò letto questi appunti”

Con difficoltà Abyssien riuscì a celare tutti sotto al mantello d'ombra; in questa maniera i Braccamago neppure si accorsero di cosa fosse accaduto.


Qualche giorno più tardi, Chantelain, Marlok, Abyssien e Verace si incontrarono nelle stanze private del Decano. Un potente incantesimo anti-spia permeava la stanza.

“Consiglieri, Decano, ho letto a grandi linee quanto vergato sui grimori trovati nella stanza del Braccamago. Ciò che ho scoperto è incredibile. Fu il Consigliere Decano d'Orgos a creare i Braccamago per l'odio che nutriva contro i nehantisti. Quando il Consiglio si rifiutò di infliggere la pena di morte, creò quella società che è rimasta segreta per ben settant'anni. Le cose però cambiarono o vent'anni fa, quando Edrios divenne il leader. Utilizzò la società in maniera non canonica per brama di ricchezze e proprio interessi.”

Verace non poteva credere alle sue orecchie: I Braccamago al servizio di Consiglieri.

“Imparo cose nuove ogni giorno”si lamentò “Ora dobbiamo però pensare a come agire”

“Ho un'idea” disse Chantelain “Non dico che Orgos avesse ragione ma ora abbiamo un'opportunità. Il Consiglio deve prendere possesso dell'organizzazione Braccamago ed utilizzarla secondo la legge. Il tutto facendolo in segreto”

“Rischioso” dichiarò Marlok “Se la verità venisse a galla, si potrebbe accusare il Consiglio di omicidio e visti gli ultimi eventi ciò minerebbe la credibilità dell'istituzione”

“Ma è anche un modo per fronteggiare i nehantisti” controbatté Chantelain

“Forse dovremmo prendere temporaneamente possesso dei Braccamago fin quando esiste la minaccia nehantista” disse Abyssien

Il Decano guardò gli altri consiglieri. La decisione competeva a lui. Cosa sarebbe successo ai Braccamago se avesse smantellato l'organizzazione? Sarebbero diventati banditi? Cosa avrebbero potuto diventare persone capaci solamente di uccidere?

“Chantelain prenderai il posto di Edrios. I Braccamago verranno reindirizzati verso il loro obiettivo iniziale. Marlok conosci il rituale del Giuramento della Parola?”

“Sì, lo conosco”

“In questo caso è tempo che tu lo metta in atto. Quanto ci siamo appena detti dovrà rimanere segreto per sempre”

Schiusa


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Capitolo 1 - Il Re Sacerdote

“Hakim....

Hakim...

Quando i raggi del sole, giungeranno ad illuminare il tuo viso, dovrai venire da me. Cammina in direzione della stella, fin quando essa sarà alta nel cielo. Lì troverai Ozyamandias, lì troverai me”

Il giovanotto si svegliò di soprassalto. Una nuova giornata era appena iniziata, la luce inondava la stanza in cui aveva abitato per anni. Un po' stranito si lavò la faccia per svegliarsi. Un nome continuava a rimbombare nella sua testa: Ozymandias.

Una volta opportunamente vestito, uscì dalla sua stanza e guardò il piccolo tempio dedicato a Sol'ra. A quell'ora i servitori e il sacerdote erano ancora addormentati.

I ricordi del sogno erano ancora vividi e in attesa di avere altri suggerimenti mistici si diresse verso il porticato del tempio. Una guardia stava dormendo. Era stata richiesta la presenza di una guardia armata per via del periodo incerto e della guerra lontana. Hakim prese la spada appoggiata al muro, promettendo che l'avrebbe restituita. Se ne andò in fretta, verso il deserto, seguendo il Sole, già alto nel cielo.


Mouktar aveva ricevuto i suoi ordini direttamente dal Visir. Doveva riferire in merito i ribelli di Aksenoun. Qualunque cosa avrebbe scoperto gli avrebbe fatto ottenere gloria e ricompense incredibili ma il destino non era d'accordo e pertanto non era riuscito a riferire in merito a quando fatto dal Principe Metchaf ed Urakia. Lì aveva pedinati fin da Istaryam e aveva notato la presenza di Ptol'a.

Scrutando nell'ombra aveva potuto notare che il Principe Metchaf non aveva contrastato i ribelli e per via di questo doveva segnalarlo. Poi la terra aveva iniziato a tremare e lui si era nascosto, per non incorrere nell'ira degli antichi dei.

Dopo Istaryam aveva visto un paesaggio incredibile, il deserto scompariva mano a mano, rivelando una parte dell'antico regno di Istaryam. In quei frangenti, lo scorpione bianco di Selik aveva notato un particolare non poco interessante. Nella parte terminale della città spuntava dalla sabbia la punta di una piramide, sulla quale vi erano recati simboli di sol'ra. Non aveva mai saputo che ci fosse un tempio dedicato al dio, in quel punto. Obbedendo ai suoi precetti di scorpione bianco, investigare su tutto, decise di saperne di più a riguardo.


Il sole era già alto quando Hakim notò la nuvola di polvere. Pensò che fosse un segno e quindi proseguì. Si trovò su di una duna e in quel mentre vide il deserto scomparire, facendo affiorare delle rovine. Poco lontano da lui c'erano dei simboli di Sol'ra. Sentiva la presenza di Sol'ra, forte e chiara.


Mouktar nascosto dietro a delle rovine, vide arrivare Hakim. Si chiese da dove venisse quel ragazzo. Voleva saperlo.

“Chi sei?” chiese lo scorpione bianco.

“Io...Hakim, vengo da un tempio a mezza giornata da qui. Tu?”

“Mouktar, lo Scorpione Bianco di Selik”

Queste referenze suonavano nuove ad Hakim.

“Cosa vuoi? Non ho denaro da darti” disse pensando fosse un bandito

“Non voglio i tuoi soldi...non sono mica un ladro, lavoro per il Visir. Sono venuto per investigare su questo luogo, è indubbiamente strano”

Hakim si concentrò sulla sua missione, lasciando Mouktar ai suoi affari. Fece un giro completo della piramide ma non trovò alcun segno. Lo scorpione bianco si divertiva a guardarlo cercare senza trovare alcuna traccia. Lui aveva già trovato quello che stava cercando Hakim, era abituato a trovare indizi.

“Dimmi perché sei qua e ti aiuterò” disse

“Sono qui per volontà del dio, se vuoi aiutarmi fatti un po' più in la” rispose Hakim irritato

“Va bene..però prima guarda qui” disse indicando un simbolo di Sol'ra

Mouktar indicò quattro geroglifici, i quali, capì Hakim, erano parte di una preghiera. Subito si inginocchiò e batté le mani sulla calda pietra. Cominciò a cantilenare le parole scritte sulla pietra. Una delle pietra della piramide retrocesse, rivelando un passaggio.

Entrambi i nomadi entrarono nella piramide ma dentro c'era solo il deserto e una pietra gialla.

“Ma cosa?” disse impressionato Mouktar

“Vieni!!” comandò una voce proveniente dal nulla “Sono Ozymandias, il Re Sacerdote al servizio di Sol'ra. Venite a me, oh fedeli”

“Ozy..mandias” ripeté Hakim

Durante il suo viaggio aveva riflettuto su quel nome, lo aveva già sentito. Era uno dei primi re del deserto ma di molto tempo prima. Come avrebbe potuto essere lui? Ora però si era appellato come Ozymandias, il re sacerdote. Quindi era proprio lui?

Mouktar non conosceva quel nome ma curioso di era avvicinato al cristallo, sembrava ci fosse qualcosa all'interno. Hakim si avvicinò e vide, dentro la pietra, un uomo. Un uomo vestito come un sacerdote di Sol'ra. Al collo aveva un ornamento simboleggiante il sole.

“Questo è Ozymandias”

“Hakim, liberami da queste catene. Liberami da questo cristallo ed io risponderò alle tue domande”

Il giovane guardiano del tempio prese la rincorsa e si lanciò, spada in pugno, contro il cristallo. Il colpo fu tremendo ma non produsse alcun effetto. Mouktar decise di dare una mano e colpì con forza.

Entrambi dovettero colpire più e più volte, prima che il cristallo si frantumasse. Ozymandias cadde a terra, prese un gran respiro, come un bambino appena uscito dal ventre materno. A fatica si alzò, ergendo la sua imponente figura, ben più grande di quella degli altri due uomini. Poi si rivolse ad Hakim e Mouktar.

“La storia non dimenticherà i vostri nomi. Quando Sol'ra annienterà questo mondo, ci accoglierà al suo fianco. Prendete la mia mano e diamo al mondo un segnale forte, il segnale del mio ritorno, il segno di Dio”

Non era un suggerimento quanto impartito, quanto più un ordine divino. I due afferrarono la mano del Sacerdote e tutto cominciò a mutare. La luce divenne insostenibile e il suolo lontano.

Non era una brutta sensazione perché essa era un miracolo di Sol'ra.

Capitolo 2 - Il preludio della guerra

Noz'Dingard

L'inquietudine cresceva nell'animo di uno degli esseri più vicini a Guem, in questo momento storico. Dragone era stato inquieto solo poche altre volte, in una delle quali era giunto Nehant. Ne era passato di tempo. Anche se provava sentimenti in maniera differente dagli umani, l'ansia cresceva in lui.

Arkalon combatteva fianco a fianco con i Kotoba, contro i Nomadi del Deserto. Era concentrato sul vecchio cavaliere drago per vedere grazie ad i suoi occhi ma ciò che vedeva non gli piaceva. Il terreno attorno alla Pietra Caduta dal Cielo era ormai divenuto sterile sabbia e quella maledetta pietra emanava un'energia mai così forte.

Dragone sapeva che quella sarebbe stata l'ultima battaglia, doveva agire e smetterla di essere uno spettatore.

Si materializzò davanti al trono del palazzo di Noz'Dingard, dove Anryena era intenta a leggere una pergamena. Smise subito di leggere quando vide suo padre. Il volto di Dragone era contorto e il suo umore angosciava l'aria. Anryena ne fu immediatamente preoccupata.

“Che succede padre?”

“Figlia mia, il mondo è in biblico e siamo ad un bivio. Se una delle strade ci conduce alla vittoria, l'altra ci farebbe piombare nel caos. Noi attendiamo che questo conflitto termini, questo non basta mentre molte vite si stanno spegnendo. Bisogna radunare la guardia cittadina.”

A quel punto Dragone chiuse gli occhi, così facendo poteva percepire il legame che lo legava a tutte le persone che avevano una sua pietra cuore. Chiamò tutti quelli che erano presenti nella capitale.

“Inviati, ascoltate la mia chiamata. Vi aspetto a Palazzo per conferirvi una missione di straordinaria importanza per le terre di Guem. Accorrete senza perdere tempo”

“Figlia mia, dovrai guidare le truppe. Non riesco a non metterti in pericolo”

Anryena ben capiva la gravità della situazione, inoltre era onorata di guidare come comandante la guardia cittadina.

I primi a presentarsi furono coloro già pronti alla guerra e cioé Zahal e Valentine dei Cavaliere Drago e Naya delle StregaSpada. Poi giunsero i maghi: Aerouant ed il suo golem, Marlok in città per una visita e Alishk. Mancavano Marzhin, Pilkim, La Pythie e Kounok, tutti fuori in missione.

Giunsero infine i soldati e ben presto la piazza fu colma di uomini. Nel Palazzo del Drago c'erano le più alte cariche e cioè Zahal, comandante della armate, Naya, comandante delle Stregaspada e Marlok rappresentante del Consiglio delle Gilde.

“Quello che sta per accadere sarà fondamentale per Guem. Aprirò un portale magico per raggiungere i Kotoba alla Tomba degli Antenati. Aiutateli e sfruttate i rispettivi punti di forza. Troverete in loco, Arkalon, al quale verrà affidato il comando di tutti gli eserciti della Draconia. Questa missione sarà incredibilmente pericolosa, è bel oltre ad essere uno scontro contro una Gilda”

Marlok rispose

“Dragone non sono qui in visita casuale ma sono stato inviato dal Consiglio per riferire che la Gilda nota come i Nomadi del Deserto è stata sciolta. Ora possiamo agire senza paura di ritorsioni da parte del Consiglio”

“In questo caso colpite, colpite duro. Mettete in ginocchio i nostri nemici. Sopratutto dobbiamo distruggere quella pietra caduta dal cielo”

Dragone poi, seguito dalle armate, uscì dal palazzo e creò un portale magico.

“L'apertura di un portale così grande richiede molta energia, partite lesti. Farò sapere ai nostri alleati che stiamo andando in guerra”


Okia, un giorno prima della battaglia.


Il Signore Imperiale era fermo a cavallo, il dolore al fianco gli rimembrava la batosta presa nella Tomba degli Antenati. Ora doveva affrontare e rimediare al disonore della sconfitta. Suo figlio, il Campione Imperiale Iro, lo precedeva sul campo di battaglia e le notizie che aveva erano inquietanti.

Oltre duemila uomini, più altri membri Kotoba, attendevano ordini. Ordine che giunse dopo che tutti i vari comandanti dettero segno d'assenso al mettersi in marcia. La cittadina si svuotò. Gli abitanti dei villaggi incoraggiavano i soldati. I soldati si dirigevano verso la pietra che baluginava in lontananza.

Gakyusha discuteva della strategia con Tsuro e Xin.

I miei bracconieri riferiscono che le due armate soprannaturali si scontreranno proprio nel mentre noi staremo per arrivare. Shui Kan, Hime ed Amaya saranno pronti ad entrare in azione”

“E il clan del Corvo?”

“Per quanto ne so” intervenne Xin “il Signor Daijin ha mandato alcuni uomini per l'esorcismo. Se vuole la mia opinione, il resto dei suoi uomini non lo vedremo prima che sia dato l'ordine”

“Se tutti si atterranno agli ordini, tutto andrà bene. Muoviamoci, voglio scacciare questi Nomadi dalla Tomba degli Antenati”

“Mostreremo loro cosa sono i Kotoba” disse Xin sbattendo il pugno destro nella mano sinistra

Foresta Eltarite, nel momento in cui si attiva il portale dei noz'Dingard.


Il Maestro Mago-Marzhin era impressionato dalla crescita della Mangiapietra. In due giorni le erano cresciuti i capelli di 30 centimetri. Pilkim non perdeva mai d'occhio la creatura, non per il suo aspetto femminile ma per ciò che essa rappresentava. Lei aveva superato abbondantemente tutti i testi di magia che conosceva, anche quelli più difficili. Nel bel mezzo di una delle prove, rimase ferma, impietrita. Key'zan che osservava, capì che qualcosa non andava.

“Mangiapietra?”

La creatura si alzò e si girò in un'altra direzione.

“È cominciata”

“È cominciata cosa?” domandò curioso Marzhin

“Il motivo per cui mi hai cercata, per cui mi sto preparando e per cui partiremo da qui. Le forze si stanno muovendo, sento il potere divino crescere in lontananza. La guerra è iniziata”

“Cosa? Ora?” chiese Pilkim

“Volevi che ti aspettassero?” ironizzò suo padre

“I vostri alleati sono sulla strada per la Pietra” disse la Mangiapietra ai draconiani, poi si rivolse a Key'zan.

“Dovremmo metterci anche noi in marcia. Anche i Cuore di Linfa dovranno partecipare”

“Hai ragione Mangiapietra, la maggior parte dei Cuore di linfa ci attende al limitare della foresta. Verrete con noi Maestro-Mago?”

Marzhin si alzò, pensando a cosa avrebbe dovuto fare. Se Noz'Dingard era in guerra, perché non anche lui. La sua missione qui era finita, la battaglia invece richiedeva tutto l'aiuto possibile.

“Naturalmente, non vi lascerò mai tutto il divertimento”

Pilkim non capiva cosa ci fosse di divertente in una battaglia ma se il padre aveva detto così, a lui andava bene.

Senza perdere tempo, i Cuore di linfa partirono per fronteggiare i Nomadi del Deserto.

Capitolo 3 - La fine?

La testa di Soraya ruzzolò a terra e venne coperta parzialmente dalla sabbia. Il corpo dell'incarnazione di Kehper cadde al suolo davanti ad Iro ed agli altri membri dei Kotoba presenti. Il giovane Xziarite aveva sperato che le orde di coleotteri si fermassero, una volta sconfitta l'incarnazione del dio, ma questi invece continuavano a spargere morte sulla Tomba degli Antenati.

“Non può essere vero, come facciamo?” si lamentò Iro, sconvolto dalla situazione, mentre decapitava nugoli di scarabei.

Yu Ling vide il generale avversario alzarsi, avvicinarsi alla propria testa e riattaccarsela come nulla fosse successo. Rimase scioccata da questa visione. Se non fossero riusciti a sconfiggerlo definitivamente, sarebbero stati sconfitti.

A quel punto giunsero i Draconiani. Il blu si mischio confusamente al nero ed al rosso. Zahal trovò facilmente Arkalon, ben riconoscibile nell'esercito degli antenati. Come ogni buon Cavaliere Drago, conosceva il prestigioso elenco di chi ne aveva fatto parte, quindi per questo riconobbe colui che aveva perso la vita contro l'impero Xzia.

“Signore” disse Zahal “Ho condotto le truppe regolari della Draconia, sotto preciso ordine di Dragone. Ci poniamo sotto al suo comando”

Arkalon rimase quasi stupito dell'arrivo dei rinforzi. Non era però sorpreso di vedere altri Cavaliere Drago. Accettò il ruolo conferitogli e condusse Zahal ed Iro a fare un breve riassunto sul piano da attuare.

In quel mentre Yu Ling indicò qualcosa in lontananza.

“La bandiera di mio padre! Altri rinforzi” gridò il Campione Imperiale con il cuore gonfio di speranza “La battaglia non è ancora persa”


Nel frattempo l'incarnazione di Kehper falciava vivi e antenati con facilità. Vedendo che erano rimasti ben pochi Nomadi nelle sue vicinanze, si ritirò verso la Pietra Caduta dal cielo.

Era ai piedi della Pietra che si decidevano le sorti del mondo. Iolmarek scrutava l'evolversi della battaglia, impartiva ordini e mandava le sue forze a contenere la carica Xziarite. L'arrivo dei Draconiani però vanificò la sua strategia.

“Che fare?”

“Mantieni la speranza, sacerdote, mantieni la speranza, sta per arrivare e con lui la fine del mondo” disse la voce della Pietra Caduta dal Cielo “Mantieni la fede”

“Chi sta per arrivare? E quando verrà?”

“Colui che fu il mio ricettacolo, colui che fu me e che me sarà, il flagello di Guem”

In quel mentre un forte bagliore catturò l'attenzione del sommo sacerdote di Sol'ra. Alcuni uomini apparvero da nulla, Djamena che non era molto distante si avvicinò di corsa. Si avvicinò al Re-Sacerdote e gli sfiorò la guancia con la punta delle dita.

“Tu....sei tornato”

Poi si inginocchiò in segno di riverenza.

Iolmarek saltò giù dalla roccia volante su cui era seduto, voleva saperne di più sui nuovi arrivati. Indossavano gli indumenti tipici del suo stesso ordine religioso, inoltre aveva già conosciuto sia Hakim che Mouktar. Non conosceva però l'uomo riverito da Djamena.

“Alzati Djamena, siamo nuovamente assieme, sai cosa significa?”

“No. Io non lo so” tagliò corto Iolmarek

Djamena intervenne per fare le rispettive presentazioni. Molti nomadi si avvicinarono incuriositi.

“Lui è il Re-Sacerdote Ozymandias” disse e poi “ Re-Sacerdote, lui è il sommo sacerdote di Sol'ra, Iolmarek”

Il vecchio conosceva quel nome e le gesta da lui compiute.

“Pensavo fossi morto da molto tempo. Sei sopravvissuto??”

“Sol'ra non avrebbe mai permesso che io morissi, sono l'unico in grado di contenere il suo potere. Con il tuo permesso vorrei prendere la parola”

“Sì, certo...” si rassegnò un impressionato Iolmarek

“Solarian, figli di Sol'ra, il tempo è maturo perché si liberi colui che è celato nella Pietra Caduta dal Cielo. Giunto è il momento di liberare la luce del sole e di terminare la battaglia su Guem. Seguite la vostra natura” disse spalancando le braccia “Avviate litanie e suppliche, fate sentire la vostra fede”

Iolmarek si avvicinò alla Sfinge e ad altri Guardiani del Tempio ed Eclisse.

“Impedite a chiunque di ostacolare quanto sta per succedere, non dimenticate che siete il braccio armato di Sol'ra e che la nostra vita gli appartiene”

“Capito” rispose la Sfinge battendosi una mano sul petto “Nessuno riuscirà ad avvicinarsi”

“Guardate la” disse Malika indicando un lato della Pietra. “Abbiamo ospiti”

Era il gruppo di Key'zan, dei Cuore di Linfa, Manhiapietra, Marzhin e dei Draconiani. La Sfinge sputò.

“Vado a prendermi la mia vendetta” disse marciando verso le truppe Eltariti

“Aspetta, non preoccuparti di loro. Farò un sortilegio per rendervi più forti” disse soffiando sulla sua lampada Una creatura blu uscì dalla lampada.

“Sì, Maestro. Vuoi usare il tuo ultimo desiderio?”

“Dona alla mia gente la capacità di resistere alla magia di Guem così che si possa eliminare i nostri nemici”

Il genio spalancò le braccia e una brillante aura si avvolse attorno alla Sfinge e agli Nomadi.

“Fatto” disse il Genio “Ora ho eseguito tre desideri, tocca a te mantenere il patto”

“Lo so. Vai, sei libero”

Il genio abbandonò la lampada, scomparendo per sempre. Iolmarek lanciò la lampada a terra.

Ora, annientateli” ordinò il Sommo sacerdote


Era la guerra.


Questa regione del mondo conobbe nuovamente una guerra. Da un lato Kotoba e Noz fronteggiavano l'incarnazione di Kehper e le sue armate di coleotteri, dall'altro lato i Cuore di Linfa si stavano misurando con l'incredibile forza dei Nomadi.

La Sfinge ed i suoi compagni, grazie alla magia con cui erano stati rivestiti, rendevano inutile le magie dei Dais, i quali a questo punto erano stati costretti a lasciar fare alla forza bruta degli Hom'Chai. La Mangiapietra dei Confini afferrò una spalla di Marzhin.

“Rapido. Bisogna arrivare fino alla pietra”

“Ma non possiamo, i Nomadi ci sbarrano la strada e sembrano resistere alla nostra magia”

Il guemelite di Guem si sollevò da terra e si librò nell'aria, proprio sopra la sfinge. Una sfera bianca si formò nelle sue mani e con questa attaccò.

“Avanziamo” urlò

Marzhin e Pilkim approfittarono della distrazione per sgattaiolare verso la pietra.

Djamena, Ahlem, Iolmarek, Ozymandias ed altri solarian pregavano assieme per uno scopo comune. Si erano posizionati attorno alla pietra, la loro fede era ancor più forte per via della prospettiva di svolgere quanto voluto dal dio. Intorno a loro era come se ci fosse il nulla.

La loro preghiera fu così forte da causare la fine della battaglia.

Un rumore come se qualcosa si stesse infrangendo si sentì in tutta la zona. La pietra caduta dal cielo si sollevò dolcemente in aria.

Nessuna delle Gilde poté fare nulla. La Mangiapietra, Marzhin e Pilkim erano i soli abbastanza vicini.

“Ho paura che sia troppo tardi” disse la Mangiapietra, iniziando a volare.

Ora la Pietra dominava la scena. I Nomadi continuavano a pregare mentre una luce proveniente dalla pietra andava a crescere.

“Ozyamandias...”

La voce rimbombò nella testa di tutti i solarian.

“Stai per conoscere nuovamente l'estasi della mia presenza, tu che sei il solo ricettacolo adatto a contenere il mio potere”

Una grande crepa apparve in tutta la Pietra.

“Sommo sacerdote, sei pronto a sacrificarti?”

Iolmarek aveva dedicato la sua intera vita a Sol'ra, la sua vita non gli apparteneva perché ora era la sua parte di solarian ad avere il sopravvento. Era pronto. Sentiva che la sua vita e quella parte di lui che lo aveva reso Solarian stava abbandonando il corpo e si dirigeva verso la pietra. Una nuova fenditura comparve nella pietra.

La Mangiapietra volava verso la pietra, sperando che non fosse troppo tardi. La guemelite di Guem provò una nuova tattica, fuse vari tipi di magia in un solo incantesimo per schiantare i Nomadi. La Mangiapietra percepì la presenza pura di Guem attorno a se e poi scagliò l'incantesimo. La magia percorse la superficie del cristallo giallo, provocando lo schianto di essa. Nonostante ciò, in quel momento, colui che dimorava all'interno della pietra, divenne libero.

La Pietra esplose in una deflagrazione senza precedenti. Tutte le persone che non erano abbastanza lontane, vennero scagliate a terra.

Il Flagello di Guem, prima rinchiuso nella Pietra, si fuse nel corpo del Re-Sacerdote. Quest'ultimo cominciò a crescere e a mutare nell'aspetto. La sua testa divenne quella di un falco, le sue gambe vennero percorse da filamenti di energia. La temperatura attorno a lui cominciò a divenire quella di una stella.

I primi a farne le spese furono Marzhin e Pilkim, i quali vennero colpiti dall'aura incandescente della creatura. La Mangiapietra si avvicinò a loro.

“Andate via” disse loro disperata

I due draconiani non attesero altro. Sapevano di non poter essere d'aiuto e lasciarono che fosse la Mangiapietra ad affrontare l'Avatar di Sol'ra.

“Figlia di Guem! Tu sarai la mia prima vittima e dopo, il mondo che ti ha dato la luce, scomparirà” disse l'Avatar prima si scagliarsi contro Mangiapietra.

Il calore provocato dalla creatura era incredibile ma la guemelite resistette. Almeno all'inizio perché L'Avatar si dimostrò essere ben più forte.

“Allontanatevi tutti o morirete!!” urlò la Mangiapietra comprendendo che non sarebbe stata in grado di frontggiarlo.

Vedendo che la Mangiapietra non poteva far altro che provar a resistergli, l'Avatar decise di iniziare il suo lavoro e di distruggere tutta l'area circostante e tutte le creature al suo interno. Un raggio di luce lo investì. Il sole, come rispondendo alla chiamata dell'Avatar risplendeva sempre di più, inondando la creatura di luce. Infine l'Avatar fece scaturire un raggio.

La Mangiapietra vide il raggio partire e sapendo che se esso si fosse schiantato a terra sarebbe stato un disastro, decise di intervenire.

La Tomba degli Antenati era arsa dalla furia dell'odio di Sol'ra.

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